Capelli Neri camminava come se stesse sfilando, aveva una gonna talmente corta, e portava stivali con la punta così arrogantemente appuntita che, tutti gli uomini presenti nel locale non riuscirono a rimanerle indifferenti. Partirono un paio di fischi e si udì, da un gruppetto distante, una frase volgare cha citava la razza di un qualche serpente.
Io stavo al banco, sul mio solito sgabello consumavo la mia dose serale di birra e scrutavo il barman: era un tizio magro magro con la faccia da topo e uno strano tic agli occhi. Guardarlo era una pena.
Capelli neri si mise seduta sullo sgabello alla mia sinistra e accavallò le gambe. Aveva mutandine viola e cosce ben abbronzate. Se ci fosse stata meno gente, se ci fossero state leggi più comprensive, se fossi stato più deciso, l'avrei presa per i capelli, per i fianchi, per i piedi, l'avrei consumata lì, schiacciandole la testa sul pavimento piastrellato del locale, e forse, le sarebbe passata la voglia di vestirsi in quel modo.
Mi notò sbirciarle tra le gambe e assunse un'espressione di disgusto, si poggiò una minuscola borsetta sul fianco della coscia per nascondermi lo spettacolo viola.
Il barman le si avvicinò e mostrò così la faccia da topo anche a lei.
“Ciao. Mi dai un rum and fruit?” Chiese lei, ed il topo nell'udire quella voce sottile allargò la bocca in un sorriso imbecille, poi rispose: “Certo! Che gusto gradisci come succo di frutta?” E nel frattempo buttò un'occhiata aldilà del banco, per nutrire un poco la vista con qualche centimetro di pelle nuda.
“Pesca.”
“Subito!”
Dopo pochi secondi Capelli Neri fu servita, secondi in cui io incrociai ripetutamente con lo coda dell'occhio il tessuto di quella dannatissima borsetta.
Capelli Neri buttò giù il suo rum and fruit, poi impilò i due bicchierini alla sua sinistra e ne chiese un altro, fu servita nuovamente, bevve, e li aggiunse agli altri bicchierini, poi ne prese un altro ancora e aumentò la lunghezza della colonnina di vetro al suo fianco.
La ragazza stava aspettando qualcuno, era tutta in tiro per andare chissà dove, e ammazzava il tempo cercando la felicità nel rum.
Sembrava non averla ancora trovata.
Le sue mani diafane e sottili mi colpirono per l'esagerata bellezza: erano mani nuove, erano mani da bambina. Capelli Neri stava sotto i venti di età, sicuro, forse non arrivava nemmeno ai diciotto.
Un tizio di carnagione scura spuntò alle sue spalle e le avvolse un braccio scolpito da ore di palestra sul ventre, la baciò sul collo, lei lo reclinò leggermente per farselo baciare meglio, poi si voltò e gli ficcò la lingua in bocca. Li guardai. Giurai a me stesso che se il tizio avesse provato a dirmi qualcosa di negativo gli avrei fatto male: sarei potuto partire con lo spaccargli in faccia il bicchiere che tenevo tra le mani e in cui c'era ancora un po' di birra.
Meglio finirla pensai, e la buttai giù.
Se mi dice qualcosa gli spacco il bicchiere in faccia. E' grosso questo tizio, e se gli lascio il tempo di partire per primo potrei non riuscire a gestire la cosa. Gli spacco il bicchiere in faccia, poi lo colpisco sul collo e in mezzo al petto, un veloce calcio sul ginocchio in modo da farlo cadere a terra, una volta a terra tutto sarà più facile, dopo posso tranquillamente continuare con una serie di calci ben mirati sui fianchi, dovrebbe bastare per fargli capire come gira il mondo e come girano i coglioni a me.
Il tizio allontanò Capelli Neri dalla sua bocca poggiandole due dita sul mento, si voltò verso di me. Mi guardò.
Bicchiere in faccia, poi collo, petto e ginocchio.
“Hai da farmi accendere capo?” Chiese.
Quella richiesta pronunciata con voce calma mi fece allentare la presa sul bicchiere, e il calore mi svanì dalle guance.
“Si, aspetta un momento.” Risposi con voce bassa. Controllai le tasche, e al terzo tentativo trovai l'accendino, allungai il braccio e accesi la sigaretta che si era appena portato alle labbra. Vederlo tirare la prima boccata mi fece venire voglia di fumare, ma ricordai di averle finite dieci minuti prima.
“Hey, ho finito le sigarette, non è che me ne daresti una?” Chiesi.
Capelli Neri mi sorrise, lui sbuffò scocciato e tirò fuori una sigaretta dal pacchetto. Me la porse, poi disse: “non è proprio uno scambio alla pari però!” E rise.
Scambio alla pari? Che cazzo ne sai tu della parità?
Mi voltai verso il banco borbottando una specie di 'grazie', poi chiesi il pieno al topo indicando la pinta vuota macchiata di schiuma.
Il tizio abbronzato mi diede due colpetti sulla spalla, mi voltai e chiesi: “che c'è?”
“Conosci qualcuno che abbia qualcosa?”
“Quasi tutti quelli che conosco hanno un mucchio di cose” risposi.
Capelli neri mi sorrise, evidentemente la mia battuta le fece dimenticare il fatto che le avevo sbirciato tra le gambe poco prima.
“Intendo tipo coca, paste... capito?”
Io ho capito, si che ho capito, sei tu che non hai capito un cazzo.
“Non lo so, non sono il tipo, io mi fumo qualche canna ogni tanto e niente di più...”
“Hai del fumo?”
Maledetto me.
“No, non ho niente.”
A quel punto il tizio abbronzato guardò Capelli Neri, con una voce satura d'amarezza le chiese: “amore che si fa? Dove andiamo?”
“Non lo so...” E nel vederla mi sembrò la bambina più triste del mondo.
“Andiamo a casa tua intanto, sto aspettando delle telefonate...”
La ragazza si pagò le bevute e masticò un ciao quando incrociammo lo sguardo, lui invece senza salutare si era già diretto verso l'uscita del locale. Poco prima di uscire notai che portò il cellulare all'orecchio ed un sorriso gli cancellò all'istante l'espressione cupa di qualche momento prima. Anche lei sorrise.
Si scambiarono un bacio appassionato.
Un qualche pusher aveva salvato la serata a un'altra coppia, e questa cosa mi aveva gettato nello sconforto. Sorseggiai la mia birra e pensai che era arrivata l'ora di aggiornare la mia personale lista delle cose che odio. Tra queste: le coppiette. Le fottute coppiette felici.