Un ultimo giro per l’azzurro mare del mio borgo prima di fare nuovamente i bagagli e perdermi per il mondo.
Stavolta la destinazione è la Polonia. Non vado esattamente a lavorare ma a fare un esperienza di volontariato sociale in una realtà diversa.Così evito di stare circoscritto in questa piccola realtà comoda per esplorare posti e luoghi che non avrei mai pensato di visitare.
Settembre scorso, giusto in coincidenza del mio trentesimo anniversario, in un età n cui tutto dovrebbe essere definito e scritto nella vita di un uomo, io trovo la forza, il coraggio e la rabbia di cambiare e di voltare pagina cercando nuove realtà.
Iniziata la mia avventura in questa piccola cittadina polacca, sentii la necessità di staccare con il passato, di non stare troppo a recriminare sulle mie scelte, non attaccarmi troppo a nessuno, contattarli solo sporadicamente per una chat giusto per dire; “Qui tutto bene, vivo e non mi lamento.”
Il primo giorno non posso scordarlo: arrivai in una stazione ferroviaria che sembrava uscita da un bombardamento di guerra in una sera qualunque di settembre.
Spossato dopo un viaggio interminabile in treno da Varsavia fino a Leszno per poi cambiare treno e recarmi in questo paesino sperduto nella foresta.
La foresta e l’oscurità di quella sera mi preoccuparono non poco, dove cavolo ero andato a finire?
Passarono i giorni, la casa dove vivo si popolava di altre persone, altri volontari quasi in fuga da una realtà poco gratificante o in cerca di personali affermazioni e soddisfazioni.
Ana è spagnola, come me ha trenta anni e vuole cambiare vita.
Alle spalle una laurea con master come ingegnere forestale e tanta grinta e voglia di fare.
Scappata dal disastro economico e sociale della Spagna contemporanea è venuta qui nel cuore della bassa Silesia
dove le politiche ambientali sono più sentite e le prospettive non dovrebbero mancare.
Vika è ucraina. La più piccola dei volontari, venti anni già ricchi di esperienze importanti coronati da uno scambio studentesco in America a soli 17 anni.
Storie diverse di ragazzi capitati in una realtà locale che non offre tante distrazioni o divertimenti.
A metà strada tra un villaggio di provincia e una città vera e propria.
Una città che, fino a ottanta anni prima, era tedesca e la gente vedendo questi turisti atipici, crede che si possa comunicare con loro in tedesco.
Il progetto comincia e io mi trovo impreparato e smarrito: il posto dove lavoro è frequentato da tanti bambini che non hanno esigenze particolari, forse c’è l’esigenza di imparare l’inglese divertendosi, ma all’insegnamento vero e proprio preferiscono i giochi sul computer e invece dell’inglese, si usa il polacco che credono io sappia parlare.
Smarrimento e confusione. Il progetto era interessante ma la gente è impreparata e non mi fornisce adeguata assistenza anche a causa di una conoscenza sommaria dell’inglese.
Le altre ragazze hanno trovato un supporto più valido e più incisivo.
Lavorare in un asilo e tutt’altra cosa: c’è bisogno di assistenza quotidiana a bambini, disabili o anziani.
Così loro hanno una tabella quotidiana delle attività mentre io ogni giorno devo inventarmi qualcosa per interagire con i bambini.
Arriva Novembre e decido di dare una scossa all’andazzo generale.
Vado a parlare con un’impiegata del comune che, teoricamente, dovrebbe occuparsi delle mie attività di volontario.
Così comincio a fare tante attività extra quali: organizzazione di eventi in un cui faccio il cameriere se non l’ospite vero e proprio, riesco a partecipare alle lezioni alla scuola media nelle classi di francese e inglese. Accetto persino di fare una volta a settimana, il contapunti nelle partite di volleyball tra ammogliati e scapoli pur di fare tanto e tenermi quanto più occupato possibile.
A dicembre arrivano gli altri quattro volontari inseriti in un progetto parallelo che, teoricamente, dovrebbe essere diverso dal nostro ma praticamente è lo stesso.
Il nostro coordinatore, alla prima esperienza come tale, prende tutto alla leggera e crede che si possa risolvere tutto organizzando grigliate e festini vari a base di vodka e alcolici vari con i governatori locali.
Non è una cattiva idea, ma è un valido riempitivo che nasconde comunque un’incapacità organizzativa evidente.
Un giorno salta fuori il progetto della scuola dei volontari che dovrei gestire con gli altri volontari.
Si organizza la pubblicità, articoli sulle gazzette locali, presentazioni ai licei e alle scuole medie.
La risposta arriva ma non è quella che ci si aspettava.
Trattandosi di una scuola di volontari, tutto dipende dalla volontà di fare nostra, che non manca, e dalla volontà degli studenti di partecipare che spesso manca.
La mia classe di francese inizialmente è frequentata da soli tre studenti, alla fine del corso ci sarà solo una ragazza che fortunatamente mi ha ringraziato per le lezioni e per il supporto dato.
Il corso di italiano non ha un numero definito di studenti; una volta ci sono 5 studenti, la settimana dopo non viene nessuno.
L’unico corso che funziona piuttosto bene è quello d’inglese che, grazie alla presenza di un’insegnante madre lingua, ha un seguito migliore.
Al venerdì sera si va a ballare nei pub dei paraggi.
Inizialmente sono favorevolmente sorpreso dalle ragazze disinibite che ballano con me.
Alcune di esse sono sposate e hanno figli.
Hanno anche mariti ubriachi che lasciano loro una sera di libertà con le amiche.
Si passa la voce, facile in questa città dove non abbiamo tanta privacy, di questo volontario italiano e le ragazze fanno quasi a gara corteggiarmi e ballare con me.
Non riesco ad avere una ragazza vera e propria, soltanto tante ragazze ubriache che a volte ci stanno e a volte no.
L’ebbrezza va avanti per un bel po, vado e vengo dall’Italia per le vacanze di Natale e per Maggio.
Sostanzialmente non cambia nulla, solite serate alcoliche danzanti, tante persone conosciute, tanti amici che aumentano la nostra cerchia di conoscenti, feste a casa nostra che i vicini non gradiscono molto.
L’inverno passa nel bianco candore della neve che ricopre la città per diversi giorni.
Stiamo a casa, tutti insieme a goderci la compagnia.
Fuori è il solito bere e sbevazzare che, a volte, diventa una stanca ripetizione.
Sento il bisogno di purificarmi e di allargare i confini.
Parto da solo per tre giorni in mezzo al freddo polare di Febbraio.
Ritorno in Italia per Maggio giusto in tempo per partecipare al progetto fotografico che ho curato grazie ad una squadra di professionisti del settore di cui io sono la sola eccezione.
Un altro pellegrinaggio per ritornare e per viaggiare.
Durante la mia assenza i miei nuovi amici mi hanno scritto, mi hanno pensato e mi hanno fatto sentire il loro affetto tramite i social network che, in questi casi, sono veramente utili.
Ho trovato anche qualcuna con cui condividere momenti d’intimità senza l’aiuto del solito alcool.
Ci siamo persi nei nostri discorsi vagando per la campagna, fantasticando e giocando al gioco amoroso.
Così una calda giornata di Giugno, quando credevo che oramai dovevo soltanto aspettare alcuni mesi per finire il progetto e cercare di gestirne uno simile, arrivano notizie non buone da casa.
Devo partire prima del previsto, c’è qualcun altro che ha bisogno di me.
Soltanto due settimane mi separano dalla partenza ma ormai il sentimento è che niente possa risvegliare il mio entusiasmo.
Devo ritornare ed è forse questa la lezione più importante che possa ricavare da questa esperienza.
Ritornare per combattere sfide più importanti e forse sbagliate.
Ritornare per non farmi mettere sotto da nessuno e capire cosa ho fatto e cosa farò.
Ritornare per cercare di non scappare più dai problemi ma di affrontarli a testa alta.
Fermo restando che, male che vada, un’altra fuga nella foresta con un bel paio di occhioni chiari non me la toglie nessuno.