Stavo giusto per scrivere le mie solite considerazioni onanistiche questa volta sulla situazione di stallo della musica italiana, una fase che sembra aderire perfettamente al livello da pantano in tutto il resto e che anzi forse non è un caso bensì una conseguenza. Sapete, quei miei post retorici e senza capo né coda che iniziano proprio con frasi del tipo “stavo per scrivere un post su” e che poi non si capisce bene dove voglio andare a parare, quindi continuano con invettive tipo che quando ero giovane io quelli sì che erano anni di attività febbrile, la tensione e gli Almamegretta di qua e ancora prima i CCCP e poi dopo la verve dei Subsonica e ora solo Caparezza che comunque tanto giovane non è più, e che palle che mi fanno Le luci della centrale elettrica e Dente. Quindi vado al punto da cui è scaturita l’ispirazione, ovvero la lettura di due interventi. Il primo su Polaroid, un paio di gruppi italiani che probabilmente l’Italia non se la filano nemmeno. Compongono, pubblicano on line le loro cose, contattano etichette dall’altra parte del mondo e vanno in stampa o vengono comunque diffusi e suonano oltre confine. Anche loro nel novero delle risorse che fuggono all’estero, altrove oltre a un mercato c’è anche il gusto che qui manca, il tutto proprio grazie alla maglie strette della rete. Poi ho letto su Inkiostro di questa iniziativa che mette insieme un po’ tutto quello che non mi piace, a parte Max Collini e gli Offlaga Disco Pax che, comunque, sono un fenomeno al di là della musica in senso stretto, su questo ne converrete. Il resto proprio esula dai miei gusti e vabbé non credo che per nessuno di loro sia un problema. Questo insieme, a differenza del primo, è ancora legato al modo tradizionale di fare le cose, almeno credo. Il concerto, i locali, il booklet, la stampa verticale, l’ambiente off che conta, il primomaggio and so on. Di certo è che non è nemmeno solo colpa di quei pochi rimasti che si dilettano a suonare. Mancano gli stimoli: sia quelli che ti accendono la creatività, sia quelli che ti fanno lavorare sodo per materializzarla in arte, in questo caso musica. E così mi è venuta in mente questa intervista che ha più di trent’anni agli Area. Dalla loro scomodità intellettuale parlavano dei problemi di chi vive e suona. L’aspetto esilarante è che è sufficiente cambiare qualche termine un po’ datato o anacronistico, ma avere un guppo è ancora così.
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