Caro Su Barralliccu,
mi chiamo Carlo Infelici e ho 46 anni. Gli amici mi chiamano Carletto, anche se amici, almeno qui a Cagliari, non ne ho più. Si sa come vanno queste cose. Non lasci il nespolo senza pagare qualcosa indietro. Ma adesso sono tornato e voglio restare. Sono tornato per aprire un ristorante, devo solo trovare la locazione. Ho già in mente il nome: “Romeo senza Giulietta”.
Vi piace? L’ho scelto perché quando ho lasciato la Sardegna avevo una fidanzata che si chiamava Giulia. Ho lasciato pure lei. L’ultima volta che l’ho vista era una figurina smoccolante sulla banchina del porto di via Roma. Ora se la passa bene. S’è pigliata un dottore della mutua e ha due marmocchi. Certo meglio di un cameriere, sarete d’accordo. Ma non sono sicuro del nome. Lo cambio spesso. Comunque “Romeo senza Giulietta” mi pare buono. Voi che dite? Secondo me non è male. C’é l’ho già in mente, il ristorante. Tutto qui, nella zucca. Eh, perché esperienza ne ho fatta, in vent’anni.
Ho girato tutto il mondo, da cameriere.
Tutta l’Europa, le Americhe, l’Asia, l’Australia e pure l’Africa. Ho visto migliaia di mani diverse preparare e servire i piatti, migliaia di fauci diverse ingozzarsi e chiedere il conto. Ne ho da raccontare. Infatti poi vi racconto.
Ma adesso sono tornato e voglio aprire “Romeo senza Giulietta” a Cagliari. Dite che è troppo banale, il nome? Mah, poi ci pensiamo.
Comunque caro Blog le scrivo perché sono cameriere ma ho visto il mondo e le genti. E poi prima di partire volevo fare lo scrittore ed il giornalista. Insomma, sono tornato per aprire il mio ristorante, che soldi ne ho messi da parte, in vent’anni, ma mi piacerebbe anche scrivere. Scrivo bene, sa. Pure poesie. Un cuoco del Marriot di New York, una volta, si chiamava Pasquale, era di Napoli, s’offerse pure di pubblicarmele, le poesie. La più bella era intitolata “La solitudine della carbonara fredda”. Ma questa è un’altra storia.
Comunque le scrivo perché ho scoperto per caso su Barralliccu e mi piacerebbe collaborare con voi. Scrivo bene, sapete. E poi, mi perdonerete. Ma c’è un bel buco fra gli argomenti da voi trattati: Cagliari. Magari a voi sfugge, non che voglia essere presuntuoso, ma in questa città si sta forse verificando un fenomeno importante, ed a me piacerebbe seguirlo da vicino. Anche perché voglio capire se è davvero il caso di aprire il ristorante oppure no. Mi fido mica. Ne ho visto ristoranti mangiati dalle città andate a puttane, in vent’anni. Provai di già, una volta, alle Barbados. Poi arrivò un pappone d’amministratore ed i suoi guappi mi fecero chiudere baracca. Poi vi dico. Ma Torniamo a Cagliari.
Come sapete qualcosa è cambiato. A maggio Massimo Zedda ha vinto le elezioni in barba alla destra di Fantola. Uno scontro epico, sia nei contenuti schiettamente politici che nell’immaginifico sottosuolo psicologico della città. Si, perché il vecchio barbogio impigliato nei meccanismi della politica dei baroni è stato sconfitto da uno sbarbatello che si propone come la concrezione politica della volontà di cambiamento dell’Italia intera.
Sì, proprio così. Magari non ve lo dicono, ma è così. Poi parliamo della politica, per carità. Ma gli archetipi giocano sempre un ruolo, non dimenticatelo. Nella campagna elettorale si sono affrontati la tradizione e la speranza, in realtà. Io non mi fido né dell’una né dell’altra. La prima, almeno in questo Sud postborbonico, è un chiostro di signorotti che usano il costume più che il sogno. La seconda, in questo Sud pre-democratico, parte da quest’ultimo e scopre poi che è il costume a salvarti il culo, il più delle volte. Io li osservo, coi gomiti affacciato alla finestra.