Amo l’autunno, ma tre giorni ininterrotti di pioggia sanno mettere alla prova anche l’intesa più collaudata.
Invece di continuare ad assecondare brume e cupe sfumature con un buon nero o un oolong invecchiato, come mi è piaciuto fare nei giorni passati, oggi ho preferito sollecitare il ritorno del sole con le leggiadre foglie di un Tai Ping Hou Kui, acquistato da BiblioTèq nei miei ultimi (ma non ultimi!) giorni romani.
Ha foglie appiattite e lunghissime (possono arrivare a misurare fino a 15 centimetri!), questo tè pregiato così diverso da ogni altro; guardandole da vicino si riconosce l’inconfondibile reticolo di linee impresse, risultato della pressatura tra appositi graticci o panni di stoffa la cui trama segna la delicata superficie smeraldina.
Il Tai Ping Hou Kui ha un suo proprio cultivar (varietà specifica), le cui foglie, particolarmente lunghe, vengono raccolte più tardi del solito per lasciarle crescere quanto più possibile. I germogli, anch’essi d’inusuale grandezza, una volta tanto non sono i protagonisti: ne approfittano per rimanere timidi, facendo appena capolino, in un tutt’uno con le più ampie foglie mature.
Il nome ce ne indica la provenienza: la contea cinese di Tai Ping, nella provincia dell’Anhui; il villaggio originario di Hou Ken è ancor oggi il luogo che eccelle nella sua produzione. La particella “Kui” deriva invece dal nome dell’uomo (Wang Kui-Cheng) che lo “inventò” nei primi anni del Novecento, sperimentandone per primo la particolare composizione e lavorazione.
Le piantagioni in cui cresce lambiscono l’impervia regione dei “monti gialli” (Huang Shan), e da questa sua posizione geografica prende le mosse la leggenda che lo vorrebbe tè raccolto da scimmie addestrate – Monkey King è il suo secondo nome: re delle scimmie -, che sole erano in grado, in passato, di raggiungere le piante avventuratesi sugli speroni rocciosi più ripidi e scoscesi.
Al palato è delicato ma ampio e rotondo; il naso si immagina fieno fresco, nebbia densa e incontaminata inspirata profondamente, un tocco appena di nocciole tostate. E’ un gusto estremamente pulito e chiaro, con un sottofondo dolcemente vegetale e un retrogusto rinfrescante che sa di giornata di sole passata ad accarezzar prati, che tende a crescere in dolcezza con l’aumentare della qualità.
I tè così rinomati, basta un niente e li si prende troppo sul serio, li si scruta con soggezione, li si erge su piedistalli che esigono riverenze; per questo oggi ho voluto giocarci, con sua altezza Tai Ping: una tazza tutta di violette vestita, una tartarughina pazzerella che fa capolino, le magiche casette colorate di Tiziana Rinaldi a far da sfondo: ci siamo divertiti, pur rimanendo io in fiduciosa attesa di un Tai Ping che mi faccia esclamare un ooooh! grande quanto la sua reputazione, se mai avrò la fortuna d’incontrarlo.
Dicono che domani sia l’ultimo (ma non ultimo!) giorno di pioggia: ho addirittura finito per crederci ;-)