di
Erminia Borzì
Graziella De Palo
Graziella De Palo, 24 anni e Italo Toni, 51 anni, scomparsi a Beirut (Libano), il 2 settembre 1980, erano entrambi giornalisti di Paese Sera, giornale del Pci negli anni ’70-‘80. Graziella era una giovane promessa del giornalismo italiano, che si trovò coinvolta in un gioco più grande di lei.
Laureata in lettere moderne, la De Palo scrisse alcuni pezzi sul rapporto tra “l’imperialismo” americano e i Paesi del Terzo mondo e Medio oriente, suscitando molti consensi ed accattivandosi la fiducia professionale di Giuseppe Fiori ed Andrea Barbato, i quali, fino al 1982, si alternarono alla direzione di Paese Sera. La De Palo, pur non essendo ancora giornalista a tutti gli effetti, prometteva un brillante futuro da cronista. “Graziella – ricorda la madre Renata De Palo – aveva una grande sensibilità e un forte senso di protezione nei confronti dei più deboli, tanto da abbracciare pienamente la causa palestinese. L’amica Loredana Lipperini ha dichiarato che Graziella le ripeteva sempre questa frase: “…e comunque, agisci. Anche a vuoto, ma agisci. Non stare ferma. Mai!”. Questa era la giornalista Graziella De Palo…
Graziella De Palo ed Italo Toni
Italo Toni, da maestro elementare di una piccola provincia marchigiana, divenne un promettente giornalista di Paese Sera, come Giovanni Spampinato, firmando anche articoli sul traffico internazionale di armi. A differenza del giornalista ragusano, però, le inchieste di Italo Toni si esplicarono ad ampio raggio, trattando un giro continuo e redditizio di droga ed armi tra Africa, Asia, Medio Oriente ed Italia. Traffici internazionali che violavano i patti sanciti dall’Onu, scatenando vere e proprie guerre di aggressione nei Paesi del Terzo mondo ed alimentando il terrorismo nel nostro paese. Italo era un giornalista “consumato”; conosceva come le sue tasche il Medio oriente, tanto che, nel 1968, per Paris Match, scrisse un articolo che fece conoscere all’Occidente la presenza di campi di addestramento di Al-Fatah, la guerriglia palestinese, fondata da Yasser Arafat nel 1959.
Gli amici e colleghi del giornalista scomparso così lo ricordano: “Italo era sicuramente un giornalista fuori dagli schemi, non integrabile nel sistema giornalistico italiano; era un free lander con un grosso fiuto per le inchieste. Ha sempre corso rischi, ma sapeva calcolare i pericoli. Sicuramente, prima del 2 settembre 1980, Italo si è sempre affidato anche alla fortuna…”. Certamente Italo Toni vide in Graziella quelle doti di entusiasmo, capacità professionale e serietà che egli richiedeva nei suoi collaboratori.
La Beirut degli anni ’80
guerra in Libano (1982)
Tra il 1975 e il 1991, nella capitale libanese ci furono 560 rapimenti di occidentali (religiosi, militari, diplomatici, uomini d’affari e, soprattutto, giornalisti), che vi soggiornavano. La Beirut, scenario del rapimento di Graziella De Palo e Italo Toni, era una città devastata dalla guerra. Se prima del 13 aprile 1975, il Libano era considerato un’oasi di pace, lussi e divertimenti, dopo quella data, questo Paese dovette piegarsi alla realtà. In un quartiere cristiano maronita della zona est, durante l’inaugurazione di una chiesa, vennero esplose da una macchina in corsa raffiche di mitra, che procurarono la morte del leader della comunità religiosa e di alcuni civili (4 morti e 7 feriti). Come rappresaglia, i miliziani falangisti cristiani uccisero un gruppo di fedayn di ritorno da una parata e un gruppo di civili palestinesi (27 morti). Fu l’inizio di una guerra che durò 17 anni e fu un massacro etnico, perché a Beirut convivevano 13 comunità, tra le quali, le più numerose, quelle degli sciiti, dei sunniti, dei palestinesi e dei cristiani maroniti. Quest’ultima etnia era sostenuta dagli israeliani, mentre la comunità palestinese era sostenuta dai siriani e, dal 1979, in seguito alla detronizzazione dello Scià, anche dall’Iran di Khomeini. Tutte le etnie di religione islamica si raccolsero nel Fronte Democratico Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp o Olp). Con la guerra il controllo pubblico e delle frontiere si affievolì e fiorirono i traffici di armi e droga. Proliferarono faccendieri, spie e giornalisti; queste ultime figure spesso si identificarono tra di loro e Beirut divenne anche la Mecca dello spionaggio. Il ricavato della vendita delle armi venne impiegato in istituti di credito, aziende e banche internazionali con sede nella capitale libanese. Con queste società ebbero anche a che fare personaggi noti legati alla P2, al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi e ai Servizi Segreti Italiani. Così La De Palo, in un articolo uscito su Paese Sera il 21 marzo 1980, titolò: False vendite spie e società fantasma: così diamo armi. Questo caos di intrighi internazionali, a meno di due settimane dal loro arrivo, inghiottì Italo e Graziella.
Il viaggio senza ritorno
La prima tappa del viaggio di Graziella De Palo ed Italo Toni fu Damasco. Era il 22 agosto 1980 e i due giornalisti erano appena arrivati in Siria. La prova è data da un telegramma che Graziella inviò alla famiglia a Roma e che arrivò a casa De Palo il 26 agosto. Fu il primo e l’ultimo messaggio della giornalista italiana alla famiglia; l’unica certezza di quel viaggio sfortunato. La mamma della giornalista, Renata De Palo, dichiarò successivamente che non si era preoccupata da principio del silenzio della figlia, perché la stessa l’aveva avvertita che, arrivata a destinazione, le possibilità di comunicare con l’Italia erano molto improbabili. In seguito all’ufficializzazione della scomparsa da parte dell’ambasciata italiana, il 15 settembre 1980, le autorità siriane negarono la presenza dei due giornalisti italiani a Damasco, ma, in un secondo momento, furono costretti ad ammettere, sotto la pressione della Farnesina, la loro presenza alla fine di agosto nella capitale siriana. Massimiliano Scafi de Il Giornale, il 5-02-1983, titolò: In Libano bocche cucite sulla sorte dei due giornalisti italiani scomparsi.
L’inchiesta dei due giornalisti
Prima della partenza, Graziella ed Italo si erano recati nella sede romana dell’Olp, che, nel 1980, si trovava in via Nomentana. Secondo la versione dell’ex rappresentante dell’Olp in Italia, Nemer Hammad, entrambi i giornalisti si presentarono come free landers, dichiarando di non avere sufficienti possibilità economiche per affrontare il viaggio in Libia. Hammad si occupò del viaggio, garantendogli la protezione del Fplp a Beirut e, il 24 agosto, Graziella ed Italo passarono in macchina la frontiera tra Siria e Libano, arrivando lo stesso giorno a Beirut. I due giornalisti si presentarono alla sede del Fplp della capitale libanese, ottenendo una stanza all’hotel Triumph e un interprete, il prete palestinese, monsignor Ibram Ayad, con il quale la De Palo aveva avuto un contatto meno di un mese prima del suo arrivo a Beirut. (L’intervista a padre Ayad è l’ultima di Graziella: Un prete cattolico palestinese: “Ci resta solo la lotta armata”. Mons. Ayad: i violenti sono loro).
Ufficiosamente Graziella ed Italo volevano documentare le condizioni di vita dei profughi palestinesi e la situazione politico militare del Libano. In realtà, come dichiarerà lo stesso monsignor Ayad, Italo Toni dimostrava di essere molto interessato al traffico di droga che arrivava a Beirut e, solo in un secondo momento, a quello di armi. I due giornalisti si resero subito conto che non era facile reperire informazioni, perché la città era divisa da una cortina presidiata dai gruppi falangisti sulla via di Damasco. La zona ovest era controllata dalla milizia musulmana, della quale facevano parte palestinesi, sciiti e sunniti. La zona est, invece, era controllata dalla milizia cristiana maronita.
Probabilmente a causa di queste difficoltà, Graziella ed Italo, il giorno prima della loro scomparsa, si recarono all’ambasciata italiana a Beirut, dichiarando di voler visitare il sud del Libano. Qualora non fossero tornati entro tre giorni, l’ambasciata avrebbe dovuto allertare i soccorsi. Invece, passarono più di dieci giorni dall’attivazione dei soccorsi da parte dell’ambasciata italiana a Beirut e della Farnesina, suscitando l’ira di Renata De Palo, secondo la quale l’Italia si era disinteressata completamente della figlia e del suo collega. In seguito, alcuni giornalisti documentarono il calvario delle famiglie De Palo e Toni, come Rina Goren de Il Messaggero, che, il 5-02-1983, scrisse: Totale disinteresse dell’ambasciata per le sorti dei due giornalisti. Il Secolo d’Italia titolò, l’11-06-1983, La famiglia De Palo accusa il Ministero degli Esteri. Roberto Della Rovere del Corriere della Sera, l’11-06-1983, scrisse: Da Pertini la mamma di Graziella De Palo: “Qualcuno copre gli autori del rapimento”.
Il giorno della scomparsa
Il 2 settembre 1980, i due giornalisti italiani uscirono di buonora dal loro albergo per raggiungere con una jeep l’Olp, situato su una delle linee più calde della guerra tra palestinesi ed israeliani: la zona del castello di Beaufort. Probabilmente, in serata, al loro rientro in albergo, Graziella ed Italo avrebbero dovuto incontrare un trafficante, ma è solo un’ipotesi, perché della loro scomparsa non ci sono testimoni. E’ certo che il portiere dell’albergo, Gargi Chaker, fosse una persona di fiducia del Fplp e che li controllasse. E’ probabile che, davanti all’hotel Triumph, i due giornalisti siano saliti su un mezzo che li portò verso la morte. Il sequestro De Palo-Toni non ha un nome, non si conoscono le motivazioni di tale atto. Forse ad Italo e a Graziella fu costruito ad arte il ruolo di informatori, ovvero, di spie. Sono certe solo poche cose: in quel periodo, a Beirut, si rapiva per i motivi più diversi, soprattutto se si era cittadini occidentali. In seguito Palestinesi e cristiani maroniti si palleggiarono le colpe per la sparizione dei due giornalisti con il benestare di una parte delle autorità italiane. E’ certo che non si volle approfondire l’appartenenza politica dei rapitori, al fine di iniziare una trattativa. Il Libano non parlò mai di Graziella ed Italo, quasi che, non parlandone, la sparizione non fosse mai successa. Molte autorità palestinesi ed italiane, ancora oggi, probabilmente sanno ma non vogliono ancora chiarire i motivi della sparizione e dell’omicidio. A distanza di trent’anni c’è ancora una enorme voragine che divide i comuni cittadini dalla Verità.
Carta del Medio oriente
Purtroppo, in questo caso, furono le famiglie ad occuparsi degli scomparsi e la famiglia De Palo, il 15 settembre, giorno previsto per il rientro in Italia dei due giornalisti, allertò l’ambasciata italiana di Damasco, l’unico luogo certo per i genitori di Graziella dove la figlia aveva soggiornato. Solamente il 29 settembre, i De Palo vennero a sapere che nell’albergo di Beirut, dove Graziella alloggiava insieme ad Italo Toni, erano rimasti alcuni effetti personali di Graziella, tra i quali l’agenda, trovata integra. Un’agenda ricca di nomi e cognomi, di appuntamenti e di posti da vedere. Allora perché le indagini non partirono proprio da quell’agenda? Perché il Sismi e la Procura non codificarono gli appunti di Graziella, trascurando completamente questa importante pista?
Dopo questo ritrovamento, agli inizi di ottobre, il Ministero degli Esteri decise di aprire un fascicolo, affidando l’inchiesta al capo del Sismi, il colonnello Stefano Giovannone e non all’ambasciatore italiano a Beirut, Stefano d’Andrea. Perché questa scelta?
Nemer Hammad parlò del capo del Sismi come di un patriota: “…durante la guerra in Libano aveva la tessera di Al Fatah e gli era consentito passare a qualunque check-point!”. Questa opinione è in contrasto con l’idea che Graziella De Palo aveva del colonnello. Poco tempo prima del suo viaggio a Beirut, la De Palo titolò così un suo articolo: Novello Lawrence d’Arabia ovvero Giovannone. Il nomignolo di un Colonnello che fa da sceicco di raccordo fra il nostro controspionaggio e l’Olp. Adesso è nei guai. E’ chiaro che Graziella alludesse al traffico di armi tra Italia e il Medio oriente. Traffici per i quali si puntava il dito contro Giovannone. A questo proposito l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, onorevole Francesco Mazzola, dichiarò che non era da escludere uno stretto legame tra il Sismi italiano e le milizie palestinesi. Legame che, probabilmente, era andato oltre l’Accordo Moro.
Il colonnello del Sismi aveva ottime ragioni per diffidare anche di Italo Toni, che, “scorrazzando” per tutto il Libano, costituiva un testimone oculare per quei traffici che dovevano rimanere segreti (Il Giornale d’Italia, 28-10-1983: L’inchiesta sul traffico di armi: interrogato il colonnello Giovannone). “Qualcuno, ancor prima che i due giornalisti partissero dall’Italia – affermò l’emiro Faruk Abillamah – fece credere alla milizia dell’Olp e soprattutto alla Siria che Italo Toni era una spia e questa notizia non poteva arrivare se non dall’Olp italiana”. Anche il giornalista Giampaolo Pellizzaro (consulente della commissione di inchiesta parlamentare sulle stragi e sul terrorismo) si dimostrò d’accordo con l’emiro Abillamah ed aggiunse che la segnalazione alla Siria e al Libano che Italo Toni fosse un informatore arrivò quando i due giornalisti cercarono l’accreditamento da Nemer Hammad. (Franco Nicotra de Il Messaggero, il 21-06-1984, scrisse: Avvertì l’Olp sulle armi e la De Palo).
Un anno e mezzo dopo la scomparsa, il 18 Aprile 1981, la famiglia De Palo fu ricevuta a Damasco da Arafat, il quale promise la liberazione di Graziella. I genitori e gli amici di Graziella intuirono che, dietro la sua prigionia, ci fossero negoziati occulti e che Graziella fosse considerata merce di scambio. Uno scambio che (come si resero conto molto presto) andò rapidamente in fumo. “Il nostro governo”, affermò Renata De Palo, “era perfettamente a conoscenza di cosa fosse accaduto a mia figlia e ad Italo Toni e chi fossero coloro con cui dovere trattare!” (Bruno Miserendino de L’Unità, l’11-06-1983, scrisse: Accusiamo Santovito e i servizi per la fine di Italo e Graziella).
Il 12 giugno 1981, la milizia cristiano maronita smentì, attraverso un comunicato, la paternità del rapimento. La prova era il luogo della scomparsa: Beirut ovest, territorio sotto il controllo dell’Olp. I palestinesi respinsero l’accusa con un comunicato stampa al quale partecipò anche Nemer Hammad, il quale difese anche Giovannone e il governo italiano. Perché questa difesa così diretta? Eppure sul coinvolgimento dei Palestinesi e sul benestare del governo italiano vi erano molti sospetti.
Quando il 14 gennaio 1982, il governo italiano decise di intervenire, l’istruttoria venne affidata al dott. Giancarlo Armati, sostituto procuratore della Procura di Roma. In seguito, il giudice Armati dichiarò che quella era stata l’inchiesta più ingarbugliata e complessa della sua carriera di Sostituto Procuratore.
Il 24 gennaio 1983, la famiglia De Palo si recò in Libano, portando con sé una delegazione di giornalisti italiani (Il 22-01-1983, il Giornale d’Italia titolò: Delegazione a Beirut per cercare i due giornalisti scomparsi). La situazione politica era cambiata: i palestinesi avevano abbandonato Beirut, dove si erano insediati i militari israeliani, per rinforzare l’esercito cristiano maronita. In questo scenario politico-militare, i genitori di Graziella speravano di creare una breccia che potesse concretizzare il ritorno di Graziella a casa. Questa speranza era alimentata da condizioni favorevoli, che si rivelarono delle bolle di sapone e “per le quali”, ha dichiarato la madre di Graziella, “chi sapeva continuava a non parlare”. L’esito del viaggio a Beirut per i coniugi De Palo fu deludente, come pure il loro rientro: molti, infatti affermavano che Graziella ed Italo se l’erano andata a cercare…. .
E’ chiaro che il dialogo che la famiglia De Palo voleva instaurare con il governo libanese non poteva concretizzarsi, perché, se apparentemente la situazione politico-militare sembrava “rasserenata”, il Libano viveva una situazione di completo caos, che, a distanza di più di trent’anni è ancora evidente. Negli anni ’80, infatti, il Libano era uno Stato frammentato in tanti settori, che cercavano di prevalere gli uni sugli altri.
Graziella De Palo, prima della sua partenza per Beirut, era in contatto con l’onorevole Falco Accame, il quale, a seguito delle inchieste della giovane giornalista, formulò diverse e ripetute interrogazioni parlamentari sui rapporti tra il colonnello Giovannone e l’Olp e il traffico di armi e droga che dal Medio Oriente giungeva in Italia. Secondo Accame, la questione più delicata che condannò a morte Graziella ed Italo fu il rifornimento di armi alla milizia palestinese di Al Fatah (www.anavafaf.com, Falco Accame, Non c’è il fato nella lunga scia di morti ignote in Italia).
Il rapimento De Palo-Toni e i missili di Ortona
Tra l’autunno del 1979 e l’agosto 1980, grazie all’Accordo Moro, l’Italia garantiva alla Palestina “un’impunità non scritta” a patto che il nostro paese non fosse coinvolto in atti terroristici. I fedayn di ‘Arafat avevano libero accesso in Italia con il permesso di poter importare ed esportare armi, senza che le autorità intervenissero. La Palestina avrebbe supportato le richieste di petrolio da parte dell’Italia, in cambio di un appoggio alla causa palestinese in campo internazionale.
Questo patto fu violato quando i carabinieri sequestrarono, ad Ortona, nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1979, due lanciamissili SAM-7 Strela con munizioni, arrestando tre appartenenti ad Autonomia Operaia, di Roma: Baumgartner, Pifano, Nieri, insieme ad Abu Anzeh Saleh, palestinese con passaporto giordano, in Italia dagli inizi degli anni ’70. Quest’ultimo, ufficialmente nel nostro Paese in qualità di studente, in realtà era il responsabile della struttura militare clandestina del Fplp; era anche legato al contrabbandiere venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, detenuto attualmente in Francia. Il 13 novembre, i carabinieri arrestarono anche George Habbash, leader dell’Olp in Italia. Dopo questi arresti eccellenti, per coprire questa organizzazione, intervenne anche il Sid, attraverso un documento ufficiale sull’Olp per evitare un conflitto irreversibile tra Italia e Libia. Dopo l’arresto di Habbash e di Saleh, attraverso un comunicato stampa, il Fplp accusò l’Italia di non aver rispettato i patti dell’Accordo Moro e annunciò pesanti ritorsioni. Il processo contro Habbash e Saleh iniziò proprio nell’agosto del 1980, quando la De Palo e Toni giunsero a Damasco. Il giudice Armati, basandosi sugli atti processuali, negò un collegamento tra la vicenda di Ortona, l’arresto di Habbash e il caso De Palo-Toni, eppure le coincidenze ci furono a cominciare dalle menzogne del colonnello Giovannone, relativamente al fatto che Graziella fosse ancora viva. Probabilmente, il Sismi temporeggiava con il Fplp per la scarcerazione di Habbash e Saleh. Nel 1981, durante il processo contro i due esponenti del Fplp il Ministero della Giustizia italiano intervenne, affinché fosse ridotta la pena agli imputati. Il giudice Armati chiese il rinvio a giudizio del colonnello Giovannone e del generale Santovito per favoreggiamento, ma, a causa della morte di questi ultimi, l’inchiesta si concluse con un nulla di fatto (Il Tempo, il 6-02-1984, titolò: E’ morto a Firenze il generale Santovito; Franco Coppola de La Repubblica, il 6-02-1984: Santovito si porta nella tomba i misteri dei servizi anni 70; Claudio Gerino de La Repubblica titolò: Morto il Colonnello Giovannone). Nel 1986, George Habbash fu assolto in tutti i gradi di giudizio per insufficienza di prove. In primo grado, gli imputati, Baumgartner, Pifano, Nieri e Saleh non vennero condannati per possesso di armi terroristiche, ma semplicemente per la detenzione di armi. In Appello e in Cassazione gli imputati furono condannati a sette anni di reclusione. Di fatto furono prosciolti gli uomini del Sismi che, a più riprese inquinarono le prove. Abu Azen Saleh se la cavò con una condanna minima per possesso di armi (La Sera, il 15-04-1983, scrisse,: Il Sismi inventò una pista falangista per proteggere l’Olp).
A distanza di trent’anni è ancora oscura la destinazione dei due lanciamissili terra-aria.
Il giornalista Pellizzaro ha affermato che “l’anello di congiunzione tra il ritrovamento dei missili ad Ortona, l’arresto di Habbash, la strage di Bologna e la scomparsa dei due giornalisti sta negli accordi segreti tra Italia e Palestina”. E’ importante ricordare, infatti, che il quartier generale del Fplp in Italia era il capoluogo romagnolo e George Habbash doveva essere ad Ortona il giorno della consegna dei due missili SAM-7, ma probabilmente qualcosa o qualcuno lo trattenne di modo che i tre di Autonomia Operaia e Abu Anzeh Saleh fossero scoperti ed arrestati.
E’ possibile che la scomparsa di Graziella ed Italo sia stata una ritorsione per la cattura di Habbash e Saleh e che, in seguito, si sia tentato uno scambio tra la De Palo e i due membri del Fplp? E’ possibile che il Sismi abbia imposto il silenzio dal parte delle autorità italiane sul caso De Palo-Toni per evitare di pregiudicare la scarcerazione di Habbash e Saleh?
E’ più che probabile che sia stato proprio Habbash il mandante del sequestro De Palo-Toni. Il giudice Armati accertò che i due giornalisti italiani furono prelevati all’hotel Triumph dai miliziani di Habbash, interrogati e uccisi pochi giorni o poche ore dopo. (Da L’Unità Bruno Miserendino, il 10-02-1985, titolò: “Habbash li ha fatti sequestrare”. Scomparvero a Beirut, la verità è ancora lontana; Daniela Mastrogiacomo di La Repubblica scrisse il 10-02-1985, I palestinesi di Habbash hanno ucciso Toni e De Palo).
La ragione del rapimento e dell’assassinio e le ipotesi, i depistaggi e la Verità
Graziella e Italo avevano le prove che proprio da Beirut partissero armi da destinarsi all’Italia e che questo traffico fosse diretto dal Fplp Questa ipotesi fu, in seguito, confermata da diverse procure italiane che si sono occupate del caso. Dal Libano, inoltre, partirono parte dei depistaggi sulla strage di Bologna, dei quali Graziella De Palo era a conoscenza, perché indagava sul 2 agosto 1980. Graziella ed Italo erano determinati a far luce anche su questo fatto gravissimo. Giancarlo De Palo, fratello di Graziella ricorda che, dopo la strage di Bologna, Graziella parlava della pista libanese e Giancarlo ebbe un brutto presentimento: la paura che da quel viaggio Graziella non sarebbe più tornata. Giancarlo ne parlò con Graziella, cercò di impedirle di partire, ma fu tutto inutile.
Miste ad un gran vuoto di notizie, le ipotesi, che si sono fatte nel corso di questi trent’anni sul destino dei due giornalisti italiani, hanno trovato riscontri concreti nella realtà. A cominciare dal soggiorno di Graziella ed Italo a Beirut e dalla “ragion di Stato” che, da sempre, soffoca gran parte dei fatti più gravi che hanno afflitto l’Italia negli anni della strategia della tensione. Il caso De Palo-Toni è stato, come afferma il giornalista Gian Paolo Pellizzaro, “insabbiato a più livelli e le famiglie sono state tenute in un Purgatorio, dal quale non sono riuscite ad uscire neanche dopo trent’anni”, come i familiari delle vittime di piazza Fontana (Milano, 12 dicembre 1969); Montagna Longa, (Carini, 5 maggio 1972); piazza della Loggia (Brescia, 28 maggio 1974); treno Italicus (San Benedetto Val di Sambro, Bologna, 4 agosto 1974); DC 9 ammarato nei pressi dell’aeroporto di Punta Raisi (23 dicembre 1978); strage di Ustica (27 giugno 1980); strage del Rapido 904 (galleria dell’Appennino, 23 dicembre 1984); strage di Bologna (2 agosto 1980); strage di via dei Georgofili (Firenze, 27 maggio 1993); strage di via Palestro (Milano, 27 luglio 1993); omicidio Alpi-Hrovatin (20 marzo 1994).
Ciò che è evidente oggi sono i depistaggi, gli scenari inquietanti, ambigui e mai del tutto chiariti, che hanno permesso la maturazione dell’assassinio di Graziella ed Italo. A proposito di depistaggi, il 6 ottobre 1980, arrivò all’ambasciata italiana una telefonata anonima che segnalava la presenza dei cadaveri dei due giornalisti italiani all’ospedale americano di Beirut ovest. Il 7-04-1983, Rina Goren per Il Messaggero titolò: Un giallo nel giallo la visita all’obitorio di Beirut e il 15 Aprile, sempre la Goren: Santovito conferma al giudice: “Sono stato all’obitorio di Beirut”. La notizia più confacente alla realtà, invece, arrivò in Italia il 17 ottobre1980. L’ambasciatore D’Andrea, dichiarò al Ministro degli Esteri, Giulio Andreotti, che il rapimento di Graziella e di Italo era stato opera di Al Fatah. I due giornalisti avevano scoperto qualcosa di grosso sui traffici palestinesi ed erano stati fatti sparire. A smentire con l’ennesimo depistaggio, che in seguito ammise, fu il direttore del Sismi Giuseppe Santovito, che, il 29 ottobre, su suggerimento di Giovannone, dichiarò al Parlamento che Graziella De Palo e Italo Toni erano stati sequestrati dai falangisti cristiano – maroniti. La De Palo era viva e le trattative per la sua liberazione erano iniziate. A questo proposito il giornalista Francesco Cioce, collega di Graziella a Paese Sera, titolò un suo articolo: Davanti al Giudice, Santovito ammette: “Ho mentito”; Gaetano Basilici de Il Resto del Carlino scrisse il 15-04-1983, Santovito, perché ho detto il falso.
Dopo molti anni, a confermare le parole dell’ambasciatore D’Andrea è Lya Rosa, italiana simpatizzante della causa palestinese, all’epoca dei fatti residente a Beirut. Su suggerimento dell’onorevole Marco Boato, per aiutare le famiglie De Palo e Toni, Lya Rosa si mise sulle tracce dei giornalisti scomparsi, ottenne informazioni proprio dal Fplp e dichiarò che allora c’erano delle prove, mentre oggi, a distanza di tanti anni, è impossibile rintracciarle. Lya Rosa seppe da alcuni esponenti di Al Fatah (probabilmente informati da Gargi Chaker), che Graziella ed Italo ricevettero una telefonata molto breve in albergo e che poi parlarono tra di loro sul da farsi. Saliti in camera, i due giornalisti prepararono le valigie, dicendo a Chaker che c’era una macchina che li sarebbe venuti a prendere fuori dall’hotel. I sequestratori di Italo e Graziella erano esponenti di Al Fatah. L’organizzazione aveva teso una trappola ai due giornalisti perché aveva ricevuto delle gravi accuse su Graziella ed Italo. I due giornalisti italiani erano, secondo Al Fatah, spie al soldo degli israeliani e della estrema destra italiana. Secondo Lya Rosa, Graziella ed Italo furono in un primo tempo trattati correttamente e in seguito divisi. Lya Rosa dice anche che, al primo interrogatorio, il giornalista Toni crollò, ammettendo di essere una spia. E’ chiaro che Italo fu picchiato e probabilmente torturato; si sa che, sotto tortura, chiunque dice cose anche non vere per evitare le sevizie. Lya Rosa è comunque convinta della colpevolezza di Italo Toni, il quale, viaggiando in lungo e in largo per il Libano, aveva, secondo lei, fatto chissà quali scoperte compromettenti su Al Fatah. Lya Rosa implicitamente da ragione ai palestinesi riguardo la condanna a morte inflitta ad Italo, affermando ai microfoni de La Storia siamo Noi che una spia, in tutto il mondo, viene condannata alla fucilazione. E’ da chiedersi, a questo punto, in quale mondo viva la signora Lya Rosa. Quelle della signora Rosa sono parole agghiaccianti, che a stento trovano una giustificazione valida in un paese democratico e civile.
Risulta alla Rosa che Graziella De Palo si sia comportata molto dignitosamente, durante tutta la prigionia e che i miliziani non l’abbiano torturata, l’abbiano rispettata e, addirittura l’abbiano ammirata per il coraggio dimostrato in quella drammatica circostanza. La signora De Palo ha affermato che, molte delle cose dette da Lya Rosa coincidono con ciò che ha dichiarato anche il colonnello Giovannone (Il Messaggero, il 10-07-1983: Il col. Giovannone del Sismi: “Sono stati rapiti da una frangia Olp…”). Riguardo alle dichiarazioni di Lya Rosa su Graziella, la signora De Palo affermò che si trattava di favole e che molto più probabilmente sua figlia era stata giustiziata come Italo, perché considerata da Al Fatah una spia e una scomoda testimone.
L’opinione che Lya Rosa e l’Olp avevano sul conto di Italo uccise il giornalista più del colpo alla nuca infertogli. L’accusa che il giornalista fosse una spia israeliana e della estrema destra italiana costituisce per la famiglia Toni una infamia enorme perché riferita ad un uomo come Italo che difeso apertamente la causa palestinese. Su Italo Toni furono trovati dei documenti, forse creati ad arte dai nostri Servizi Segreti, che testimoniavano la presenza del giornalista italiano sul libro paga degli affari riservati dell’ex ufficio degli interni. Al Fatah, probabilmente, ricevette dal generale Santovito un’informazione errata e pensò che la richiesta di Toni e Graziella di visitare i campi palestinesi nel sud del Libano avesse come intento lo spionaggio. L’emiro Faruk Abillamah insistette sempre nel dire che i due giornalisti italiani furono attirati in una trappola, ordita ancor prima della loro partenza da Roma.
Alvaro Rossi, cugino di Italo Toni, dichiarò che tale accusa era ridicola ed infondata perché il giornalista non aveva altri introiti se non dalle sue inchieste e per questo motivo aveva chiesto aiuto economico all’Olp italiano e la protezione del Fplp a Beirut. Se fosse stato in condizioni economiche più agiate non avrebbe avuto bisogno di fare simili richieste. Stessa cosa vale anche per Graziella De Palo (Il 23-06-1984, L’Unità: Giovannone rivelò le indagini di inviati del governo italiano sul traffico d’armi a Beirut?; Franco Nicotra per Il Messaggero, il 22-06-1984: Giovannone: “dovevo” passare quelle notizie all’Olp).
Queste notizie emersero dall’inchiesta del giudice Armati. La prova “regina”, secondo gli inquirenti sarebbe un appunto in cui Italo costituiva fonti informative. In un processo dove quasi si temeva di condannare Habbah e Saleh, dove furono quasi tutti gli imputati assolti per insufficienza di prove, dove le vittime diventano gli accusati, è possibile parlare di prove certe?
Il giudice Armati afferma che indubbiamente esiste una responsabilità morale nella ritardata ricostruzione della verità, che ha portato di conseguenza ad una faticosissima ricostruzione processuale. Non vi sono prove di un complotto a monte e non vi sono riscontri oggettivi sulle parole dell’emiro Abillamah. “Un giudice”, afferma il dott. Armati, “deve basarsi sulle prove processuali raccolte. Non è da escludere, però, che qualcuno abbia dato ai palestinesi una indicazione volutamente errata. Da chi non è dato saperlo”. Ma se le prove raccolte sono inquinate, com’è possibile fare Giustizia e conoscere la Verità? E’ possibile, con un sistema giudiziario ed investigativo come quello del nostro Paese, perseguire l’oggettività dei fatti? La risposta è scontata e non riguarda solamente il caso De Palo Toni. E’ sicuro, anche grazie alle testimonianze in sede processuale del generale Santovito, che il SISMI depistò ed “annacquò” le indagini di ambasciata e magistratura, con il benestare del Libano, per occultare la faccenda di Ortona e l’importante ruolo che Habbash e Saleh avevano in Italia come rappresentanti del Fplp.
A distanza di trent’anni
Ciò che chiedono i parenti di questi due giornalisti è condivisibile da parte di tutti coloro che aspettano da anni la Verità sulla sorte dei propri cari, perché, in un paese democratico come il nostro, non è accettabile un tale silenzio. Non basta intitolare, alla presenza delle autorità, una strada o una piazza ad uno scomparso, lo Stato deve far valere la sua voce e reagire all’oscurantismo, alla rassegnazione e alle verità soffocate. Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha dichiarato che non è tollerabile, dopo trent’anni, bloccare verità e giustizia, le quali non sono state “rallentate” dagli eventi. e da circostanze indipendenti dalla nostra volontà, ma proprio dagli apparati dello Stato. Parole condivisibili da tutti, ma che devono trovare un riscontro concreto. Non si può, come riempitivo ad una commemorazione, gettare parole al vento, che non abbiano in seguito un riscontro con la realtà. Il caso De Palo-Toni deve essere riaperto dalla magistratura senza che organi dello Stato intralcino il lavoro dei giudici!
Anche in questo caso misterioso, i servizi segreti hanno fatto la parte del leone. Come ha, infatti, affermato Fabio De Palo, fratello di Graziella: “i servizi segreti hanno contribuito a depistare le indagini” e la madre di Graziella ha concluso la cerimonia dicendo: “Questi trent’anni sono stati una unica lunga e buia notte. Continueremo a lottare finché avremo vita”. Le famiglie dei due giornalisti hanno tutta la nostra solidarietà, ma non basta, ci vuole di più. E’ da augurarsi che il Caso De Palo-Toni non resti, come tanti altri nel nostro paese, una realtà ancora da scoprire.
Sono del parere che questa scomparsa sia la punta dell’iceberg di altri avvenimenti successi anni prima e dopo, come la strage dei giochi olimpici di Monaco del 1972 (17 atleti israeliani uccisi); la strage di Fiumicino del 17 dicembre 1973 (32 morti ed oltre 15 feriti); l’attacco all’aeroporto di Fiumicino (20 morti ed oltre 100 feriti) e a quello di Vienna (3 morti e più di 10 feriti) del 27 dicembre 1985. Probabilmente, trovando una soluzione al caso De Palo-Toni, si potrebbero trovare i veri mandanti di queste stragi. Forse si tratta di utopia o solo di “fantastoria” oppure, più verosimilmente, di stragi che non avranno mai giustizia.
Il caso De Palo/Toni in \”La storia siamo noi\” (Rai, a cura di Minoli)