Giuro che non conosco il tipo che l’ha scritta. E che se lo incontro, gli offro almeno un caffè!
di Asclepiade, da Milano.
Sciltian Gastaldi sa padroneggiare bene sia lo stile comico sia quello elegiaco: Tutta colpa di Miguel Bosè vira decisamente al comico e al satirico, anche se presenta qualche intermezzo pensoso e, d’altra parte, non esibisce mai una comicità fine a sé stessa. Rampollo d’una famiglia simpaticamente malassortita, Evandro Chiericato cresce da bambino e adolescente metrosessuale nella Roma tra gli anni Settanta e Ottanta (ma il racconto si conclude nel 2000 col World Gay Pride a Roma) con un padre generale della Finanza, piemontese fino al midollo, una svampita madre cantante di pianobar, un fratello maggiore fascistone e una sorella maggiore bigottissima. In un turbine di musica, letture, cinema e cartoni animati deliziosamente vintage, ci compie l’educazione sentimentale del Nostro, che pian piano scoprirà anche le delizie del sesso e l’impegno politico.
Anche se non tutte le figure ritratte nel libro possiedono eguale icasticità – e in particolare la sorella ultracattolica diviene a lungo andare una macchietta un po’ ripetitiva: ma va detto che gli ultracattolici tendono ad essere, in effetti, macchiette parecchio ripetitive – la narrazione fresca e vivace rende il romanzo molto agile e piacevole: merito anche della scelta, da parte dell’autore, d’intromettere frequenti rimandi al lessico familiare dei Chiericato, soprattutto alle espressioni “garantito al limone” e “non fare il Carlo Alberto”, le quali spesso arrivano con un divertente effetto a sorpresa.
La comicità divagante può far dimenticare che questo è probabilmente il primo Bildungsroman italiano che abbia per protagonista un bisessuale moderno, cioè un bisessuale ch’è tale con orgoglio e autoconsapevolezza, esattamente come si può essere gay o lesbiche, condizione, dunque, del tutto diversa dalle forme storiche di bisessualità diffuse soprattutto nel mondo mediterraneo: a Sciltian Gastaldi va perciò anche riconosciuto il merito d’essere un pioniere che sa evitare i toni didascalici; e li evita perfino nei capitoletti di svagata saggistica su film o cartoni animati, nei quali la commozione è sincera, ma tenuta a freno, e gli accenti critici o descrittivi suonano sempre leggeri. In ciò, anzi, l’autore asseconda con gradevole naturalezza una certa tendenza postmoderna alla commistione dei generi (senza dubbio perché, a differenza di chi dice “Adesso scrivo un bel racconto postmoderno mischiando i generi”, a lui la cosa viene del tutto naturale), giovando anche, dato che varietas delectat, alla levità del racconto, ed evitando che, nonostante la discreta lunghezza, esso diventi monotono o ripetitivo.
Dopo tante lodi, un appunto (calandomi nella parte della sorellonza Euridice): la battuta che definisce l’immacolata concezione come fecondazione eterologa non è ad rem, perché il dogma proclamato da Pio IX nel 1854 (troncando e sopendo secoli di dispute teologiche) riguarda il concepimento di Maria senza il peccato originale, e non il concepimento di Gesù.