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Anche i sindacati potranno avere alla fine, mentre le forze politiche si affannano attorno a un simile obiettivo, una loro «legge elettorale». È questo, in rapida sintesi, il senso dell’intesa sulla rappresentanza stipulata tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. Intesa benedetta subito come «storica» da Susanna Camusso e con parole simili da Bonanni, Angeletti, Squinzi. Dopo anni di polemiche roventi, accordi separati (soprattutto tra i metalmeccanici, un tempo punta di diamante dei processi unitari) sono state varate una serie di norme che dovrebbero poter stabilire una pax sindacale. Nel senso che i conflitti dovrebbero nascere non tra le diverse organizzazioni sindacali, bensì nei confronti delle controparti naturali. Un obiettivo che non è stato raggiunto attraverso una legge, strumento da sempre inviso soprattutto alla Cisl, che teme invasioni di campo delle forze politiche di destra ma anche di sinistra. C’è stata invece una serrata trattativa con una Confindustria, diretta da Giorgio Squinzi, che ha seguito le tracce di una cultura basata su relazioni sindacali moderne, sperimentate positivamente soprattutto nel settore chimico.
Ora è stata così data ai lavoratori la possibilità di misurare la forza organizzata delle diverse organizzazioni, nonché di partecipare alla costruzione del consenso (o del dissenso) agli accordi via via stipulati. Non è il referendum inseguito dalla Fiom, ma la cosiddetta «consultazione certificata» appare come un traguardo notevole. L’importante sarebbe poi stabilire i criteri di partecipazione nelle fasi che precedono gli accordi, a cominciare dalla definizione delle richieste. Un modo per consentire ai lavoratori di esprimere non solo un «sì» o un «no», ma proposte. Come si faceva un tempo.
Un accordo storico dunque dopo 60 anni, come ha osservato Squinzi. La storia della rappresentanza sindacale, a dire il vero, si potrebbe far risalire al 1906 quando la Fiom e l’azienda Itala di Torino avevano stabilito la nascita delle commissioni interne. Poi soppresse nel 1925 dal cosiddetto «patto di Palazzo Vidoni» e ricostituite nel 1943 con il patto Buozzi-Mazzini. Ed ecco nel 1948 l’articolo 39 della Costituzione che consente la creazione di organismi di rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro. La svolta più grande avviene però nel 1960, durante l’autunno caldo, con la nascita dei «Consigli di fabbrica», composti dai delegati.
Una stagione sindacale di grande ricchezza e che sfocia nella legge 300, ovvero lo Statuto dei lavoratori. Uno statuto oggetto di critiche e tentativi di manipolazione, soprattutto durante gli anni del centrodestra. Mentre l’esperienza dei consigli è progressivamente dimenticata, archiviata. Una scelta di ripristinare norme democratiche di rappresentanza (tramite le Rsu) avviene con l’accordo del 1993, con l’impulso decisivo di Trentin, D’Antoni, Larizza, Abete, Ciampi. E poi nel 2001 con un decreto legislativo riservato al pubblico impiego e al quale in molti aspetti si rifà anche l’odierno accordo per i lavoratori privati.
Una storia densa di alti e bassi e che in qualche modo ha dato vita spesso ad una giungla nel mondo del lavoro che si accompagna all’altra giungla nella quale è prigioniero il pianeta solitario dei giovani o atipici precari. La speranza è che si chiuda davvero la pagina delle contrapposizioni tra sindacati (magari coinvolgendo l’isola Fiat) e si riesca a trovare con l’unità anche una forza e una capacità di mobilitazione costruttiva. Il deperimento dell’offerta politica (testimoniato anche dal successo di movimenti come 5 stelle) non può non coinvolgere anche l’offerta sindacale. E la prorompente crisi economica rischia di lasciare Cgil, Cisl e Uil con un esercito in disfatta, composto da centinaia di migliaia di cassintegrati, licenziati, disoccupati, giovani combattuti tra indifferenza e disperazione.
Un appuntamento importante sarà quello del prossimo 22 giugno. I lavoratori uniti torneranno nella loro piazza San Giovanni a Roma per dire che non si può più aspettare. Un modo anche per rispondere alle stravaganti accuse dei dirigenti della Confederazione Usb contrari a norme che condannano la frammentazione sindacale e che parlano di un «governissimo sindacale». Sarà, crediamo, una giornata illuminata dalla speranza di ritrovare fiducia, senza cullarsi nelle lamentele ma mirando a traguardi giusti e possibili.
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