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Una minorenne in America/3: Greetings from New York, 1985 - Prima parte

Da Silviapare
Una minorenne in America/3: Greetings from New York, 1985 - Prima parteDopo aver scoperto che eravamo libere di andare e venire quando e come ci pareva, io e Cristina, accompagnate occasionalmente da qualche altra temeraria, cominciammo davvero ad andare e venire come e quando ci pareva. Provate a pensare all'emozione che si prova quando si mette piede per la prima volta a New York, quella sensazione di essere entrati direttamente nello schermo del cinema e di poter incontrare un personaggio mitico, non importa se vero o fittizio, dietro ogni angolo. Anzi, di essere diventati noi stessi uno di quei personaggi mitici. E poi pensate di provare quella sensazione a sedici anni, per tre settimane di fila, completamente libere di fare tutto quello che vi pare. Soldi permettendo, visto che in teoria era già stato tutto pagato e non avremmo dovuto spendere di più. E oltretutto il cambio era intorno a 1$ per 2000 lire.
Una minorenne in America/3: Greetings from New York, 1985 - Prima parte
E così mangiavo poco, in quel periodo, prevalentemente mele verdi, e camminavo in media dieci chilometri al giorno. Tutta la città a piedi. Tutta. La mattina prendevamo il ferry da Staten Island e tornavamo la sera, a volte a notte fonda. Una volta andammo a un concerto jazz al Village Vanguard. Si fumava, allora. Era un vero jazz club, buio e sotterraneo e fumoso.
Una volta incontrammo un ragazzo bellissimo che sembrava James Dean e che ci portò a fare un giro al parco. Scoppiò un temporale, io mi tolsi le espadrillas per non far sciogliere la suola e corsi a rifugiarmi con lui sotto l'arco che c'è vicino alla Behesda Fountain (ci sono stata di recente e l'ho riconosciuto). A piedi nudi nel parco, cantando sotto la pioggia e saltellando per evitare i cocci di bottiglia e le siringhe.
Una minorenne in America/3: Greetings from New York, 1985 - Prima parte
Una volta incontrammo un ragazzo simpatico  che comprò due birre per noi ultraminorenni e bevve con noi dal sacchetto di carta marrone per la strada. Poi, visto che si avvicinava l'alba, ci invitò a casa sua a fare colazione. "Volentieri!" rispondemmo. "Dove abiti?" "Nel Bronx." E via, in metropolitana, a fare colazione nel Bronx alle 5 del mattino con uno sconosciuto (era la parte residenziale del Bronx, quella non pericolosa, ma noi non lo sapevamo).
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I nostri genitori, ovviamente, non sospettavano nulla. L'unica volta che ci tradimmo fu il giorno che ce ne andammo a spasso per Harlem. (1. Continua)

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