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Una birra

Creato il 15 aprile 2014 da Scribacchina

Ho Robben Ford nell’autoradio, girano The Brother e My Love For You. Sempre queste due. Capirai, è tutto il giorno che le ho in testa ma non posso sentirle come vorrei: se non ne approfitto per ascoltarle come si deve quando vado a suonare…

Va sempre a finire così: dopo le prove, un caffè.
Forse è meglio di no, è tardi.
Ma dai, cinque minuti…
Vabè, solo cinque minuti, poi vado.
Così, il caffè diventa una birra.
I cinque minuti diventano un’ora.
A volte anche di più.

Non so come, stasera si è finiti a parlare di lavoro. Di quello che non c’è. Di crisi. Di aziende che stanno soffrendo, di gente che non paga le fatture, di banche che non danno finanziamenti. Di chi ormai lavora tre ore al giorno, quando va bene, e ha i figli da crescere. Di chi non riesce a dormire perché non sa cosa farà il giorno dopo.

Ripenso alle birre del dopo-prove della mia gioventù, di quando avevo diciott’anni; si parlava di musica, di amici, di cose senza peso.
Eccoci, oggi, a parlare come quelli che una volta erano “gli adulti”, a chiederci dove andremo a finire se la classe dirigente non cambia. A ringraziare il cielo di avere la musica per sognare ed essere felici.

Lì, seduta al tavolino del bar, con la birra davanti, mi sono sentita fortunata. Io un lavoro ce l’ho, anche se mi spreme come un limone. Anche se devo reinventarmelo giorno dopo giorno per essere sicura che funzioni.
Ho un lavoro, e ho anche la musica.
Soprattutto, ho la musica.

Ora che sono in macchina, mi sento un po’ meno fortunata: la spia della riserva è accesa, e non è la prima volta che inizia a lampeggiare proprio cinque minuti prima di restare a piedi.
Il cellulare è al 5%, batteria praticamente morta.
Sono in piena campagna, nessuno che possa darmi una mano se ne avessi bisogno. Nessuno, a parte quell’esercito di signore che popola il bordo strada lungo tutta la statale. Chilometri e chilometri di signore.
Credo che il loro settore sia uno dei pochi a non aver risentito della crisi.


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