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Una leggenda italiana: un libro su Tucci, esploratore dell’Oriente

Creato il 15 giugno 2013 da Milleorienti

cover_sidebarChi è stato il più importante orientalista italiano? Chi ha fondato il Museo Nazionale d’Arte Orientale che si trova a Roma? Chi ha esplorato il Tibet e il Nepal quando erano ancora chiusi al mondo, riportando e catalogando preziosi tesori culturali? Chi ha condotto molte fra le più importanti missioni archeologiche italiane in Asia? Potrei continuare a lungo con domande simili ma la risposta sarebbe sempre la stessa: Giuseppe Tucci. Il nome di questa eccezionale figura di archeologo, esploratore e studioso del buddhismo (nato a Macerata nel 1894 e morto nel 1984) è ormai quasi una leggenda: famoso in tutto il mondo per i suoi libri, in Italia tuttavia è ancora poco noto, perché il nostro Paese ha la pessima abitudine di riconoscere tardi e a fatica il valore dei suoi talenti migliori.

A colmare questa lacuna è arrivata nelle librerie un’opera – una biografia di Tucci – che non è esagerato definire enciclopedica: 1483 pagine in due volumi (35 euro ciascuno, editore Memori-Asiatica) si intitola L’esploratore del duce. Le avventure di Giuseppe Tucci e la politica italiana in Oriente da Mussolini a Andreotti. Con il carteggio di Giulio Andreotti. Se la mole dell’opera può spaventare, viene però incontro al lettore la qualità della scrittura: scorrevole, avvincente, perfetta per narrare la vita romanzesca di Tucci. L’autrice è Enrica Garzilli, sanscritista specializzatasi nelle università di Delhi e di Harvard, direttrice di prestigiose riviste accademiche quali il Journal of South Asian Women Studies e l’International Journal of Tantric Studies, ma capace di scrivere in modo brillante evitando lo stile noioso di altri accademici.

Entriamo dunque nel “romanzo” della vita di questo grande studioso, protagonista delle relazioni culturali fra Italia e Asia per oltre mezzo secolo. Tutto comincia nel 1925 quando Tucci va a insegnare cultura italiana in India, a Shantiniketan, l’università “sperimentale” il cui scopo era favorire la conoscenza reciproca fra Oriente e Occidente, secondo i dettami del suo fondatore, il poeta Tagore (premio Nobel per la letteratura nel 1913). In India Tucci diventa amico di Tagore ma quello è solo il primo di una serie di incontri con personaggi straordinari: dal Mahatma Gandhi al Dalai Lama, dall’Imperatore giapponese (che lo riceve a corte a Tokyo) al filosofo Radhakrishnan, che diventerà poi Presidente dell’India nonché autore di una Storia della filosofia orientale pubblicata in Italia da Feltrinelli.  In seguito agli anni passati in India lo stesso Tucci scriverà poi una Storia della filosofia indiana che l’editore Laterza ha appena ripubblicato (pag. 450, euro 12).

Nel frattempo Tucci ha cominciato la sua frenetica attività di esploratore, archeologo e studioso del buddhismo, anzitutto nel suo luogo del cuore, l’Himalaya. Dal 1929 al 1948 compie otto spedizioni in Tibet, il Paese delle Nevi all’epoca isolato e sconosciuto in Occidente, che lui stesso definisce «il più grande amore della mia vita». Gira nei monasteri studiando un gran numero di tangka e di rari manoscritti buddhisti che cataloga nella collana Indo-Tibetica (cui si deve in gran parte la sua fama di studioso). La sua conoscenza del simbolismo buddhista lo porta poi a pubblicare, nel 1949, uno dei suoi libri più noti, Teoria e pratica del mandala, che continua ad essere ripubblicato anche in Italia (Ubaldini editore). In seguito passa dal Tibet al Nepal, Paese in cui organizza sei spedizioni fra il 1950 e il 1954.

Però è durante gli anni del fascismo che Tucci ricopre un ruolo chiave non solo sul piano scientifico ma anche su quello diplomatico: gira infatti in tanti Paesi asiatici per rappresentare la politica culturale ed estera dell’Italia in Oriente. Come mai ricopre questo ruolo di diplomatico “in pectore”? Perché per realizzare le sue ambiziose ricerche archeologiche e scientifiche ha bisogno di mecenati e sponsor politici. Perciò si lega al regime fascista nella persona del filosofo Giovanni Gentile, con il quale  fonda nel 1933 il più importante istituto di studi orientalistici in Italia, l’IsMEO.

Tucci fu fascista per convinzione o per convenienza? Credo che la risposta più utile ci venga da un altro grande orientalista, che lo conobbe bene perché fece con lui numerose spedizioni in Asia: Fosco Maraini, l’autore di splendidi libri come Tibet segreto e Ore giapponesi. Ebbene Maraini ha affermato che «più che fascista, Tucci fu tuccista…».  In ogni caso, come chiarisce bene Garzilli, ebbe un ruolo rilevante nella politica mussoliniana in Asia. E dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale cercò e trovò un nuovo “mecenate-sponsor politico” in Giulio Andreotti, il quale sostenne l’IsMEO e  le sue numerose spedizioni archeologiche in Pakistan, in Afghanistan e in Iran, che hanno prodotto grandi risultati sul piano scientifico.

Non ci sono soltanto luci nella vita di Tucci. Pesa su di lui la vergogna di essere stato fra i firmatari dell’infame “Manifesto della razza” che avvalorò la politica antisemita del regime fascista (anche se non è chiaro se la sua firma fu davvero “volontaria” mentre è provato che aiutò intellettuali ebrei a salvarsi). Credo comunque sia necessario distinguere l’uomo (discutibile e condannabile come chiunque) dallo studioso (straordinario). Come scrive Garzilli: «Io non sono qui per giudicarlo. Ho solo voluto scrivere la sua storia». Una storia di grandi luci e grandi ombre, per un uomo che nel 1940 scriveva: «Contemplando, tu partecipi dell’eterno. Agendo, torni sulla terra».

(Quello che avete letto qui sopra è un mio articolo pubblicato sul numero di giugno/luglio 2013 del mensile Yoga Journal)


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