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Una cosa chiamata democrazia.

Creato il 06 luglio 2013 da Gianlucaweast @gianlucaweast
 Qualcuno, che mi segue su Twitter, mi ha inviato una domanda: "Ma in sostanza chi sono i buoni e chi sono i cattivi?". La domanda mi piace. Si riferisce a quanto sta accadendo in Egitto. Mi piace perché riassume il nostro bisogno di sapere da che parte stare, e anche perché riflette uno schema (insidioso) secondo il quale i media hanno abituato tutti a pensare. La crisi egiziana è troppo recente affinché possa essere guardata attraverso le categorie con le quali normalmente guardiamo a conflitti "cronici". E tuttavia, una cosa mi sento di dirla: incontro tanti egiziani, oggi in particolare sono andato a trovare, a casa sua, un professore universitario che insegna diritto. Si chiama Hussam Issa e spero di poter trasmettere una parte della sua intervista domani, domenica, in TV.
Il professore ha parlato con una passione profonda, quasi rappresentassi, per lui, una spugna da riempire e rispedire in Europa, imbevuta delle ragioni e delle spiegazioni di chi sostiene che un anno di Morsi + Fratelli musulmani al potere bastano. Il professore mi ha parlato di un paese che stava precipitando, allontanandosi dalle sue radici che affondano nella creazione della civiltà e in precipitosa corsa, invece, verso una progressiva visione (pseudo)religiosa, radicale, esclusivista della realtà e, più ancora, della vita. Per questo motivi, molti egiziani sono scesi in piazza per dire basta alla presidenza Morsi. Altri lo hanno fatto perché non c'è lavoro, perché la valuta egiziana non vale più nulla, perché la criminalità dilaga, eccetera. Una allergia accomuna moltissimi egiziani (quelli che hanno dimostrato contro l'ex presidente): l'allergia all'atteggiamento pigliatutto dei Fratelli una volta catapultati al potere anche con i voti di quelli che, per loro, avevano votato come male minore, consegnandogli così un mandato connotato da questa riserva.
Ciascuno ha le sue ragioni, ma isolerei, per aggiungerla alle riflessioni, quella che mi ha fornito il professore e che ho brevemente riassunto. Il professore parla dell'Egitto. Alle manifestazioni che chiedono il ritorno di Morsi si dicono due cose: "Dio è grande" e "ridateci Morsi". Non entro negli esercizi definitori di quanto fatto dai militari dopo le proteste (ne ho scritto oggi sul giornale, vedi La Regione). Eppure, come già altrove, mi sorprende sentire urlare "dio è grande" in luogo di "l'Egitto è grande" ("dio" lo scrivo minuscolo e lui finora non si è ancora lamentato). E poi, questo "ridateci Morsi": capisco la rabbia della gente, l'incredulità, e tuttavia non si tratta di Morsi. Si tratta del futuro di un paese, non di un partito. Su questo la Fratellanza non ci sente. Punto.
Tutto ciò mi dà fastidio almeno quanto mi dà fastidio che i "Ribelli" del 30 giugno abbiano avuto bisogno o - detto diversamente -  accettato l'auto dei militari per cambiare le carte in tavola.
C'è un altro elemento interessante: si parla molto, da queste parti, dell'accordo fra Casa Bianca e Fratelli musulmani come sonnifero per Hamas a Gaza. Interessi strategici. Ecco perché Obama fa l'ambiguo (gli riesce bene), Cameron fa l'ambiguo (gli riesce pure bene, è senza spessore) ed ecco perché vi consiglio di dare un'occhiata alla CNNe non aggiungo perché vale la pena farlo, capirete subito.
Per finire: non ci sono buoni e cattivi (certo, lasciando da parte che chi spara e ammazza). Si scontrano due visioni della realtà, entrambe animate dagli interessi di parte, dai propri sponsor e dai propri padroni. Si tratta di capire - gli egiziani ci stanno provando - quale funzioni meglio per gestire un paese di 90 milioni di abitanti che si è trovato fra le mani, due anni fa, una cosa che si chiama democrazia, ma che è ancora tutta dentro una scatola senza chiare istruzioni per montarla.
Ho provato a riassumere in due righe le ragioni delle parti, esprimendo quello che gli egiziani mi hanno consegnato in questi giorni.
C'è questo articolo interessante di Martin Chulov, inviato di The Guardian. Leggibile QUI. C'è anche una interessante analisi e ricostruzione della Reuters, leggibile QUI

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