“Non rimpiango niente del mio passato, eppure odio tutto come quando non vorresti cambiare nulla di una poesia e vorresti non averla scritta.”
Un passo sul vuoto è la prima raccolta poetica ed esordio editoriale assoluto di Paolo Semelli, giovane poeta nato a Saronno nel 1990. Pubblicato da A.CAR edizioni nella collana Poesie, l’opera è formata da 30 componimenti di grande intensità, che per la loro brevità e scorrevolezza di espressione si leggono con piacere e tutti d’un fiato.
Quello che salta subito all’occhio, è la grande maturità del poeta, nonostante la sua giovane età. A soli 22 anni egli già tratta tematiche introspettive ed esistenziali che potrebbero tranquillamente essere narrate da uno scrittore anagraficamente più maturo. La poesia, o meglio, l’essenza della poesia viene percepita come rapporto diretto fra scrittore e lettore a cui Paolo si rivolge direttamente e da subito, nella dedica del suo libro: “A chiunque stia leggendo, che ci conosciamo da sempre e nemmeno lo sappiamo”.
Paolo non dedica il suo libro ad un parente o ad un amico, bensì egli “chiama in causa” e vuole rendere partecipe il lettore, l’uomo qualunque che lo sta leggendo, anch’egli depositario di esperienze e di un personale vissuto che, alla fine, accomuna tutti. Paolo non ha paura del foglio bianco, come ci comunica nella sua introduzione, anzi, ne subisce il fascino. Avverte certamente la difficoltà di iniziare qualcosa, sia esso un libro di poesie o un’introduzione di un’opera, ma va oltre, ne avverte il vuoto. “L’inquietante vuoto del primo passo” come dice lui, “il primo passo sul vuoto”.
Per Paolo scrivere rappresenta un viaggio, un viaggio che però porta ad una scoperta. Ad un intero universo di conoscenza. “Quante volte ho passeggiato ben volentieri sul nulla, e quante volte ho lasciato che fosse il vuoto a parlare per me”. Egli parla, come nel titolo del suo libro, di passi sul vuoto, e non nel vuoto, come se dall’alto egli potesse guardare questo “baratro” per decidere poi come orientarsi nella vita. Domina il vuoto per avere risposte, e non ci passa attraverso, crogiolandosi in un nulla fine a se stesso. L’introspezione del poeta sembra trovare rifugio in ciò che è impalpabile, mentre la realtà viene detestata perché “fin troppo decantata dalla vista”.
Paolo ci comunica che non abbiamo bisogno della realtà e dà una definizione personale del concetto: “La realtà è quella pellicola luminosa che scorre di tanto in tanto sulle pagine e vi affatica la vista mentre affannati cercate comunque di leggere”. Egli ci invita a farci una nostra idea personale della vita, di staccarci dalla sua visione del mondo. Ci esorta a prendere le distanze da lui. Al poeta dobbiamo lasciare il suo vuoto, che è solo suo, mentre noi dobbiamo “prenderci” la sua poesia, sperando possa esserci un punto d’incontro.
Ed eccole dunque, alcune delle sue poesie. “Un sospiro nelle neve”, apre la silloge ed è forse quella che mi ha colpito di più. Ci ho visto, e mi si perdoni l’eresia, un po’ di quell’Aquilone di pascoliana memoria. Bimbi che escono a giocare in un giorno di neve, ma qualcuno manca. “Li vedo vicini a me ora, corrono su e giù per il giardino / e come me, che sospiro dal vetro del ricordo / un bambino li guarda dall’altra parte della finestra / ….si potrebbe tagliare quella parte del suo respiro / conservarla in un cassetto / dentro una cornice / per piangerci su, di tanto in tanto”.
Oppure in “Bentornato” il poeta si chiede “Quando le mie labbra condurranno altrove / sarà allora il tempo delle domande / ma tu già domandi / e resto muto ora”. Tematiche che potrebbero appartenere ad un ragazzo della sua età, ma che Paolo acuisce e trasforma in problemi esistenziali che sembrano attraversare l’intero cosmo. Nel corso dei componimenti ritorna il tema del vuoto, del riproporre se stesso: l’anima che tace, l’appartamento che giace vuoto, una casa che conserva solo il cielo sempre uguale, mentre al suo interno tutto è cambiato nel corso del tempo. In “Una birra di troppo”, il tema apparentemente “leggero” diventa drammatico “teste chine sull’asfalto / piegato a se stesso / sogna solo, sogna”.
In “Animale da specchio” colpisce l’immagine dura e spietata che il poeta ha di sé. “Solo sei, solo resterai” è la frase che riserva alla sua immagine riflessa. A tratti si avverte lo smarrimento dell’autore, come quando egli esprime concetti esistenziali di rilevante importanza, “non hai più dove andare”, oppure “sono un uomo molto fortunato perché ho perso tutto”. Ed ancora: “Non sono nessuno”, ma detto con coraggio, perché comunque Paolo è un tipo deciso.
Si alternano senso di solitudine, pensiero di non riuscire, fatica di correre. L’impressione di rimanere indietro nella “grande corsa” della vita. “Chi guarda l’abisso” dice Paolo “Non può tornare”. Possibilità infinite, vite che si sovrappongono, difficoltà di trovare quella giusta per poi “allestire” la propria esistenza. Questo sembra il risultato del lungo travaglio interiore del poeta.
Paolo afferma che ci sono scrittori che per ovviare all’inconveniente del foglio bianco, iniziano a scrivere un’opera dalla fine. E allora io, in una sorta di scommessa bonaria, ho riservato una grande attenzione ad “Un finale”, la poesia che conclude il libro. Sorrido pensando che Paolo abbia potuto iniziare proprio da qui. Colpiscono le sue parole: “…è quel presente / a terrorizzare i miei attimi / non il futuro/….vorrei un cielo su cui bestemmiare / le anime perdute / di una infanzia mai nata / in quel passo sul vuoto / che non conosce ragioni“.
Credo che il significato della poetica di Paolo stia qui. Non solo, ma in buona parte sì.
E concludo riportando un concetto che ho letto in una recente intervista fatta al poeta e che mi ha colpito. Gli si chiedeva come mai egli avesse deciso di lasciare un segno di sé a 22 anni e non quando magari gli anni sarebbero stati molti di più. “Perché a 22 anni sono permessi errori” ha risposto.
Beh, di errori in questo libro dedicato anche a me, semplice lettrice che non conosce l’autore, pare non ce ne siano poi molti! A Paolo va il mio personale ringraziamento per avermi permesso di conoscere un “universo”. “Capita sempre quando si conosce qualcuno”, e spero che a Paolo faccia piacere questa mia ultima frase e ci riconosca un poco di sé.
Written by Cristina Biolcati
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