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Una finestra nel buio

Creato il 21 ottobre 2013 da Giuseppeg

UNA FINESTRA NEL BUIO

Una finestra illuminata nel buio: un'immagine
molto cara a Pascoli

In quel crogiolo di metafore e di simboli che è "Myricae" di Pascoli, ce n’è uno in particolare che da sempre ha attirato la mia attenzione, ovvero quello della luce nell'oscurità. Ancora più specificatamente: l’immagine di una finestra accesa mentre intorno è tutto buio, mentre la notte dilata gli spazi e l’infinito siderale ci si mostra con un senso di vertigine e di vuoto. Stiamo parlando di una situazione certamente non anomala nella piccola San Mauro del poeta, dove l’elettricità era ancora assente e coi lumini ad olio c'era poco da scialare. Oltretutto la gente di notte dormiva, essendo costretta a svegliarsi ogni mattina a delle ore antelucane come in tutte le società contadine.
Una finestra accesa, abbiamo detto. Chi ci sarà dentro che veglia? E allora il Pascoli, che era portato a simbolizzare ogni evento reale, non poteva non vederci una metafora della nostra vita, ossia: noi siamo un lume che si spegne in un immenso misterioso buio; oppure ancora: la Verità è come una luce flebile incastonata in qualche punto della notte; non potremo mai sapere che cos’è, né potremo mai raggiungerla o arrivarci. Il poeta allora immagina otto diverse situazioni, attribuendo ad ognuna di esse quella luce ancora accesa nella notte.

UNA FINESTRA NEL BUIO

La sfinge, di Gustav Moreau.
L'immagine della 'donna castratrice'
e annichilente si è confusa molto
spesso con l'allegoria della Verità
per i pittori di epoca simbolista

Potrebbe essere un pensatore che insegue ancora inutilmente la sua idea di Verità; oppure una vedova intenta al suo lavoro notturno, mentre accarezza il figlioletto e gli racconta qualche fiaba. Potrebbe essere una fanciulla che di nascosto scrive una lettera al suo innamorato. Potrebbe trattarsi di qualcuno che si sta per suicidare, oppure è soltanto un ragazzo che studia; un vecchio e un bambino che stanno morendo; una fanciulla già morta che sembra solo che dorma, o infine una madre a cui è nato da poco un bambino. In tutti i casi le figure sono come abbozzate, leggerissime filigrane sullo sfondo della notte; esistenze imprecise, distanti, sfuggenti. Sono tutti madrigali da dieci versi, due terzine e una quartina. Il pensatore, per esempio:
"[…] Uomo che vegli nella stanza illuminata, chi ti fa vegliare? Dolore antico o giovine speranza?
Tu cerchi un Vero. Il tuo pensier somiglia un mare immenso: nell’immenso mare una conchiglia; dentro la conchiglia,
una perla: la vuoi […]. Un gatto nero, un fosco viso di sfinge, t’apre i suoi verdi occhi…"
Il gatto è anch’esso un simbolo della Verità: la sfinge. Ma la sfinge non rivela il suo segreto. Sono tutte allegorie simboliste, molto frequenti nei dipinti del tempo oltre che in letteratura.

UNA FINESTRA NEL BUIO

L'angelo della vita, di Domenico Segantini: in
questo caso come in tanti altri possiamo notare come
il bianco sia un valore, un'allegoria di purezza 
prima ancora che un colore

Un altro simbolo ricorrente molto spesso è il bianco. In un connubio religioso e artistico, ha simboleggiato da sempre la verginità e la purezza, ma adesso in epoca simbolista si macchiava di ‘allusioni peccaminose’ e torbide, dove il simbolo della purezza diveniva un incentivo al superamento di un certo limite morale. Non era il caso del Pascoli, ovviamente, ma anche la sua idea di candore passava inevitabilmente per una sorta di regressione e censura che nascondeva degli impulsi più sottili, inconfessabili e reconditi - com’era il caso del suo rapporto con la sorella Maria, di cui tanto si è scritto ma che rimane quantomeno ambiguo. Ed ecco allora un chiaro esempio di ‘biancore’:
"[…] bianca sopra il letto bianco tu dormi. Chi sul volto ti compose quel dolor pago e quel sorriso stanco?
Tu dormi: intorno al languido origliere Tutto biancheggia. Intorno a te le cose fanno piccoli cenni di tacere.
E tutto albeggia e tutto tace. Il fine è questo, è questo il cominciar d’un rito? Di tra un silenzio candido di trine parla il mistero in suono di vagito".
La vita che nasce è pur sempre un mistero - altra parola chiave del periodo simbolista. La vita è un qualcosa che non si spiega, un accidente misterioso che si muove al centro dell’universo, anch’esso oscuro, incomprensibile e profondo. In ogni cosa è un simbolo, un rimando che solo l’artista e il poeta possono davvero intuire. Ma qui ci stiamo avvicinando a Baudelaire, e quindi per ora ci dobbiamo fermare.

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