Negli Stati Uniti la campagna elettorale è alle porte e, visto il divario leggerissimo nei sondaggi, sarà una lotta senza quartiere tra Obama e (con tutta probabilità) Mitt Romney. Rispetto al 2008, però, le opposte fazioni hanno un’arma in più: i social network.
Non solo le due macchine di propaganda utilizzeranno tutti gli strumenti possibili tra Facebook, Twitter, Google Plus, Youtube e chi più ne ha più ne metta, ma emerge un utilizzo dei siti più frequentati che è causa di dibattito oltreoceano.
A guidare Obama2012, il comitato responsabile della campagna elettorale con sede a Chicago, c’è un team multidisciplinare di computer scientists, statistici, matematici, sviluppatori di software, analisti e data miners. Il loro compito è scandagliare i vari profili online alla ricerca di potenziali elettori o piccoli finanziatori.
Dalla Windy City difendono l’operazione che di sicuro non odora di Chanel N°5 sostenendo che gli operatori si attengono a un severo codice etico in materia di privacy. Comunque non siamo molto distanti dal dossieraggio e la manovra cozza con le direttive presentate in materia da Obama al Congresso tra cui si legge:
Anche se le informazioni personali circolano molto più liberamente che in passato, dobbiamo respingere l’idea che la privacy sia ormai un valore fuori moda. È stata da sempre il cuore della nostra democrazia e oggi più che mai abbiamo bisogno di diritto alla riservatezza.
A criticare l’iniziativa del comitato ci ha pensato Jeff Chester, direttore del Center for Digital Democracy, che ha messo l’accento sulla creazione di dossier politici a insaputa dei soggetti. Non si è alzato nessun vespaio, invece, dall’altra parte della barricata: se il Partito Democratico ha speso 600 mila euro in gennaio per il data mining, il Grand Old Party non è da meno con i suoi 400 mila.
Fonte: Corriere della Sera