“Siamo qui! Siamo chiusi dentro la libreria. Fateci uscire!!!”. A forza di spiegazioni, grida, indicazioni e presentazioni reciproche da un lato all’altro della saracinesca, Teresa e Giovanni scoprirono che stavano parlando con il proprietario dell’alimentari, tre negozi prima. Si era attardato, per servire gli ultimi clienti e sistemare sugli scaffali quanto ricevuto da un fornitore. Scoppiò a ridere, al sentire cosa era capitato, si fece ripetere da Teresa il numero di casa. “Quel matto del Roberto! Aveva la testa per aria questa settimana: stasera la morosa lo porta in casa dei suoi per la prima volta! Oh, poverini! Adesso vi aiuto io, vediamo cosa posso fare. Torno subito, non vi muovete! Ah, già, non potete muovermi!!!”
“Spiritoso”, disse Giovanni quando si fece, di nuovo, silenzio. Restarono a guardare la serranda senza parlare per qualche minuto, poi si sedettero, in attesa. “Tornerà?!”, si chiese Teresa a voce alta. “Penso di sì.”, rispose Giovanni. “Di cosa stavamo parlando? Ah, sì. Perché trova che i libri siano noiosi?”. Di nuovo con tutte queste domande sui libri. Teresa sospirò. A Giovanni probabilmente l’argomento stava a cuore. Che peccato, pensò, non essere rimasta chiusa in un grande magazzino. Lì si che avrebbe saputo come far passare il tempo. Altro che conversazione. Avrebbe fatto anche la spesa, potendo. Avrebbe risparmiato un mucchio di tempo. “Non lo so. Non mi piacciono, ecco tutto. Mi annoio. Se ho del tempo libero, preferisco fare altre cose. E poi, tutte quelle parolone. Io ho fatto le commerciali, non ho studiato molto…”. La voce le si abbassò di un paio di toni. “Non vuol dire niente, sa. Ci sono i dizionari per le parolone. Io ho fatto le medie poi ho cominciato a lavorare. Eravamo in otto fratelli, ero il più grande. I soldi non bastavano mai. Mi ha preso a bottega un idraulico, mi ha insegnato il mestiere. Ma i libri! Leggevo in ogni minuto libero. Mi portavo un libro in tasca, leggevo nella pausa del pranzo, tra un lavoro e l’altro. Leggevo sul furgoncino, mentre si andava dai clienti. Il mio padrone mi chiedeva spesso di leggere ad alta voce: si annoiava, nei tempi morti. E adesso continuo a leggere. Anche mia moglie legge. Il momento più bello del giorno per me è la sera. A letto, vicini, leggiamo, mezz’oretta, io le mie cose, lei le sue e ce le scambiamo, finito il libro e poi parliamo insieme delle cose che ci sono piaciute…”. Giovanni pareva un fiume in piena: gli occhi brillavano, la voce rideva. Teresa pensò alle sue serate col marito: a volte, dopo il film, se non erano già tutti e due addormentati, parlavano anche loro, ma del figlio, della casa, delle cose da fare. Non finivano mai le cose da fare. Appena metteva la testa sul cuscino Valerio crollava, addormentato, stanco dopo una giornata in ufficio e lei anche, un’ora dopo di lui, sistemata qualcosa in casa. E chi aveva il tempo per leggere? Beato Giovanni. “Sa quale è un altro momento bello della giornata? Quando metto a dormire mia figlia e le leggo una storia o lei la legge a me. E’ in terza elementare: legge benissimo a voce alta. E’ furba sa? Ci diamo la buonanotte, spengo la luce e quell’asina lì continua a leggere, con una torcia sotto le coperte. A volte la lascio fare, a volte la sgrido perché la mattina dopo poi non si sveglia. Ma non la punisco mai, se la pesco che legge invece di dormire: lo facevo anche io! E suo figlio? Legge?”. “Carlo? No, a Carlo non piace leggere. E’ impegnato con lo sport: nuota, fa atletica, gioca a calcio. E’ un ragazzo, sa, sempre in movimento. Legge a scuola, se deve. A casa no.” Non lo disse a Giovanni, ma lo pensò, che era contenta che il figlio non stesse tutto il giorno in casa a leggere. Vedeva qualcosa di malsano in quei ragazzi sprofondati nelle poltrone per ore, con il naso in un libro. Quanto tempo perso, che brutto vizio. Che isolati. Molto meglio lo sport: era così bello, il suo Carlo, con tutti quei muscoletti su un corpo che si stava dimenticando la forma dell’infanzia. E quanti amici aveva, il suo bambino, sempre intorno. Quelli che leggono, pensò Teresa, sono sempre soli.
Un colpo alla saracinesca interruppe la conversazione. “Ehi, voi due là dentro! Ci siete ancora?!!!! C’è una finestrella sul retro: vedete un po’ se riuscite ad aprirla che vi passo da mangiare!”. Giovanni si allontanò verso le stanze sul fondo e tornò poco dopo con un sacchetto rigonfio e un gran sorriso. “Pane, porchetta, formaggio, acqua, vino, frutta, un pezzo di dolce. Si scusa che non c’è il caffè, ma dice che, se vogliamo, ce lo fa arrivare dal bar. Ha un pessimo senso dell’umorismo, ma è molto gentile, il nostro salvatore”. “Io voglio solo uscire da qui.”, disse Teresa per tutta risposta.
“Ehi, voi due?”, la voce dell’uomo risuonò da oltre la saracinesca. “Il Roberto non si trova. Non è ancora tornato a casa, ma ho spiegato per bene la faccenda ai suoi. Lo manderanno con la chiave ad aprirvi. Signora Teresa! Suo marito la saluta, dice che per la cena si arrangiano. Ho detto che sta benone. Mi ha detto di dirle di non preoccuparsi per loro. Ecco, io ho fatto quello che potevo. Se non vi serve altro, me ne andrei a casa: mia moglie mi aspetta ed è già tardi”.
Teresa si accasciò sulla seggiolina, la testa fra le mani. Se da una parte era sollevata, al pensiero di essere riuscita a far sapere ai suoi dove fosse, dall’altra provava un crescente bisogno di andarsene, arrivare a casa sua, farsi un bel bagno e infilarsi a letto. “Giovanni”, chiese con un residuo di lucidità, “ma lei non ha nessuno da avvertire? Non ha fatto chiamare sua moglie?”
“Sono a casa dei miei suoceri, al mare, le mie ragazze stasera. Sono partite dopo pranzo e torneranno domenica. Ci siamo sentiti nel pomeriggio e fino a domani non chiameranno più. Che bisogno c’è? Stiamo tutti bene, mi pare”, concluse Giovanni affondando i denti in un grosso panino. “Buono! Non ha fame, Teresa?” Su, mangi un po’ che si tira su.” Teresa pensò che avrebbero dovuto chiedere di un fabbro, magari, se ne avessero avuto il tempo. Ma ormai il padrone del negozio di alimentari se ne era andato. Quanto sarebbe durata ancora, tutta questa storia? Cominciava a non poterne più. Intorno solo e unicamente libri e, come unica compagnia, uno di quelli che li leggeva davvero. Tutti a lei, quelli strani.