
L’altra notte ho assistito in televisione a un evento straordinario. C’era un tizio che chiedeva scusa. Sì, avete letto bene: non accampava scuse, le porgeva. Senza negare l’evidenza, senza dire «ma lo fanno anche gli altri», senza evocare macchinazioni ai suoi danni o sentirsi la vittima di una provocazione: attività diversive in cui sono specializzati i campioni di rivoltamento frittate e arrampicate sugli specchi che occupano in pianta stabile i talk show. Questo tizio, che poi è un calciatore famoso, Christian Chivu, un’ora prima aveva steso un avversario con un cazzotto, e adesso stava lì, davanti ai microfoni, per chiedere scusa a tutti. Ma bisognava vedere come.
Umiliandosi, dandosi del pezzo di m., vergognandosi pubblicamente per il cattivo esempio offerto agli appassionati di calcio e alle sue figlie, infine togliendosi la cuffia per scappare, e scoppiare, in un pianto dirotto. Persino il calciatore vittima del cazzotto ne è rimasto così sconvolto che il ringhio giustamente offeso con cui si era presentato di fronte alle telecamere si è spianato di colpo in un sorriso di pace. Se Chivu è un attore, merita l’oscar a vita. Il resto, lo ammetto, lo ha fatto la mia astinenza. Nutrita da razioni quotidiane di cinismo, l’anima conserva una fame disperata di modelli positivi o anche solo semplicemente umani. Un’autocritica pubblica evoca scenari stalinisti. Ma questa sembrava sgorgare dal cuore e così, con un certo imbarazzo, mi sono ritrovato a perdere acqua dagli occhi, come si dice che capiti soltanto ai vecchi e ai bambini.
MASSIMO GRAMELLINI