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Un semplice pezzo sull'umiltà

Da Gio65 @giovanniparigi

«Parlare dell'umiltà è il tema che mi è stato cortesemente imposto. Tema assai difficile da affrontare. Infatti, come ritenersi in grado di parlare dell'umiltà senza correre il rischio di prestarsi al ridicolo? O come parlare dell'umiltà a una società che rifugge l'ultimo evangelico posto per riposare sugli allori del successo? Vieppiù queste difficoltà aumentano se chi parla dell'umiltà ne parla senza averne fatta esperienza, in mancanza della quale è bene affidarsi a esempi illustri.

Una Madre del deserto afferma che non salvano le ascesi o le veglie, né alcuna fatica, ma solo l'umiltà sincera; mentre per Isacco il Siro ciò che il sale è per il cibo, l'umiltà lo è per la virtù, per cui senza di essa tutte le opere sono vane. L'umiltà come coronamento indispensabile di ogni virtù, ma anche esperienza concreta, inserita in un contesto evangelico che di per sé tende a esulare dalla «virtù dell'umiltà» per descrivere, piuttosto, uno «stato d'umiltà» la cui radice cristologica è evidente e si caratterizza per l'abbassamento. Paolo lo ha messo ben in luce nella lettera ai Filippesi quando dice che «Egli si è abbassato per questo è stato innalzato». E il senso e la necessità di quest'abbassamento risulta chiaro anche dai sinottici, laddove si legge che «chi si esalta sarà umiliato, mentre chi si umilia sarà innalzato».

L'umiltà di Gesù non fu una qualità di cui Lui ci ha dato l'esempio, ma un vero e proprio cammino di salvezza, il cui primo passo è un abbassamento che Dio attua con due principali strumenti: la tentazione e il peccato. Queste sono le due arterie che portano al cuore del processo che avrà come esito, un giorno, l'umiltà. Tentazione e peccato frantumano il cuore. Qualora l'uomo acconsenta a questa dura pedagogia divina s'infrange lo specchio narcisistico e si allontana il fariseo che è in noi. Se l'umiltà albergasse nel nostro cuore non ci sarebbe bisogno di una pedagogia così severa, a cui Dio ricorre una quando una prima umiliazione non è bastata e la vanagloria s'impossessa dei primi, preziosi frutti della santità. Come scrive Isacco il Siro, Dio permette tentazioni e peccati «affinché trasgressioni e colpe divengano un'occasione di umiltà».

In conclusione diciamo che l'umiltà è il vestito di Dio, senza dimenticare che «l'umiltà ottiene cose troppo alte per essere insegnate; essa raggiunge e possiede ciò che la parola non riesce neppure a sfiorare».

Posò sul tavolo le poche pagine che contenevano l'articolo per il quotidiano locale. Aveva dovuto scriverle proprio lui, il più giovane frate del convento, per obbedienza. Le mille scuse addotte non erano state capaci di esonerarlo dall'incarico, che aveva svolto attingendo a piene mani dai testi presenti in monastero. Sperava che la sua sintesi fosse comprensibile, ma sapeva che in fondo le uniche parole sensate erano quelle finali, cioè che l'umiltà raggiunge e possiede ciò che la parola non riesce neppure a sfiorare. Tirò un sospiro e si alzò. Dalla finestra della sua cella filtrava la chiara luce del mattino e pochi ovattati suoni giungevano a singhiozzo. Dette un'ultima occhiata ai fogli che giaceva sul tavolo e pensò quanto sarebbe stato più comprensibile, più vero quel piccolo saggio sull'umiltà se avesse avuta a sua disposizione un’esperienza concreta, un esempio preso dalla sua vita quotidiana. Ma ciò non era stato possibile e l'indomani quelle sue parole, che lui considerava al vento, sarebbero state pubblicate, cioè tenute in una qualche considerazione da alcuni, ignorate dalla stragrande maggioranza. Guardò l'orologio e si accorse che di lì a dieci minuti avrebbe dovuto scendere in confessionale per assolvere il voto che aveva fatto e che lo teneva lì per alcune ore al giorno, in attesa di qualche penitente.

Uscito dalla sua cella, fece lentamente i gradini che portavano in chiesa, che a quell'ora, come il solito, era vuota. Anche se il tempo nel confessionale passava molto lento, gli dava sempre una sensazione di pace la semioscurità di quella minuscola cella di legno: lo faceva sentire la riparo da tutto e gli dava occasione di praticare la virtù della pazienza in pieno accordo con il parere del suo padre spirituale. Giunto che fu al confessionale ne aprì la porticina e si sede, in attesa. Avrebbe voluto lasciare fuori tutti gli impegni della giornata ma quella relazione sull'umiltà si affacciò di nuovo alla sua mente. Lì, solo, seduto quello su scomodo sedile di legno non poté far a meno di chiedersi cosa fosse in realtà l'umiltà e chi potrebbe definirsi veramente umile. Tutte le pagine lette non erano riuscite a dargliene un'idea precisa e lui, seppur per obbedienza, aveva avuto l'ardire di spiegarlo ad altri. Con un bisbiglio rivolse la sua domanda a Colui che unico poteva dargli la risposta e disse: «Signore cos'è veramente l'umiltà?» Non si aspettava certamente una risposta, ma un'ispirazione, un pensiero che risolvesse il suo cruccio; ma niente, il tempo passava dicendogli che avevano scelto la persona più sbagliata per scrivere qualcosa in merito. D'un tratto udì qualcuno avvicinarsi al confessionale. Dal passo lento giudicò che fosse un anziano, ma appena udite le prime parole che gli furono rivolte si convinse che non poteva avere che una quarantina d'anni.

«Mi perdoni, padre, perché ho molto peccato in pensieri parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa» disse l'uomo.

«Da quanto tempo è che non ti confessi» chiese il giovane frate.

«Da moltissimo tempo, padre»

«Che cosa ti angoscia?»

«Vede padre, dicono di me che sono un maestro, e dicono bene perché lo sono. Ho ed ho avuto una responsabilità tremenda sulle mie spalle. A coloro che mi hanno ascoltato ho sempre parlato apertamente nelle pubbliche piazze.

Ho detto loro che saranno i poveri a ereditare il regno di Dio, ma hanno fatto del denaro l'unico scopo della loro vita.

Ho detto loro che felice è chi piange perché saranno consolati, ma i miei si sono dati all'allegria più sfrenata.

Ho detto loro che i violenti saranno estirpati dalla faccia della terra, ma i miei hanno scatenato guerre sanguinose.

Ho detto loro che saranno esauditi i buoni desideri, ma i miei si sono abbandonati a ogni turpitudine.

Ho detto ai miei di avere compassione gli uni per gli altri, ma hanno preferito l'indifferenza.

Ho detto loro di mantenere il cuore puro per vedere il fratello, ma proprio loro si distinguono per cecità.

Ho detto loro di essere portatori di pace, ma hanno ordito congiure.

Ho detto loro di non preoccuparsi delle persecuzioni, ma loro per primi sono stati persecutori

Infine ho detto loro di non preoccuparsi delle calunnie e delle parole ingiuriose che avrebbero potuto ricevere, ma cosa ho ottenuto se non calunnia e disprezzo proprio da loro nei confronti degli altri? ».

Il frate ascoltava in silenzio quello strano monologo di chi si addossava colpe non sue, o almeno non direttamente sue. Era curioso di vederne la faccia e così, mentre recitava la formula di assoluzione, avvicinò la mano alla tendina che separava i due interlocutori per potere almeno scorgere quello strano uomo dalle grandi responsabilità.

«Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine patris et filii...» e non aggiunse altro. La tendina leggermente discosta mostrava una nicchia vuota di fronte a lui. Meravigliato, aprì lo sportello per guardarlo almeno andar via, ma in chiesa non c'era nessuno. Uscì dal confessionale perlustrando con gli occhi tutta la chiesa. Si chiedeva come avesse fatto ad andarsene così di fretta di quando un leggerissimo, inspiegabile refolo di vento fece tremare il piccolo coro di candele accese sotto l'altare.

«Signore... Tu...l'esempio...» furono le uniche parole che il giovane frate riuscì a dire.


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