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UN TEMA E UN LIBRO: Alcune ricorrenze nella giovane poesia Loris Di Edoardo, La strada più lunga

Da Narcyso

UN TEMA E UN LIBRO:
Alcune ricorrenze nella giovane poesia
Loris Di Edoardo, La strada più lunga

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UN TEMA E UN LIBRO: Alcune ricorrenze nella giovane poesia Loris Di Edoardo, La strada più lunga
Si ha spesso l’impressione, leggendo le opere prime e seconde di qualche giovane autore parecchio lontano dai soliti enturage – il che vuol dire mettere la propria parola nel rischio della massima libertá – che la poesia, lasciata in uno stato di timorosa vibrazione, debba per forza porsi il problema del come dire “osservandosi” a lume di candela, secondo una direzione di trattenimento dell’essenziale, del rigo della melodia piuttosto che quello dell’armonia.
E’ come se la parola dovesse riformarsi partendo da pochissimi elementi, e questa auscultazione non coincide con forme di minimalismo sperimentale o metaletterario ma col riproporsi delle domande. Per esempio: Che cosa avviene al soggetto quando scrive? In quale forma viene avvertita la materia poetica ?
E’ possibile, quindi, isolare alcuni elementi in questa poesia che sceglie di abbassare massimamente la voce: il rapporto, memoriale o autobiografico, con un micro territorio; l’attivazione, di conseguenza, di canali percettivi minimi, non in funzione simbolica o astrattiva ma di rimando alla forma “neuronale” della materia, a una semplificazione dell’inquadratura senza peró rinunciare al contorno; la rinuncia a un titanismo giovanile, a una spoccheria amorosa impersonale e spesso generica, in nome, invece, di un colloquio umbratile o timido, con l’altro da sé. A una leggerezza, finanche, senza che questa diventi superficialismo. La conseguenza di questi tratti ricorrenti, potrebbe essere un ragionare dal tono quasi leopardiano, vicinissimo alle cose ma senza confondere parole e cose, schermando con le dovute precauzioni forme di animismo, sentendo, piuttosto, la vicinanza alle cose come una forma della conoscenza elementare, compagna peró della disillusione e della malinconia. Sono elementi che, per uno studio futuro, potrebbero contribuire a delineare un modo di sentire la parola da una parte distante da una poesia sociale assai spesso espressivamente debole o sciatta, dall’altra da un menefreghismo semantico ancora assai diffuso.

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Loris Di Edoardo, LA STRADA PIU’ LUNGA, L’Arcolaio 2012

Ritrovo, in questa opera prima di Loris De Edoardo, il microclima di un ambiente famigliare descritto a partire da una risonanza col soggetto – La notte ha il carattere/ schivo che mi si addice – p 60.
Il soggetto é appartato, dunque, fragile, timido: “Svegliarsi al mattino/e piano muovere/le ossa fragili/di una notte insonne/trascorsa a vagliare i pericoli/di ogni ombra” p 39.
La voce, quindi, non grida, é cosciente che le parole non sono monumenti ma “stanno/ come macerie inerti” e che ” le raccogli pensando all’inverno” p 62.
Scarnificato il dettato, questo non vuol dire, peró, ridurre all’osso il pensiero. Anzi: il lavoro si fa piú acerbo, la constatazione dell’incertezza piú bruciante, “(Ció che vedo é troppo vivere, troppo morire)” p 70. La poesia é casa, sí, ma non certo un luogo in cui titillare la bellezza, “sede provvisoria/ di un’esecuzione” p 72.
Chi scrive rischia di scomparire da un momento all’altro, di non sopravvivere alle proprie stesse parole: “La penna é una palude/che ingoia il supposto/ atto di presenza” p 73.
La poesia non rinuncia a interrogarsi sul proprio destino e sul destino di chi la scrive: “Davanti c’é un uomo che si cerca nelle parole” p 23.
C’é un doppio dettato nella poesia: quello che ci chiama a un appello, a un dire a tutti i costi, volenti o nolenti, e un altro che ci chiede chi siamo, che cosa vogliamo dalla nostra musa. Qui il poeta non vuole stare solo, riconosce gli affetti e la memoria, le piccole epoche di fatti minimi: “La tua stanza profuma di miele./ Sulle pareti i disegni hanno tratti leggeri” p 44; ma sa anche che il nostro destino non si differenzia molto da quello delle foglie cadute e che “vivere non é raccontarsi nei versi” p 23. “Meglio procedere immobili/ tra una folla urlante./ Ho un sorriso per tutti. Sempre./ E’ la mia unica fede.” p 73.
Fede nella vita, innanzitutto, e disillusione verso le povere armi della parola: scrivere, se è proprio necessario, ma senza aspettarsi nulla: “cercare ragione o mistero nelle cose” p 74.

Gand, luglio 2012

Sebastiano Aglieco

Si possono leggere i testi qui


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