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Un supercommissario per il pasticciaccio brutto

Creato il 09 ottobre 2012 da Albertocapece

Un supercommissario per il pasticciaccio bruttoAnna Lombroso per il Simplicissimus

Come alunni asinelli che copiano il compito, perfino il tema con i ricordi personali, i ministri del Governo Monti ripetono spudoratamente il copione dell’esecutivo del pagliaccio: far incancrenire i bubboni così che crisi fronteggiabili diventano emergenza incontrastabile se non con la chirurgia dei tagli o la prepotenza delle misure speciali, delle leggi eccezionali, dei commissari straordinari, istituti che peraltro si addicono a tutti i cattivi governi come dimostra ampiamente quell’espressione geografica, o finanziaria, chiamata Europa.
Così una volta definitivamente cancellato il sistema di controlli e depauperati gli organismi di vigilanza per la lotta alla corruzione, ecco che Catricalà sfila dal cilindro il supercommissario, che non piace alla Severino – vedi mai che possa funzionare – mentre pare faccia sognare la sora Cancellieri, che forse lo immagina muscoloso più che muscolare, vestito da sceriffo o da poliziotto all’americana, con tanto di pistolone. Che si sa questo è un governo attento alle apparenze più che ai contenuti, così dovrà incutere soggezione, suscitare timore più che persuadere con l’esempio e convertire alla legalità con la sua personale irreprensibilità. C’è da immaginare che saranno soggetti raccomandabili fan delle vacanze all’Argentario, terremotati con vista sul Colosseo, prosperosi azionisti di aziende e banche, chè quello che conta è che siano esplicitamente e fedelmente annessi, affiliati, affini e fidelizzati.

Comunque hanno ragione a chiamarlo supercommissario: ci vuole proprio superman per mettere le mani su un contagio che ormai si è diffuso a tutti i livelli territoriale e gerarchici. Fu lungimirante Sabino Cassese allorché volle avvertire che quando le funzioni pubbliche vengono trasferite dal centro alla periferia aumenta quasi fisiologicamente il rischio della corruzione: perché cresce la “contiguità” tra l’amministrazione e gli interessi e poi perché le burocrazie regionali, selezionate con minori garanzie, sono più “permeabili” dalla politica di quanto non accada a livello centrale.
Ma fu ancora più sagace e avveduto il sistema del malaffare se fece in modo da affidare i controlli sull’amministrazione periferica (Regioni, province, comuni) all’autodisciplina interna, rendendo inefficace l’azione delle sezioni regionali della Corte dei conti (controlli legalistici e a posteriori) e svuotando di competenze e potenza le altre forme di vigilanza sui conti degli enti locali, primo di tutti il Coreco, istituto che non suscita certo rimpianto per gli accertati standard di commistione per non dire collusione, ma che fungeva in molti casi da pudico cuscinetto.

E allora cosa c’è di meglio di un superincaricato, superpagato supertecnico e super-partes, purché ben dentro a una parte sola, la loro, uno sbriga faccende al servizio di un potere intento a riorganizzare in tempo reale le energie del capitale, smaniose di incassare i dividendi di una campagna moralizzatrice fondata sulla diffamazione del pubblico (ridotto a sinonimo di spreco e malcostume) e sull’apologia del privato (pretesa garanzia di eccellenza e onestà, di merito, produttività ed efficienza). Cosa ci può essere di meglio allora di un capoccia con gli stivali e il frustino per mettere in riga proprio come in Grecia i veri colpevoli del buco in bilancio. Non la cattiva politica che adesso a detta di monti si è ravveduta, non i Fiorito, ma lo stato sociale, l’assistenza, l’accoglienza, la cura, l’istruzione, il paesaggio, diventati territorio di scorrerie e predazioni di corrotti individuali e ora obiettivo di una razzia ideologica e di regime, per svendere, liquidare, frazionare a beneficio di pochi e a danno di tutti, in modo che diventi giusto e legittimo e razionale e riformatore metterci davanti all’inevitabile ricatto, aumento dell’Iva o tagli alla sanità.
Certo la sanità è stata una voragine, il terreno simbolico del saccheggio, il laboratorio sperimentale della corruzione endemica e epidemica, grazie alla disorganizzazione degli apparati, alla scarsa separazione tra politica e amministrazione , alla gestione opaca e manipolata degli appalti, con la consuetudine diffusa degli affidamenti diretti, la selezione e gestione del personale, basata su concorsi ad personam o addirittura sulla prassi dell’assunzione fuori sacco, degli ope legis, delle promozioni, retribuzioni, trattamenti aggiuntivi privi dei presupposti di legge, sul familismo e il clientelismo.
E la mannaia del governo si riconosce sempre per l’indole ottusa a cadere malamente su teste sbagliate, siano i pensionati o gli insegnanti, i bisogni, i diritti e le garanzie o la salute, l’ambiente o le risorse, pur di risparmiare il ceto di partiti, dirigenza, manager al loro servizio, pur di ubbidire a padroni vicini e lontani, pur di contribuire alla creazione e moltiplicazione di un profitto abnorme e illimitato quanto è incolmabile il debito dello Stato.
Così è lecito pensare che la corruzione sia un utile male, funzionale all’ideologia che ispira e anima le azioni del governo attuale e di quelli precedenti, perché crea un proficuo fumus, favorisce scelte autoritarie e perpetua le disuguaglianze anche all’interno della stessa “economia”, inquinando la concorrenza leale, minando la competitività legittima, appagando le voracità accumulatrici.
Perfino la Corte dei Conti denuncia che la corruzione è diventata “sistema” e come tale va affrontata per sottrarla a quella assoluzione antropologica desiderata dalla politica, dal mondo di impresa, da corrotti e concussi in ugual misura, perché è ormai fatto istituzionale, modo di governo della cosa pubblica, da modalità di esercizio del potere, si è fatta potere essa stessa, ha prodotto le sue istituzioni, le sue reti formali e informali, le sue aree di influenza, una sua economia.
Ma la sfiducia nella politica non è solo alimentata dagli gli episodi di corruzione che danno un quadro desolante della vita interna dei partiti. E nemmeno è nutrita soltanto dallo spettacolo moralmente riprovevole dei privilegi a cui il ceto politico, indistintamente, si mostra così tenacemente legato. Monta invece come una bolla di malcontento sempre più feroce per la ormai conclamata incapacità del ceto politico e dei governi di cambiare, se non in peggio, la condizioni delle grandi masse popolari, per la potenza distruttiva che dietro agli annunci ingannevoli delle “riforme” ha smantellato stato sociale, sovranità statale, lavoro e diritti.
E se per difendere le loro rendite, i loro privilegi e quella loro soave illegalità vogliono affidarsi a Superman forse sarà meglio che noi prepariamo la kryptonite.


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