Magazine Viaggi

Una mattina al Buddha Park

Creato il 09 novembre 2014 da Patrickc

Questo racconto parte dall’ultimo giorno di viaggio: da Vientiane allo Xieng Khuan, il parco di sculture più famoso del Laos

Succede così, di colpo. Una cosa da non crederci. Superiamo il Ponte dell’Amicizia che si protende sul Mekong verso la Thailandia, e che dalla nostro punto di vista, aggrappati alla meglio nel retro di un tuk tuk sembra poco più di un cavalcavia sulla tangenziale, poi la strada finisce all’improvviso. A una ventina di chilometri da Vientiane si trasforma in una distesa indefinita di fanghiglia e fossi, attraversata da un intrico di strettissime piste che si snodano fra micidiali buche, visibili solo al nostro autista, che tenta di dribblare le voragini e i veicoli contromano. Auto, camion, moto e altri tuk tuk cercano un fantasma di strada in questo groviera: le due carreggiate non esistono più. Su questo mezzo che vibra come un frullatore, precario anche sull’asfalto, mi trovo a contare le buche. Quante ce ne possono stare in un metro quadrato? Cinque, sei, posso assicurarlo. Il Laos è così. Il governo tenta di dare un aspetto di modernità. Strisce d’asfalto immacolato vicino alle città più importanti, aeroporti rimessi a nuovo, aerei impeccabili e pure il traffico, che da queste parti è segno di prosperità, accolgono gli investitori cinesi e thailandesi. Ma dietro la facciata, come sui set di alcuni film western, non c’è nulla di questa efficienza, anche senza spostarsi nei villaggi immersi nella giungla. Piste di fango, templi corrosi dalla muffa, scheletri di cemento abbandonati, in attesa che il prossimo investimento cinese (l’ennesima enorme diga, una piantagione , un pezzo di foresta da disboscare) porti altri soldi.

Sul tuk tuk (foto di Patrick Colgan, 2014)

Sul tuk tuk (foto di Patrick Colgan, 2014)

Nel traffico, uscendo da Vientiane (foto di Patrick Colgan, 2014)

Nel traffico, uscendo da Vientiane (foto di Patrick Colgan, 2014)

Il braccio tatuato di un monaco, sul tuk tuk accanto al nostro, fermo al semaforo rosso (foto di Patrick Colgan, 2014)

Il braccio tatuato di un monaco, sul tuk tuk accanto al nostro, fermo al semaforo rosso (foto di Patrick Colgan, 2014)

Fra le sculture dello Xieng Khuan

Gli ultimi chilometri sembrano eterni ed è surreale arrivare al Buddha park (o Xieng Khuan), che con i suoi alti alberi e le statue che spuntano fra la vegetazione sembra un’oasi nel deserto. Si tratta di un parco di sculture creato nel 1958 per volontà di Luang Pu Bunleua Sulilat, un religioso che sognava un’unione sincretica di buddismo e induismo. Le statue sono oltre 200, in cemento annerito e in disfacimento, sembrano antichissime nonostante abbiano pochi decenni. Su alcune si intravedono i resti di laccature o colori ormai cancellati dalle stagioni, dal sole e dalle piogge, di alcune mancano dei pezzi. Ma la cosa che mi sorprende  è quanto le sculture siano vicine le une alle altre. E nonostante tutto questo affollamento di figure l’atmosfera è rilassata, da parco giochi, e bambini e ragazzi si divertono a imitare le pose di demoni e divinità, mentre una giovane coppia si ferma a pregare davanti all’enorme, famoso Buddha sdraiato lungo ben 120 metri. Ai nostri occhi il parco è incomprensibile ed enigmatico. Non riconosciamo queste figure, non ci sono spiegazioni né guide in giro a far luce sul significato dei particolari. Ma forse non c’è niente da scoprire, non era nemmeno l’intento di chi ha creato quest’opera: il senso di tutto questo, credo, è nell’intensa serenità che pervade il posto.

Buddha Park (foto di Patrick Colgan, 2014)

Buddha Park (foto di Patrick Colgan, 2014)

Buddha Park (foto di Patrick Colgan, 2014)

Buddha Park (foto di Patrick Colgan, 2014)

Buddha Park (foto di Patrick Colgan, 2014)

Il Buddha sdraiato sullo sfondo (foto di Patrick Colgan, 2014)

Buddha Park (foto di Patrick Colgan, 2014)

Buddha Park (foto di Patrick Colgan, 2014)

Buddha Park (foto di Patrick Colgan, 2014)

Buddha Park – e maxi zucca sullo sfondo (foto di Patrick Colgan, 2014)

Buddha Park (foto di Patrick Colgan, 2014)

Buddha Park, dall’alto della zucca (foto di Patrick Colgan, 2014)

Il giro si conclude per tutti nella grande zucca che sta al margine del parco. All’interno ci sono tre livelli, stanze, statue e un intreccio di scale che portano fino a una terrazza che domina il parco. Rappresentano inferno e paradiso, il mondo ultraterreno racchiuso in una zucca. Come si fa ad angosciarsi con un’immagine simile?

Come arrivare al Buddha Park

Un tuk tuk

Un tuk tuk, qui sono più potenti di quelli che circolano in India

Il parco dista ben 25 chilometri da Vientiane, a sud lungo il Mekong, poco distante dal Ponte dell’amicizia che porta verso la Thailandia. In tuk tuk ci vogliono circa 45 minuti. Noi abbiamo pagato 200.000 kip (20 euro) per andata e ritorno con l’autista che ci ha aspettato sul posto. Il prezzo lo ha fissato il nostro premuroso albergatore (un po’ costoso, ma consigliatissimo l’Hotel Beau Rivage Mekong). Ma sicuramente si può trattare per pagare la metà o poco più. Si può arrivare anche in bus, in circa un’ora, parte dall’autostazione con regolarità. Ma una volta scesi al Ponte dell’amicizia bisogna trovare e contrattare un altro tuk tuk: decisamente poco comodo.

L’ingresso al Buddha Park costa invece 5.000 kip a persona (50 centesimo di euro) con una tassa extra di 3.000 kip per la macchina fotografica.

Segui @patrick_c



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :