Non sono d’accordo con questi opinionisti per i seguenti motivi.
Primo: oggi alla Casa Bianca siede Obama, mentre ai tempi del Vietnam vi era un certo Nixon;
Secondo: nella vicenda Wikyleaks gli U.S.A. sono le vittime e non gli aggressori (come all’epoca del Vietnam);
Terzo(e non vado oltre, ma ci sarebbe molto altro da dire): al tempo del Vietnam c’era nel mondo un fermento di idee che lasciava sperare ad una immediata alternativa alla democrazie americana; in quel senso si guardava all’URSS, alla Cina, a Cuba come possibili alternative ad argine dello strapotere americano; tutti sappiamo come son finiti e cosa siano in realtà i paesi comunisti (tutto fuorchè democratici).
A meno che qui non si voglia parlare della democrazia dell’WEB; e cioè del fatto che in rete non conta il potere delle armi che faceva chiedere a Stalin, a proposito del Vaticano “Quante Divisioni possiede il Papa?”
Insomma, se parliamo del potere on line allora i rapporti di forza non sono così sproporzionati a favore degli USA.
Ma qui l’America, proprio per questo, dovrebbe giocare d’astuzia: da un lato rafforzare i suoi sistemi di sicurezza informatici; dall’altro smetterla di perseguitare Julian Assange, lasciandolo al suo destino.
Infatti gli USA, accanendosi contro il fondatore di Wikileaks, rischiamano di assumere, come ai tempi del Vietnam, la veste del gigante Golia che vuole schiacciare il mite Davide. E la gente, si sa, come dimostra lo spontaneo crearsi di un fronte pro-Assange in rete, è sempre portato a parteggiarer per il debole (o presunto tale).
Insomma, se l’America non fa attenzione, rischia di subire un altro Vietnam; soltanto virtuale, d’accordo; ma non per questo meno negativo per la sua immagine internazionale.
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