Una parte del tutto di Steve Toltz (2008)
"Non ti manca la libertà?""La libertà?""Mettiamola così. Non puoi tirare fuori il pisello e sventolarlo su un treno senza finire in prima pagina. Io sì."
Iniziamo così: con una citazione estrapolata e buttata qui - completamente fuori contesto - per rendere da subito la cifra di questo bel toblerone di seicento e rotte pagine, del quale è un pezzo che volevo parlare.Questo è, innanzitutto, un romanzo ambizioso. Un romanzo ambizioso che parla di un ragazzotto senza ambizioni, di un tipo di quelli che qualcuno (la mamma? il preside? Schopenhauer?) definirebbe dalla vita contemplativa. Il protagonista - che è poi più d'uno, in realtà - viene bollato subito: lui è filosofo: c'ha la faccia e soprattutto la lingua, e a etichette come queste non è che sfuggi come dalla volante dei vigili nei venerdì sera ubriachi. Questa te la tieni attaccata tutta la vita, e ti stai pure zitto.
Lo snodo cruciale del libro avviene attorno ai personaggi della Famiglia, che è la vera protagonista: c'è questo babbo mattocchio filosofo (Martin) che cresce il figlio (Jasper) come un mattocchio filosofo peggio di lui e poi c'è la pecora nera, lo zio (Terry), icona pop del nuovo millennio da quando essere un fuorilegge è diventato eroico (e qui risparmio a voi e al sottoscritto un plausibile pippone sull'oppressione del legislatore sul pinco pallino del marciapiede e vi lascio immaginare tutto il bordello che mi frulla in testa parafrasando distrattamente dal Dizionario del diavolo di Bierce "legislatore è colui che legifera guadagnando o guadagna legiferando". Sic et simpliciter.).
"Normalmente c'è la tua vita, poi accendi il televisore e ci sono le notizie, e per quanto gravi siano, per quanto profondo sia il cesso in cui è precipitato il mondo, o per quanta attinenza possano avere le informazioni con le tue vicende personali, la vita resta un'entità avulsa dalle notizie."
C'è un che di maligno però, in questo libro. Qualcosa di profondamente inquietante che ho impiegato anni a decifrare. Sì, è vero. C'è quell'alone dark, quel cinismo da tipo tosto che decide di impugnare la penna ed infilzarti ed inchiostrarti tutto. C'è anche l'aurea ieratica del nichilismo nietzscheano che impregna ogni singola parola stampata sul libro - e già qui vai di dubbi: mi alletta proprio per la sua proposta nichilista?, oppure mi puzza proprio per il suo uso strumentale della retorica blu notte del filosofo? (Tra parentesi: propenderei per la seconda, anche perché non mi sembra affatto un caso che Toltz abbia deciso di buttare nella mischia Nietzsche, mattocchio sul quale s'è palesemente modellato il personaggio di Martin, parlante ai cavalli nelle piazze torinesi e additato come filo-nazista dagli ebeti sguardocorto, piuttosto che un altrettanto profondo e, forse anche più maudit, vista la vita di solitudine e la quiescenza statica della sua cronaca biografica, come Heidegger, no? Ma va be', queste son chiacchiere che lasciamo volentieri ai pipparoli della facoltà di filosofia...). Due indizi che fanno una prova: e se questo bel tomo di Toltz non si stesse spacciando per un Fabio Volo dark, cinico e, ovviamente, anche più colto, directly from down under?La risposta è cristallina: no. Anche perché di Voli, per grazia divina, ne nascono solo in Italia.Toltz ha scritto un buon libro, un po' segnato dalle ambizioni, ma bello e meritevole di lettura, niente a che vedere con la fuffa, dalla quale si distanzia almeno mezzo metro.
Il sospetto che ci fosse qualche cosa che non quadrava, tuttavia, m'è rimasto così per boh... non so... due, tre anni, e poi oggi l'ho risolto (e pensa che cima!, dirà qualcuno di voi quattro lettori, sfottendo il sottoscritto, che uscirà di scena nella notte dei tempi e banchetterà sugli avanzi dei pasti natalizi...).Il problema che fotte l'opera è la sua ambizione, ché, in fin dei conti, le trovate messe in mezzo per tutte le millemila pagine del libro sono ganze, inteneriscono, fanno riflettere, alle volte ti lasciano col fiato sospeso, ti portano dall'Australia a Parigi, ti smazzano in Thailandia, ti fanno vedere prigioni, labirinti, ospedali psichiatrici, killer con una missione, con una scrittura fluida e tenendoti sempre per le palle, attento a ogni parola. Eppure, il tutto avviene senza guizzi.Ecco appunto: qui casca l'asino. Dove mi avete messo i guizzi, gli amati guizzi? Quelli che ti fanno distinguere fra un buon narratore e un bravo scrittore, sì, proprio quelli?Toltz ha evidenti capacità di narratore, ma non calza bene le scarpe di quello che manipola la lingua e le parole, non è un grande scrittore - con tutto il rispetto per la commissione del Booker Prize che l'ha fatto arrivare fra i finalisti, eh. O magari son io che non c'ho capito una sega, non so, fate voi. L'unica soluzione è leggerselo tutto, e questa di certo non sarà una perdita di tempo.