Magazine Politica

Una moneta complementare per il welfare. Potrebbe essere questa la soluzione per uscire dalla crisi?

Creato il 25 gennaio 2014 da Veritaedemocrazia

Una moneta complementare per il welfare. Potrebbe essere questa la soluzione per uscire dalla crisi?

Foto di Maice da Facebook https://www.facebook.com/photo.php?fbid=564998003589775&set=a.160384130717833.37334.160381424051437&type=1&theater

di Maurizio Zaffarano

Non mi addentro in questo post nella discussione sull'uscita dall'euro consapevole delle implicazioni, non liquidabili in poche righe, economiche, politiche, sociali, storiche, culturali, delle relazioni internazionali che essa si porta dietro e nella convinzione che, se questa Europa dell'austerità e del liberismo è l'Inferno, l'uscita dall'euro di per sé non è il Paradiso (“le ingenue apologie del cambio flessibile quale panacea di ogni male” per citare il monito degli economisti di Emiliano Brancaccio e altri). L'euro, se non cambieranno le regole e gli strumenti che lo governano, è destinato probabilmente ad implodere: dunque il problema per la Sinistra non è di accodarsi alle destre nello sventolare la bandiera dell'uscita dall'euro (cioè focalizzarsi sull'arma che uccide e non su chi la impugna) ma di lottare per cambiare i rapporti di potere e gli assetti proprietari su cui è fondato il capitalismo dei nostri tempi e di contrapporgli un'alternativa (ed in questo senso è interessante leggere cosa scrive Bruno Amoroso). In caso contrario, se e quando si arriverà all'uscita dall'euro questa verrà gestita dalle stesse oligarchie (quelle che fondano il proprio potere sulle mafie, sulla corruzione, sull'evasione fiscale, sulla devastazione dell'ambiente, sulla subalternità ai 'mercati', al Vaticano, al capitalismo di rapina e agli interessi delle grandi multinazionali) che ci hanno condotto al baratro a cui siamo giunti: serve allora dunque costruire da subito una reale alternativa politica e culturale ed una concreta rete di protezione a favore dei ceti popolari, per contrastare povertà ed esclusione sociale.
Di fatto le condizioni politiche (leggi disponibilità della Germania) per rinegoziare gli attuali (perversi) vincoli finanziari e monetari europei non si vedono all'orizzonte. Nel contempo l'uscita dall'euro, soprattutto se non negoziata e sospinta da moti di piazza in stile 'forconi' o se innescata da referendum consultivi che scatenerebbero mercati finanziari e fuga dei capitali, rappresenterebbe poi indubbiamente un pericoloso salto nel buio, da un punto di vista non solo economico ma soprattutto politico e sociale. Nel caos conseguente è più facile pensare alla presa del potere da parte di forze militari piuttosto che all'avvento del socialismo rivoluzionario. Credo che non dovremmo mai dimenticare che la situazione che stiamo vivendo nel nostro Paese è certo la conseguenza dell'austerità imposta dall'Europa (dopo la crisi delle banche americane del 2008) e dalla perdita di competitività delle merci italiane a seguito dell'adozione dell'euro ma è anche il punto culminante di un trentennio di finanzcapitalismo, di liberalizzazione della circolazione dei capitali, di colpevole rinuncia a governare l'economia per mezzo delle imprese e delle Banche pubbliche, di impetuose trasformazioni tecnologiche, di globalizzazione dei mercati che ha portato al primato nelle capacità produttive le potenze emergenti del sud-est asiatico a cui ha fatto riscontro una classe dirigente nazionale (politica, sindacale ed imprenditoriale) imbelle e corrotta. Il risultato a cui siamo arrivati è quello di milioni di persone senza lavoro e senza reddito o con un lavoro inadeguato, insufficiente, inutile o che hanno a disposizione solo temporanei ammortizzatori sociali come la cassa integrazione – energie, capacità, talento gettati al vento – a cui si contrappongono enormi bisogni sociali che restano insoddisfatti: nella sanità, nell'istruzione, nell'assistenza sociale ed ai non autosufficienti, nella manutenzione del territorio, nella necessità di adeguare gli edifici a criteri di sicurezza e di efficienza energetica, nella cura delle città, nella difesa o nel risanamento dell'ambiente, nella tutela e nella valorizzazione dell'immenso patrimonio artistico, archeologico, paesaggistico italiano. Un Paese allo sbando, da un lato flagellato dalle continue emergenze e dai disastri causati da fenomeni naturali, con i servizi pubblici progressivamente smantellati e milioni di persone lasciate senza speranza e senza un reddito sufficiente per vivere. La mia domanda allora è: perché non riflettere su soluzioni intermedie, di compromesso, immediatamente attivabili e non azzardate, incuneandosi nei margini di interpretazione dei trattati europei in vigore per contrastarne davvero gli effetti ed imporne, modificando i rapporti di forza sociali e politici e con i 'padroni' tedeschi, una revisione?
Potrebbero quei milioni di cittadini in povertà e senza lavoro essere impiegati nella produzione di beni e servizi (sanità, scuola, trasporti, energia, prodotti alimentari, assistenza, asili nido, case da ricavare da edifici pubblici dismessi) in imprese a gestione pubblica (in tutte le sue possibili accezioni: Stato, enti pubblici, enti locali, comunità locali di cittadini organizzati secondo criteri democratici e partecipati)? E se a fronte di quella ricchezza reale prodotta (beni e servizi) fosse emessa una moneta complementare (buoni welfare) valida per acquistare quegli stessi beni e servizi non si renderebbero disponibili le risorse per retribuire (in larga parte) i lavoratori impiegati per produrla e nello stesso tempo per estendere le protezioni dello Stato sociale (reddito minimo garantito, qualità ed offerta di servizi pubblici)? Rendendo liberamente negoziabili i buoni welfare (il cui valore starebbe appunto nella possibilità di acquistare beni e servizi primari come ad esempio la frequenza di un asilo nido o l'abbonamento ad una linea di trasporto) nuove risorse verrebbero poi immesse nel circuito dei consumi privati. E ciò ridarrebbe fiato, attraverso l'incremento del potere d'acquisto dei ceti popolari, all'impresa privata (e questa potrebbe a sua volta utilizzare i buoni welfare incassati per incrementi salariali ai propri dipendenti, attraverso specifici accordi sindacali). Dunque produzione (innescata da una forma di sovranità monetaria e dall'intervento pubblico nell'economia) di ricchezza e qualità della vita (sociale e ambientale) vera, inclusione sociale e lotta alla povertà, incremento del reddito disponibile per i ceti popolari a cui corrisponderebbe nuova linfa per le attività economiche e per i consumi. Realizzando con questo un'autentica rivoluzione culturale e dando concreto significato a concetti quali sovranità monetaria, pianificazione ed intervento pubblico nell'economia, piena occupazione, redistribuzione della ricchezza ed uguaglianza sociale, socialismo. Si riporterebbe cioè nella vita economica e sociale, si perdoni la citazione plebea della dichiarazione dell'allenatore della Roma Rudi Garcia dopo la vittoria nel derby, 'la chiesa al centro del villaggio'. Provo ad immaginare le possibili obiezioni a queste riflessioni (non prendo in considerazione la scontata accusa di dirigismo e di statalismo considerato che considero questi non il problema ma la soluzione dei nostri problemi). Tra queste obiezioni anzitutto il fatto che lo Stato avrebbe meno incassi monetari in euro a fronte dell'erogazione dei propri servizi. Ma in realtà aumentando la propria offerta soprattutto consentirebbe di usufruirne a chi oggi non vi accede per carenze di reddito o perché non considera adeguata l'offerta (per la qualità e la tempestività nell'erogazione). Ciò che si realizzerebbe piuttosto è un trasferimento degli incassi dal settore sociale privato e confessionale a quello pubblico ma si può presumere che le risorse risparmiate dai cittadini andrebbero ad affluire in altri tipi di consumi (senza influire negativamente sulle entrate fiscali dello Stato e sull'occupazione privata complessiva). In ogni caso computando nel PIL la ricchezza prodotta, grazie all'istituzione di questo esercito di lavoro, non verrebbero di certo alterati i famigerati parametri europei. Si pensi ancora a quali benefici potrebbero avere sul turismo e sull'economia 'culturale' le piccole opere pubbliche di manutenzione e bonifica del territorio e di tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e di quanto il nostro Paese abbia bisogno di investimenti nei settori strategici della Scuola, dell'Università, della Ricerca. L'accusa che invece presumo possa venire da 'sinistra' riguarda l'istituzionalizzazione di una doppia categoria di lavoratori: quelli di 'serie B' retribuiti in 'natura' e quelli di 'serie A' retribuiti in denaro. A parte il fatto che si ragiona in termini di retribuzione prevalentemente in natura e che i due 'mondi', fermo restando la libertà di passaggio da una condizione lavorativa all'altra, dovrebbero alla lunga potersi omogeneizzare come parità di trattamento e di reddito, l'alternativa che io vedo è tra la richiesta di reddito di cittadinanza non condizionato e di reddito minimo garantito e la produzione di ricchezza per mezzo di lavori socialmente utili. Per la prima opzione non vi sono, ahimè, le condizioni politiche, economiche e monetarie. Al più, come sembra evincersi da alcune proposte di 'opinionisti' del mondo del precariato, sorprendemente in linea con la visione della ditta Ichino-Fornero-Renzi, ciò che si prospetta è di utilizzare le risorse attualmente dedicate alla cassa integrazione, peraltro frutto di specifici contributi versati da lavoratori ed imprese sulla base di norme e di accordi sindacali, senza aggiungerne di altre realmente consistenti, per allargare a dismisura la platea dei beneficiari a tutti i disoccupati e agli indigenti. Un po' di briciole per tutti (ed insufficienti per tutti) che non cambiano la visione fondante del capitalismo: la ricchezza ed il lavoro vengono creati solo dall'iniziativa privata e dal mercato e lo Stato può avere solo la funzione di redistribuire ciò che può prelevare dalla ricchezza privata con le tasse. La seconda opzione, quella che qui propongo dei lavori socialmente utili, risponde invece sia alla situazione attuale di emergenza (e non trovo affatto indecoroso che chi ha bisogno di reddito possa ottenerlo prevalentemente in forma di beni e servizi essenziali e dando in cambio un contributo alla collettività) sia all'assoluto bisogno che abbiamo di affermare una visione alternativa a quella capitalista, liberista e della onnipotenza dei mercati. Un punto essenziale è che il percorso che ho qui rudimentalmente accennato è realizzabile grazie all'adozione di una legislazione nazionale autonoma, 'forzando' i trattati europei, e, se ne mancasse la volontà politica, da parte di enti locali – regionali, provinciali, comunali – o in ultima ipotesi autonomamente dagli stessi cittadini che riuscissero ad auto-organizzarsi in tal senso. Un'Italia resa più forte e più coesa sul piano sociale avrebbe finalmente la possibilità di negoziare con ben altra forza e ben altre possibilità di successo la revisione dei trattati europei rendendo non più semplici chimere tutte quelle opzioni che sono state indicate (la trasformazione della BCE in prestatore di ultima istanza degli Stati membri dell'euro, gli eurobond, l'adozione di meccanismi per compensare le differenze di produttività e gli sbilanci commerciali tra i Paesi della zona euro) per non buttare via dell'Europa il bambino insieme con l'acqua sporca.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :