Una recensione di Alessandra Menesini a “La misura del danno” pubblicata oggi su L’Unione Sarda.
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Delitto senza castigo. Non è un novello Raskol’nikov, l’acclamato divo Alessandro Mantovani, non finisce i suoi giorni nelle plaghe della Siberia. È un tipo adattabile, il protagonista del libro di Andrea Pomella, capace di far fronte agli inciampi della vita. La misura del danno (Fernandel, pag. 141, euro 12), racconta una storia non esemplare sullo sfondo della società italiana dei nostri giorni. Mantovani è un attore di successo, ha una moglie elegante, una figlia adolescente, frequenta la meglio società di Roma. Biondo, alto, occhi verdi, ha esordito con la pubblicità delle caramelle balsamiche ed è diventato famoso con il film di un regista greco, L’arte del bacio. Dovrebbe essere appagato, l’ex ragazzo di periferia con padre operaio e comunista, cresciuto in borgata in una casa che odorava di verdura lessa. Lui, che detestava coloro che si accontentano, ha fatto il salto grazie al matrimonio con la ricca Francesca. In sostanza, però, il cambiamento di stato lo fa sentire a disagio. Non desidera tornare in periferia, ma sente qualcosa di falso nel dare del tu a tanta bella gente.
Saranno gli imminenti e fatidici quaranta, sarà che di sua moglie comincia ad essere un po’ stanco, si trova un pomeriggio a sgommare verso Sabaudia con la migliore amica di sua figlia. Ovviamente quindicenne. Pizza fredda e Coca Cola, nella villa dei suoceri Sangallo. Piove, è febbraio e la bellissima Beatrice Belfiore non sembra di buon umore. Nervosa, leggermente annoiata. Il triste amore, consumato sotto le luci al neon di uno scantinato umido, finisce qua. Alessandro Mantovani, vagamente malinconico ma certo attanagliato dai rimorsi, riprende la sua routine. Bea sparisce, nessuno sa nulla. Il divo può tornare sul set e nei salotti, negli attici e nei palazzi secenteschi dove incontra architetti e filosofi. A sparigliare le carte, una malaugurata cena a casa Belfiore. Dopo gli aperitivi e prima della grigliata, la rivelazione del misfatto. Silenzio, panico, furia. Poi la denuncia per sequestro di persona e violenza sessuale su minore. Carcere, pubblico ludibrio. Carriera polverizzata. Ma i soldi aiutano sempre.
Pomella – storico dell’arte, scrittore, giornalista – sviluppa la trama sulle ampie linee di un’epoca contraddittoria e opportunista. Campione di una generazione cresciuta negli anni ’80, Mantovani si avvia a consumare una strana palingenesi. Ingrassato, stempiato, reso zoppo da un colpo di fucile, rinasce in altra forma: dandosi alla politica. Lo scandalo l’ha liberato. Pomella descrive le sorti del suo personaggio con un certo distacco. Non simpatizza, non condanna, non assolve. Lascia che siano i fatti a far capire quanto pesino i condizionamenti esterni nelle scelte di ognuno. E quanto dentro di noi possa esserci una tendenza autodistruttiva. La parabola della star gli serve per una critica, affilata, del mondo dei borghesi di sinistra, di quel coté liberal chic che espelle il reo come un corpo estraneo.
ALESSANDRA MENESINI