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Un vecchio scomparso

Da Marcofre
Come promesso, un brano (o meglio: è l'inizio) tratto dalla mia raccolta di racconti :"Insieme nel buio e altri due racconti", pubblicata su Amazon. Lo scopo: cercare di capire cosa non funziona nella mia scrittura. Buona lettura.

Quella mattina Osvaldo Spaccapietra, di anni 68, ex portuale della compagnia "Pippo Rebagliati", lasciava la propria abitazione di via Verzellino per il piccolo podere. Vi si recava per dare da mangiare al suo terrier di un paio d'anni, e constatare per l'ennesima volta quanto fosse difficile spremere qualcosa da quel fazzoletto di terra.
Lì aveva costruito un magazzino abusivo col tetto di lamiera, dove ricoverava i pochi attrezzi; e lì si aggirava tra i rachitici alberi da frutto, e i miseri ortaggi, crollando la testa. Amareggiato che lavoro e passione fallissero senza regalargli la gioia di un raccolto decente.
Aveva acquistato quella terra tre anni prima, con una parte della liquidazione, in un posto tranquillo, soleggiato, alla periferia di Savona; in quella che era conosciuta come contrada di C. Pianeggiante, con un piccolo torrente che non tradiva nemmeno d'estate, aveva a un tiro di schioppo un paio di confinanti nelle sue medesime condizioni. Vale a dire pensionati, contadini di ritorno e insoddisfatti di quella terra che non dava niente, o quasi. Con o senza concime, anche ricorrendo a fertilizzanti dell'ultimissima o ultima generazione, o di quella precedente ancora, si poteva star certi che non si cavava un ragno dal buco.
Doveva rientrare per il pranzo attorno all'una; ma all'una e trenta non si era ancora visto. Idem alle due. Eppure era un uomo puntuale, forse un po' troppo taciturno.
Questo pensava la moglie, la signora Carla, quando la voce al telefonino le comunicò, giuliva, che l'utente da lei richiesto era al momento irraggiungibile. Che sciocchezza, borbottò: era sempre stato raggiungibile. Così chiamò il figlio, perché andasse a vedere se era successo qualcosa. Finirono con l'andare entrambi.

Dopo mezz'ora giunsero al podere e notarono che l'utilitaria (una Fiat Panda 4×4 di colore rosso fiammante, ultima serie), non c'era. Non era possibile nasconderla perché a parte il fabbricato, non c'erano che i campi brulli e spogli che digradavano, pochi alberi di albicocche, amarene, un paio di ciliegi e verso il torrente, canne e rovi.
Diedero un'occhiata al magazzino, al suo interno, dove tutto era in perfetto ordine. Tornarono all'aperto, ne percorsero il perimetro con attenzione, come se fosse stata una gigantesca costruzione pronta a svelare chissà cosa. Non c'era niente di niente. A parte la pena che saliva di secondo in secondo.
Infine scorsero qualcosa che penzolava da un ramo, a una trentina di metri dalla porta del magazzino, dove si trovavano. Si avvicinarono, e a un albero da frutto riconobbero il cane. Impiccato.
Impallidirono entrambi, e quasi svenne la moglie a quella vista.
Quel tempo, e il dolore, la loro vita insomma, sarebbero appartenuti anche a giornali, televisioni e polizia. Almeno per un po'.

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