Regia di John Boorman
con Jon Voight (Ed Gentry), Burt Reynolds (Lewis Medlock), Ned Beatty (Bobby Trippe), Ronny Cox (Drew Ballinger), Ed Ramey (il vecchio alla pompa di benzina), Billy Redden (il ragazzo col banjo), Seamon Glass (primo Griner), Randall Deal (secondo Griner), Bill McKinney (il montanaro), Herbert “Cowboy” Corward (l’uomo senza denti), James Dickey (sceriffo Bullard).
PAESE: USA 1972
GENERE: Thriller
DURATA: 108’
Quattro alto borghesi di Atlanta, decisi a passare un weekend a stretto contatto con la natura incontaminata, decidono di attraversa in canoa il fiume Cahulawassee. Lo scontro con alcuni bifolchi del luogo, tuttavia, trasformerà la spensierata avventura in un incubo…
Dal romanzo omonimo di James Dickey, anche sceneggiatore e attore (nella particina dello sceriffo Bullard), uno dei film più noti e controversi dei primi anni ’70, se non altro per due passi che difficilmente si scordano: il duetto banjo/chitarra iniziale e lo stupro omosessuale ai danni di Beatty, uno dei primi mostrati al cinema senza mezze misure. In realtà è un robusto thriller d’avventura che riflette, in modo critico e tutt’altro che banale, su quel ritorno al selvaggio tanto decantato dalle filosofie new age (sorte proprio sul finire degli anni ’60) che demolivano il concetto di città e auspicavano una purificazione che poteva avvenire soltanto a contatto con la natura. Più che di una natura matrigna, comunque, Boorman parla di una natura maestosa e quindi indifferente alle disgrazie umane. Nella seconda parte la tensione si allenta, e i personaggi non sempre risultano credibili (la visione d’insieme di Lewis/Reynolds, qui ancora senza i celeberrimi baffi, è stucchevole), ma nonostante gli anni rimane un film unico e potente, molto interessante ed originale sia a livello formale che a livello tematico. Anche la tanto criticata inquadratura finale, spesso definita “plateale” o “fuori luogo”, è in realtà perfettamente coerente col resto del film. Se spesso viene scambiato per ciò che non è – un capolavoro – il merito è soprattutto della regia anomala ed evocativa di Boorman, qui al suo meglio, e della fotografia dell’esperto Vilmos Zsigmond. Il titolo italiano, una volta tanto, non sfigura accanto all’originale (che significa “liberazione”, inteso come “purificazione”). Il fiume Cahulawassee in realtà non esiste: si tratta del fiume Chattoga. Da vedere.