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Un pomeriggio di dicembre in via Apulejo

Da Perla

Un pomeriggio  di dicembre in via ApulejoLui era arrivato in anticipo alla Stazione Centrale ma sapeva che, salvo ritardi, che peraltro lo sferragliante espresso portava sempre, il treno sarebbe arrivato come orario normale dopo un’ora. Ma era agitato, in ansia. Dopotutto stava cambiando la sua vita, non era una cosa da niente.Ricordava ancora durante quella  vacanza,  come avrebbe potuto dimenticare quegli occhi color carbone  che erano spuntati all’improvviso da dietro una siepe su una collinetta? Passeggiava lentamente in quel pomeriggio caldo ma non afoso, un caldo tanto diverso da quello che era abituato a viversi nella sua città. Quel caldo che avvolgeva ma non soffocava era una delle ragioni che gli aveva fatto amare quella vacanza, fatta più per compiacere un amico che per vero interesse, in quel paesino sperduto sulla montagna calabrese.Quel pomeriggio assolato se ne andava tutto solo su per il sentiero che portava alla pineta, una passeggiata che era diventata una consuetudine, dopo una settimana di permanenza in quel luogo. Poi d’improvviso quegli occhi neri, inaspettati, silenziosi  erano spuntati dietro la siepe naturale che faceva splendido corollario alla sorgente d’acqua. Non una parola, nulla. Solo uno sguardo che era durato svariati minuti, dopodiché la donna era riscomparsa silenziosamente così come era apparsa.Nei due giorni successivi si sentiva inquieto, non riusciva a dimenticare quella donna eppure non ne aveva parlato con il suo amico; un riserbo strano per un uomo come lui, abituato a esternare sentimenti e domande. Poi si decise. Con meraviglia scoprì che la donna dagli occhi neri,  morti i suoi genitori, abitava da sola nella casa accanto a quella che lo ospitava. Il suo amico fece di più, invitò la donna,una sua cugina, a pranzo. Timidamente, aveva intavolato una conversazione a fine pasto, che poi era continuata in giardino. Non si accorsero che erano rimasti soli. Lui parlava, descriveva la sua Milano a quella donna. Forse la rendeva anche più bella di quanto fosse. Ricamava davanti a suoi occhi ogni guglia del Duomo come se fosse qualcosa di prezioso; le faceva quasi annusare la Storia che si viveva passeggiando  all’interno del Castello Sforzesco; l’accompagnò per mano lungo le vetrine di Via Montenapoleone, illustrando le sue luci e il suo sfarzo; le cantò qualche aria d’opera, come se stessero all’interno della Scala a ascoltare il Nabucco e non nella meravigliosa e selvaggia natura calabrese.Lei ascoltava rapita. Non si era mai allontanata da quel paesello e anche se aveva visto la città qualche volta in  televisione, di Milano conosceva solo la sua nebbia, il suo caos e la sua ricchezza insieme alla sua povertà.Ora quell’uomo sembrava dipingesse per lei altri quadri, altri paesaggi.I giorni passarono velocemente; presto venne l’ora di partire. Con un ardire tutto suo era riuscito ad abbracciarla prima di partire e, seppure lei si era irrigidita, aveva sentivo vibrare quel corpo contro il suo.Presto venne di nuovo l’estate e lui, dopo mesi di cartoline e di lettere, era tornato. Sapeva che il suo cuore era rimasto imprigionato da quegli occhi color carbone. L’aveva chiesta in moglie. La madre del suo amico, come unica parente vicina, aveva accettato e lui era ritornato a Milano a preparare il loro nido d’amore  Si sarebbero sposati prima di Natale a Milano, l’avrebbe accompagnata la mamma del suo amico.L’espresso entrò sferragliando in stazione, lui lo vide da puntino piccolo farsi sempre più grande finché gli si fermò proprio di fronte . Una fiumana di gente cominciò a riversarsi fuori e finalmente la ragazza dagli occhi di carbone scese guardandosi intorno smarrita, sopraggiunta dalla zia e da una cugina.Un quadro familiare che si staccava netto per colore, rispetto al contesto; guardò il grande orologio che campeggiava in stazione che segnava le 15,30 del 12 dicembre 1969, era molto emozionato, quel giorno stava cambiando la sua vita.Prese sottobraccio la zia, che aveva accanto la figlia e la nipote, e si avviarono verso il ristorantino che era situato sotto casa sua, in via Apulejo. Si erano appena seduti quando un boato proveniente dalla grande piazza vicina, Piazza Fontana, li scosse; loro ancora non lo sapevano ma, oltre alla storia della  loro vita, quel giorno sarebbe cambiata anche un pezzo  della Storia d’Italia.

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