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Una botta di Nemesi

Da Tnepd

Una botta di Nemesi

I latifondisti della Luisiana del diciannovesimo secolo si arrogavano il diritto di separare le famiglie degli schiavi negri, venderne i singoli componenti, accoppiarsi con le schiave ed elargire punizioni corporali severissime in caso di fuga, arrivando anche all’amputazione di un piede. A volte scoppiavano episodi d’isteria collettiva in cui i WASP davano prova di tutta la loro ferocia razziale, come nel caso di quel negro a cui furono recise le labbra perché accusato di aver tentato di baciare una donna bianca. Tutti ci ricordiamo di quel film del 1975, intitolato Mandingo, in cui era una donna bianca a voler usufruire delle prestazioni sessuali di un uomo di colore, suo schiavo, ma anche lui fece una brutta fine.

Non mancavano tuttavia casi di amicizia, o almeno benevola tolleranza, tra caucasici e negroidi. Come non mancano casi di amicizia tra umani e animali. Il cane e il gatto sono le specie privilegiate che stanno usufruendo di tale deroga, imitati da una schiera di piccoli animaletti quali criceti e canarini. Ma per tutti gli altri sfruttati di questo mondo, attuali, passati e futuri, la regola prevede che, quando non servi più al padrone, vieni eliminato.

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Succede con i cani da caccia e con i levrieri da corsa. Sta succedendo ora ai cavalli di cui si parla in questo articolo:

http://www.corriere.it/animali/11_marzo_22/allevatore-sfrattato-cavalli-macello_867f8e70-548d-11e0-a5ef-46c31ce287ee.shtml

Ed è successo anche con l’orso di cui si parla in quest’altro:

http://www.corriere.it/animali/11_marzo_19/Knut-orso-morto_fbb1a616-5257-11e0-a034-1db210fa1eaf.shtml

http://www.geapress.org/zoo/knut-e-morto-fotografato-da-un-turista-italiano-e-subito-venduto-come-tutta-la-sua-vita/13277

Entrambe le specie, cavallo e orso, hanno fatto parte per secoli della cosiddetta selvaggina venendo cacciate dai nostri antenati con diverse tecniche: corpo a corpo con arco e frecce, l’orso delle caverne, ma anche facendoli precipitare nei burroni, i cavalli preistorici. Tuttavia, con il trascorrere delle epoche, bene o male abbiamo fatto entrare a viva forza il cavallo nel novero degli animali domestici, principalmente perché abbiamo visto in lui una formidabile arma da guerra. Il che, se ci mettiamo nei suoi panni, non è stato un grande vantaggio. Prima veniva trapassato dalle lance, poi dalle schegge di granata e il risultato era identico. Ma se pensiamo che l’uomo, con il passare del tempo, si sia civilizzato, abbia avuto un’evoluzione intellettuale e morale e abbia cominciato a trattare degnamente i cavalli, ci sbagliamo, perché in Australia uccidono quelli selvaggi (ma anche i cammelli) sparandogli con i fucili dagli elicotteri. E se oggi non si usano più i cavalli in guerra è solo perché sono state inventate delle macchine più distruttive che li hanno soppiantati, mettendoli in pensione, ma se dovesse finire il petrolio e le armi da guerra attualmente in servizio dovessero essere accantonate, state pur certi che tornerà buono il cavallo, per combattere il nemico, sempre che l’umanità non si estingua prima o non abbia fatto fare a lui la stessa fine.

Con l’orso le cose sono andate diversamente. Benché non sia mai diventato un animale domestico, data la sua indole irascibile e

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infida, è stato apprezzato per altri aspetti della sua personalità. Soprattutto la sua riproduzione simbolica sotto forma di peluches e cartoni animati, ad uso e consumo dei nostri infanti, ma anche come figura araldica, emblema archetipico, animale totemico, pagliaccio da circo e simbolo della wilderness. In quest’ultimo caso, i naturalisti di tutto il mondo lo difendono a spada tratta, qualora dovesse danneggiare qualche allevatore di asini come succede in Veneto, o far fuori qualche escursionista, come succede in Alaska. A ben vedere, a difendere gli orsi, bianchi, neri o marroni che siano, sono solo i bambini che ne hanno avuto uno di peluches e gli adulti che sono patiti di oasi, parchi e riserve naturali. In entrambi i casi si tratta di categorie marginali, poco remunerative sul piano elettorale e dunque prive di capacità contrattuale con le istituzioni, quando si tratta di decidere della vita o della morte di qualche orso particolarmente invadente. Situazione, questa, che rimarca il concetto in esame: il padrone – di orsi, cavalli, cani, negri o altri animali – quando decide di togliere la vita ai suoi schiavi, si sente in pieno diritto di farlo. E non ci pensa due volte.

I cavalli maremmani che non servono più, nonostante tutti i loro servigi prestati e tutta la retorica annessa, verranno uccisi, esattamente come accadeva in epoca preistorica. L’orso dello zoo di Berlino, amato da milioni di persone, morto per cause “naturali”, sarà compianto ipocritamente per un po’, senza che nessuno dei suoi estimatori si renda conto che, semplicemente, quello non era il suo posto. Non doveva stare lì. E se lì ci stava era perché qualche schiavista ce lo aveva messo, contro la sua volontà. Se invece di annegare (o lasciarsi annegare?) fosse diventato aggressivo e avesse ferito un guardiano, stiamo pur certi che i suoi padroni ne avrebbero decretato la pena capitale. Alla faccia della notorietà e dei milioni di (ex) ammiratori in tutto il mondo.

Io aborro la schiavitù. La trovo rivoltante. E nella mia amara, indotta e spero temporanea cattiveria auguro a tutti gli schiavisti del mondo, presenti, passati e futuri, di essere trattati allo stesso modo dagli invasori alieni prossimi venturi, che domineranno la Terra e ci renderanno tutti schiavi.  Una buona botta di Nemesi è quello che ci vorrebbe. Anche se sarebbe una magra consolazione.


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