ho una nuova amica a firenze.
non so ancora come si chiama ma conto di chiederglielo presto.
è salita sul diciassette col passo incerto degli anziani, si è seduta vicino a me su uno di quei sedili rialzati che solo messner sa conquistare.
la vedevo sballonzolare a ogni curva, i seggiolini sono di una plastica mefitica e liscissima, temevo per le sue gambe di porcellana, solcate da vene blu come fiumi artici indecisi sul cammino.
i capelli biondo chiari, ritti in testa come solo una vecchia signora sa portare con disinvoltura, occhiali da sole rotondi, rossetto sfacciatamente d’antan e dentiera intonata alla camicia avorio.
mi spaventava la sua fragilità, la guardavo quasi come si guarda un pezzo di cristallo poggiato per errore sul bordo del tavolino mentre i bambini giocano a rincorrersi.
arrivati alla fermata sono scesa dal mio trespolo personale e vedendo che anche lei si accingeva a scendere le ho porto il braccio.
“l’aiuto signora?”
“per carità! sono vecchia ma mi disbroglio bene!”
“mi scusi, è che io invece rischio sempre di cadere su questi autobus, mi sento sempre sulle giostre!”
ha sorriso, con quella dentiera da bellissima capretta.
“vede, è per via che gli autisti sono stressati dal traffico e dal dover rispettare l’orario, così guidano un po’ bruscamente, ma io mi arreggo bene e vado dove mi pare”.
col bastone mi ha accompagnato per un pezzettino alla fermata del bus firenze lucca.
abbiamo fatto due chiacchiere normali, la gente, il caldo, firenze, il traffico.
e poi ci siamo salutate.
“allora, giovanotta, buona serata!”
giovanotta.
mi ha chiamato giovanotta.
l’amo già.