Il male di questa epoca è la solitudine. La solitudine che separa le persone, che ci fa perdere la capacità di stare insieme anche in maniera banale, che ci fa prediligere lo star soli, che ci allontana dalla felicità associata alla condivisione di spazi fisici e spirituali. Si dirà che la solitudine è stata sempre un male, anche in altre epoche. E’ senza dubbio vero. Tuttavia, oggi, esistono condizioni sociali, economiche e tecnologiche che rendono la solitudine più pericolosa che in passato.
Si dirà che ci si può sentire soli anche in mezzo ad una moltitudine e che le tipologie di convivenza summenzionate potevano generare tensioni e problemi. Tutto vero. Eppure crediamo che il puro “stare da soli” che significa, ad esempio, l’assenza di qualcuno che, tornato a casa, ti chieda com’è andata la giornata o con cui commentare una stupidaggine appena sentita in televisione, rischiano di trasformare le “comodità” di non avere qualcuno intorno in solitudini sempre più croniche, sempre più fonti di depressioni e lente chiusure verso il mondo.
Ci si abitua facilmente a stare da soli, si cominciano ad apprezzare piccole “agi” che poi divengono irrinunciabili: ascoltare la musica che si vuole, mangiare all’ora che si vuole, non dover rendere conto a nessuno di tante cose. E pian, piano si perde non solo la capacità di condividere la quotidianità spicciola ma anche la sfera dei sentimenti, delle emozioni; insomma tutto quanto è necessario per stare insieme ad altri esseri umani, siano essi i nostri colleghi, i familiari o il nostro partner.
Diceva Francis Scott Fitzgerald che “quando si è soli nel corpo e nello spirito si ha bisogno di solitudine, e la solitudine genera altra solitudine.” Il rischio è proprio di entrare in una spirale che ci avvolge pian, piano senza che ne abbiamo chiara coscienza, come un veleno che ci avvelena ogni giorno goccia a goccia, e quando ce ne accorgiamo è troppo tardi.
Vivere da soli c’ha sicuramente anche i suoi bei vantaggi.
La solitudine ci rende scorbutici, irritabili, duri, così che cominciamo a giudicare ogni contatto con il prossimo sempre più come un’ingiustificata e sgarbata intrusione nella nostra sfera privata invece che come l’occasione per un sorriso. Come creta che può essere inizialmente modellata, ma poi, con il tempo, s’indurisce assumendo una forma immutabile, più passano gli anni, più diventa difficile ‘modellare’ il proprio essere per trovare un “incastro” proficuo con un’altra persona.
Oltre alle mutate condizioni economiche summenzionate, fino a pochi anni fa esisteva una forte pressione sociale che spingeva gli individui ad accoppiarsi o comunque a vivere insieme: era socialmente mal visto che un uomo o peggio una donna vivessero soli o, in generale, facessero cose da soli. Oggi, fortunatamente, esiste una quasi completa libertà ed ognuno può vivere la vita come vuole. Tuttavia, la libertà, questa come altre, va vissuta con profonda attenzione, perché, altrimenti, essere liberi rischia di condurci ad assecondare le nostre inclinazioni meno feconde, che, giorno dopo giorno, seppelliscono quelle che invece possono avvicinarsi alla felicità. Proprio come l’attitudine a volersene stare da soli, in senso strettamente fisico, ma anche spirituale.
Chi ha 30 o più anni, ha probabilmente alle spalle qualche esperienza di “condivisione” non positiva. Ed allora, può essere facile cedere alla tentazione di “non volerne più sapere”, rinchiudersi in se stessi/e, costruirsi una corazza che impedisce al prossimo di farci del male…ma anche di farci del bene.
Ci si rifugia nelle proprie ossessioni, ci si limita a rapporti anche fisici, anche sessuali, occasionali, che non richiedano alcun tipo di impegno, magari addirittura virtuali, come quelli assicurati dall’infinita e onnipresente offerta pornografica (come discusso in questo articolo), molto più accessibile che in passato. Così come è più semplice e “praticabile” di una volta relazionarsi con escort o prostitute che dir si voglia (anche in questo caso lo strumento internet è potentissimo) che sono pagate non tanto per offrire sesso, quanto per andarsene appena finito il sesso, quando dovrebbe subentrare l’impegno, l’approfondimento della relazione, lo scambio di qualcosa che vada oltre il mero atto sessuale.
Si tende e si rischia di soddisfare (o credere di farlo) i bisogni di socialità con le innumerevoli possibilità tecnologiche attuali, instaurando rapporti comunicativi, mediati da uno schermo o un’applicazione dello smartphone, che ci proteggono e rendono tali relazioni inevitabilmente superficiali. La tecnologia ci avvicina e permette di comunicare in maniera strabiliante, ma, se utilizzata non come uno strumento che abbia il fine ultimo di una autentica interazione fisica, reale e profonda, rischia piuttosto di acuire la nostra solitudine. Perché il contrario di solitudine non è la comunicazione, non è l’avere mille amici su Facebook o 7 chat aperte, il contrario di solitudine è stare in intimità. E per giungere a toccare l’intimo occorre inevitabilmente mettersi in gioco, rischiare di farsi ancora male, perdere rigidità, prendere in considerazione che rinunciare alle piccole comodità dello stare da soli significa investire energie e pezzi di se stessi per raggiungere una maggiore felicità. Nella condivisione, non quella su Facebook, ma quella fisica ed emozionale, le persone danno il meglio di se stesse, rendono possibile il fiorire delle proprie potenzialità, della nostra umanità.Altra caratteristica di questi tempi è la scelta di un animale come fonte ed oggetto d’affetto. Certamente il rapporto con un cane o un gatto può donare inestimabile arricchimento emozionale e profondità di sentimenti, ma il rischio è che esso sia vissuto in contrapposizione con il rapporto con gli esseri umani, nel quale si è persa ogni fiducia e nel quale si ha paura di impegnarsi ancora, magari per esperienza passate finite male. Perché gli esseri umani tradiscono, deludono, t’ingannano. Mentre un cane sarà sempre pronto a darti amore. Non voglio in alcun modo sottovalutare l’importanza delle relazioni con gli animali, tuttavia esse, per definizione, non possono assicurare la profondità derivante dalla parificazione tipica di una relazione tra due esseri umani.