Certo, a livello nazionale l’esperimento della provincia reggina sta passando quasi inosservato. E non potrebbe essere altrimenti. A meno che i vertici dell’Udc non riescano ad essere convincenti nel dichiarare cosa, se non le poltrone, impedisce di fare a Reggio ciò che Casini va predicando da due anni in giro per tutta Italia.
Il Polo civico raccoltosi attorno a Pasquale Tripodi, Pietro Fuda e Giuseppe Bova, per come si è costituito, presenta delle differenze sostanziali rispetto al progetto originale del Terzo polo, poiché per certi versi (presenza di una componente proveniente dal Pd, quella di Bova) va addirittura oltre i confini stabiliti a livello nazionale. Se i detrattori vi vedono soltanto il tentativo di restare aggrappati alle poltrone messo in atto da una classe politica “vecchia”, i promotori ne sottolineano la rivendicazione di autonomia decisionale rispetto all’imposizione dall’alto, sottolineata dallo slogan “la nostra autonomia senza se e senza ma”.
È un dato di fatto che Tripodi e Bova sono fuorusciti da due partiti tradizionali. E che le scelte riguardanti i candidati a sindaco e presidente della provincia delle altre coalizioni sono causa di frizioni non meno forti con il livello romano. La vicenda del siluramento della candidatura di Luigi Fedele da questo punto di vista è sintomatica. È giunto forse il momento di una riflessione comune sui meccanismi di selezione della classe politica. I partiti non sono più palestra di niente. Men che meno sono utili per la formazione della classe dirigente del paese. Il loro declassamento al ruolo di comitati elettorali al servizio del leader di riferimento, se ci riporta all’Ottocento e alla lotta politica nella fase precedente lo sviluppo dei partiti di massa, ha anche come effetto il proliferare di cartelli coincidenti con le aspirazioni personali di candidati che, a Roma come nella periferia, consumano gli stessi stanchi riti.