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Una faida interna alla famiglia reale e la riforma elettorale minacciano la stabilità del Kuwait

Creato il 22 dicembre 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Una faida interna alla famiglia reale e la riforma elettorale minacciano la stabilità del Kuwait

Negli ultimi mesi le tensioni interne al piccolo emirato del Kuwait tra la famiglia reale al-Sabah e l’opposizione stanno crescendo in maniera progressiva e incontrollata tanto da far temere per una imminente escalation di violenza dietro alla quale si cela una profonda faida interna alla stessa famiglia reale. L’attuale situazione di instabilità politica ha origini ben diverse da quelle che nel recente passato hanno portato al crollo di alcuni regimi (Egitto, Libia) e a situazioni di crisi tuttora in atto (Yemen, Siria). Le ombre che si addensano quotidianamente sul futuro del Kuwait hanno generato uno stallo degli investimenti e dello sviluppo di nuove infrastrutture minacciando l’alta valutazione fatta in questi anni dalle principali agenzie di rating (AA secondo Fitch Ratings).

 

La famiglia reale al-Sabah e i delicati equilibri di potere

Il potere della famiglia reale al-Sabah, che regna sul Kuwait da oltre duecentocinquanta anni, è ripartito in forma gerarchica con al vertice l’emiro che rimane la principale autorità politica del regno; all’emiro spetta il compito, riconosciuto dalla cinquantenaria costituzione (1962), di nominare l’esecutivo che tradizione vuole sia composto principalmente da membri della famiglia. All’interno della famiglia reale è da sempre presente una divisione di sangue, la branca al-Jaber e la branca al-Salem. Secondo una consolidata prassi il ruolo di emiro viene assegnato vicendevolmente ai membri dell’una e dell’altra fazione; conseguentemente il principe ereditario è un membro della branca non al potere, e così facendo è stato per anni garantito l’equilibrio di potere tra le due fazioni. Questo consolidato meccanismo è stato infranto nel 2006 dall’attuale emiro, lo sceicco Sabah al-Ahmad al-Jaber al-Sabah, membro della fazione al-Jaber, il quale ha nominato come secondo e terzo in linea di successione al trono due altri membri della sua stessa branca, estromettendo potenzialmente la fazione al-Salem dal controllo futuro del potere. Questa frattura consumatasi all’interno del palazzo reale ha provocato profonde ripercussioni in tutte le istituzioni e apparati di Stato ad iniziare dallo stesso Parlamento dove i membri della fazione al-Salem hanno in questi anni trovato appoggio dai tradizionali gruppi di opposizione, bloccando una lunga serie di proposte legislative. Mai come negli ultimi cinque anni si è fatto ampio uso della pratica di interrogazione parlamentare dei membri dell’esecutivo conosciuta come “grilling” che, nella maggior parte dei casi, porta alla delegittimazione e successive dimissioni del ministro posto sotto interrogazione. Una tattica politica ben radicata utilizzata soprattutto con l’intento di colpire alcuni dei principali esponenti di gabinetto vicini all’emiro e che nel giro di cinque anni ha portato a diversi rimpasti di governo e a ben otto nuovi esecutivi, con conseguenti scioglimenti del Parlamento, tanto che le ultime elezioni – svoltesi questo mese – sono le quinte dal 2006, anno di carica dell’emiro.

In febbraio è stato proprio un procedimento di “grilling” a portare alle dimissioni dell’allora Primo Ministro, lo sceicco Nasser al-Mohammad, uomo di fiducia dell’emiro, il quale ha dovuto difendersi dall’accusa di aver corrotto diversi parlamentari per condizionare il voto in aula su alcuni pacchetti normativi. Le dimissioni del Primo Ministro convinsero in quell’occasione l’emiro Sabah al-Ahmad a sciogliere il Parlamento ed indire elezioni anticipate, elezioni in cui a beneficiarne fu l’opposizione segnando una netta vittoria (34 seggi su 50), caratterizzata dall’alleanza tra gruppi tribali e movimenti islamici. Le elezioni di febbraio, al tempo stesso, hanno segnato una cocente sconfitta per le autorità regie e i suoi principali alleati tra cui le importanti famiglie di mercanti. Il governo, ma più in generale la famiglia reale, continua a godere dell’incondizionato appoggio della minoranza sciita del Paese e della influente classe di mercanti d’élite. Un legame ben radicato le cui origini risalgono alla stessa fondazione del Kuwait ad opera di un gruppo di esuli, principalmente mercanti, dalla regione del Najd cuore dell’attuale Arabia Saudita, i quali nominarono la famiglia al-Sabah come dinastia regnante secondo la formula del “primus inter pares”. Tale accordo ha consentito per più di due secoli una stabilità politica e sociale in cui la famiglia reale governa lasciando i mercanti liberi di concentrarsi sui propri affari che hanno inevitabilmente conosciuto un boom a partire dal XX secolo con il petrolio1.

Le richieste dell’opposizione e le grandi manifestazioni di protesta

L’opposizione in Kuwait è composta dalla maggioranza della popolazione di confessione sunnita, organizzata in diversi movimenti: gruppi islamici di correnti e posizioni diverse, dai moderati riconducibili alla branca kuwaitiana dei Fratelli Musulmani (Movimento Islamico Costituzionale) fino ai gruppi radicali salafiti; partiti di tendenze laiche come il Movimento Riformista del Kuwait (Hirak) e il Movimento Democratico civile (Hadam); elementi riconducibili alle tradizionali famiglie tribali che continuano ad essere un riferimento per ampi strati della società. Tra questi gruppi merita particolare attenzione il movimento Nahj, un gruppo politico ben organizzato composto principalmente da giovani che contestano l’utilizzo pressoché dispotico del potere da parte delle autorità criticandone inoltre la diffusa corruzione che attanaglia l’intero apparato statale kuwaitiano. Il Nahj rappresenta a tutti gli effetti un movimento di indignados del Kuwait che negli ultimi mesi ha saputo più volte farsi portavoce dell’intera opposizione, organizzando imponenti manifestazioni di protesta che hanno portato per le strade migliaia di persone, fatto insolito in Kuwait, al grido di “Basta assurdità”2.

La situazione in Kuwait ha subito un brusco peggioramento a partire dal 7 ottobre scorso, quando l’emiro al-Sabah ha deciso di sciogliere nuovamente il Parlamento e di indire elezioni per l’1 dicembre suscitando l’indignazione dell’intera opposizione che si è schierata compatta nel criticare la decisione, decidendo inoltre di boicottare il voto. Ad un contesto politico già in pieno fermento si è poi aggiunta la decisione dello stesso emiro al-Sabah di decretare una ulteriore modifica della legge elettorale in modo da consentire agli elettori, fin dalle prossime elezioni, di indicare la propria preferenza ad un solo candidato, fatto insolito considerando che la legge precedentemente in vigore consentiva di esprimere ben quattro preferenze.
Queste decisioni hanno portato ad una serie di manifestazioni di protesta culminate in quella tenutasi lo scorso 21 ottobre per le strade di Madīnat al-Kuwayt, probabilmente la più grande nella ultrasecolare storia dell’emirato del Kuwait. Le manifestazioni sono state però bloccate dalla dura repressione messa in atto dalle forze di sicurezza del regno; conseguenze della repressione oltre ad un centinaio di feriti sono stati gli arresti, molti dei quali mirati, di diversi esponenti dell’opposizione tra i quali spicca Musallam al Barrack considerato uno dei portavoce più ascoltati ed influenti.

Duranti i primi giorni di novembre la tensione è cresciuta ulteriormente, a seguito della liberazione proprio di Musallam al Barrack il quale era stato arrestato una settimana prima con l’accusa di aver pubblicamente offeso durante una manifestazione di protesta l’emiro al-Sabah. Dietro l’arresto di al Barrack vi sono tuttora molti dubbi e nubi soprattutto per il ruolo avuto dai servizi segreti, messi in allerta dalla famiglia reale a seguito della grande manifestazione di protesta dello scorso 21 ottobre. I diversi gruppi d’opposizione hanno presentato in quell’occasione una formale dichiarazione congiunta in cui vengono apertamente criticati gli apparati di sicurezza accusandoli di voler alimentare ulteriormente lo scontro con l’intento di giungere ad una sospensione della Costituzione e al conseguente cancellamento delle elezioni. L’opposizione più volte all’interno del documento invita la popolazione a non reagire alle offese subite se non attraverso manifestazioni pacifiche di dissenso; inoltre la dichiarazione contiene precise richieste dirette alla famiglia reale tra cui quella di far cessare la politica repressiva messa in atto nell’ultimo mese e di promuovere il definitivo superamento della mentalità autoritaria più volte definita come obsoleta per una realtà dinamica come quella kuwaitiana. Centrale nelle rivendicazioni dell’opposizione rimane però la richiesta di abolire l’emendamento dell’articolo II della legge n. 42 del 2006 che prevede la ridefinizione delle circoscrizioni elettorali, una ridefinizione che ha portato alla riduzione del numero dei distretti che sono passati da venticinque a cinque3, modifiche che alle elezioni dell’1 dicembre hanno favorito i gruppi vicini alla famiglia reale.

Le contromosse della famiglia reale

La famiglia reale su volere dello stesso emiro al-Sabah ha utilizzato in questi anni i reiterati periodi di sospensione parlamentare per attuare, evitando il complesso iter parlamentare, provvedimenti che avevano in precedenza incontrato per anni lo stallo all’interno dell’assemblea legislativa. Tra questi provvedimenti vi sono anche alcuni progetti energetici ritenuti fondamentali per garantire il continuo sviluppo economico e commerciale del regno come la costruzione di una nuova gigantesca raffineria dal costi esorbitanti (si aggirerebbero intorno ai 14 miliardi di dollari). Le crescenti tensioni degli ultimi tre mesi hanno allarmato l’intera famiglia reale, convincendo i membri di entrambe le branche a riporre in secondo piano le profonde divergenze al fine di favorire un reciproco riavvicinamento che possa riportare compattezza e stabilità all’intera famiglia reale. Si può così comprendere la decisione dell’emiro al-Sabah di convocare un importante incontro a palazzo a cui hanno preso parte i principali rappresentanti delle due branche reali; il meeting si è concluso con la decisione di affidare, ovviamente dopo lo svolgimento delle elezioni, l’incarico di Primo Ministro ad un membro della fazione al-Salem in modo da poter riequilibrare in parte il potere interno4. A seguito dell’incontro con i membri della propria famiglia, l’emiro al-Sabah ha voluto riallacciare anche i rapporti con alcuni leader tribali che negli ultimi mesi si sono più volte schierati al fianco dell’opposizione; la volontà dell’emiro è quella di indebolire il fronte dell’opposizione cercando di rompere la cooperazione tra i gruppi islamici e quelli tribali. Ulteriore contromossa dell’emiro è stata di rafforzare il legame con l’élite di mercanti, storico bastione della famiglia reale, attraverso una serie di agevolazioni fiscali e incentivi finanziari come l’assegnazione di diversi contratti pubblici.

Prospettive

Le proteste di questi mesi in Kuwait hanno senza alcun dubbio evidenziato lo sviluppo politico del regno e, ancora di più, interno alla società civile dove è stato da tempo avviato un meccanismo volto a promuovere una decisa accelerazione della transizione democratica che in Kuwait pare aver già raggiunto un alto grado di maturità. La possibile soluzione della crisi risiede nella disponibilità a trattare e fare concessioni che la famiglia reale al-Sabah dimostrerà di avere nei confronti dell’opposizione, ben consapevole che solamente riportando una condizione di stabilità politica interna si potrà garantire al regno un lungo periodo di prosperità e benessere.


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