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Una salute partecipata per superare la dominanza medica e tecnocratica

Creato il 08 luglio 2010 da Dtosello

Una salute partecipata per superare la dominanza medica e tecnocratica

testamento.jpgCon franchezza e passione il commento di un medico di base di Bergamo all’articolo “A piccoli passi verso la sanità digitale” centra alcune questioni essenziali per il sistema salute nel nostro paese.
Capisco la rabbia e condivido le preoccupazioni del dottore e dei suoi colleghi verso la burocratizzazione del sistema, tuttavia ridurre la sanità digitale all’informatizzazione è riduttivo e fuorviante.
E’ vero, la questione della tecnologia è centrale in questa economia e società, e quindi anche nella sanità, e - forse, proprio per questo - poco discussa/messa in discussione ( purtroppo non vedo molti Ivan Illich in giro). Ho diversi dubbi sulle “le magnifiche sorti e progressive” di una società dominata dalla tecnologia, e non provo alcuna simpatia verso i tecnocrati e i tecnofili che – più o meno in buona fede - ne magnificano acriticamente solo le virtù.
Tuttavia, per quanto riguarda la sanità, se si vuole evitare di cadere dalla padella della dominanza medica alla brace di quella manageriale-tecnocratica serve davvero trovare un nuovo rapporto tra gli attori del sistema.
Da cittadino e “abitante della rete” vedo Internet come una tecnologia abilitante, una possibilità (per quanto ancora troppo ipotetica) di ridistribuzione e riequilibrio dell’informazione, della relazione e del potere, rispetto alla classe medica, alla burocrazia italiana e alla tecnocrazia globalizzata.
L’informatizzazione, come sostiene lucidamente Moruzzi, non vuol dire ancora sanità digitale ad alta comunicazione. Ne è un prerequisito necessario ma non sufficiente, sempre che venga progettata e realizzata per riorganizzare le modalità di produzione e distribuzione dei servizi sanitari e sia accompagnata da un forte cambiamento della cultura organizzativa e una massiccia opera di coinvolgimento e formazione a tutti i livelli.
Anzi, in questo periodo sto assistendo in prima persona al cambio del sistema informativo e al processo di unificazione degli applicativi e delle procedure dei nove ospedali dell’AUSL di Bologna e direi che proprio su questi ultimi aspetti si giocano la credibilità e le possibilità di successo della sanità digitale.
L’informatizzazione non porta di per sé ad una riduzione e semplificazione dei processi e una riduzione dei costi. Anzi, senza dubbio c’è il rischio che si possa trasformare in un ulteriore costo per il sistema e uno strumento che amplifica il potere della burocrazia.
Per questo c’è bisogno di una nuova alleanza tra medici e cittadini-pazienti, che rischiano entrambi di pagarne i costi più che ottenerne vantaggi. Ma va costruita su un rapporto più collaborativo e paritario come sta prefigurando in America la Society for Participatory Medicine.
Il cittadino digitale non è e non sarà mai più il paziente di una volta.

Certo, non tutti diventeranno attivisti, come e-patient Dave o lo splendido gruppo, ora associazione, di persone con la sclerosi multipla che si sono attivate (inizialmente su Facebook, guarda caso) intorno alla questione della CCSVI. Ma dall’era di Internet non si torna indietro.

Le nuove generazioni di medici e di cittadini digitali non credo condivideranno che basta “una chiavetta qualunque, di bassissimo costo, appesa al collo dell’utente, nella sua piena e volontaria disponibilità per risolvere il problema” (della sicurezza e della privacy dei dati sanitari).
Non si tratta di enfatizzare “la possibilità di accesso alla propria cartella sanitaria via internet”, ma non si può banalizzare la portata del Fascicolo Sanitario Elettronico del cittadino (FSE) sostenendo che “i Cittadini sono ovviamente in possesso della propria documentazione sanitaria” (fra l’altro, nella mia piccola cerchia di conoscenti, più d’uno ha avuto pessime esperienze di importanti cartelle cliniche “disperse”).

C’è un cambio di paradigma nella digitalizzazione, disponibilità, controllo ed eventuale scelta di condivisione dei propri dati sanitari da parte del cittadino. C’è un senso di appropriazione, partecipazione e responsabilizzazione che può creare una nuova consapevolezza rispetto alla gestione della propria salute, rispetto alla scienza medica, rispetto alla capacità dei sistemi e delle tecnologie sanitarie. O anche per questioni più semplici e quotidiane, come la diversa mobilità nella società odierna, dove è sempre più raro avere un “medico di famiglia” che ti conosce “dalla culla alla tomba”, così come riuscire a conciliare la disponibilità di servizi sanitari coi tempi sempre più stretti del lavoro, della famiglia ecc.
Personalmente ad esempio, mi sono trasferito in Emilia e frequentando il Master sull’e-Health all’Università di Bologna ho avuto da qualche settimana la possibilità di aprire il mio FSE. E’ un Fascicolo ancora vuoto al momento, d’altra parte a stento so come si chiama il “mio” medico, non avendone avuto bisogno in questi ultimi anni. Questo non vuol dire che considero il FSE sostitutivo del rapporto personale medico-paziente, anzi credo possa essere uno strumento estremamente utile ad entrambe le parti e ancora di più lo diventerà nei prossimi anni/decenni. Il cambiamento epidemiologico infatti che sta investendo le società occidentali - aumento delle cronicità, comorbidità, ecc. - comporta un diverso bisogno di cure, di monitoraggio, di supporto e assistenza.

E’ chiaro che non si possono “relegare” le persone ad internet, né espropriarle “della propria dignità e del proprio diritto ad essere ascoltati e visitati”.
Ma su questo punto sta anche ai medici fare qualche mea culpa e liberarsi di qualche coda di paglia.
Quanti temono di condividere note, diagnosi, pareri e cure con altri medici “nero su bianco”, quanti sono capaci di ammettere i limiti della propria scienza e conoscenza, quanti hanno approfondito e sanno utilizzare gli strumenti del web e della medicina 2.0, quanti sanno dire “no grazie pago io” agli spacciatori farmaceutici, quanti credono davvero nella “centralità del paziente”, quanti sono disposti ad ascoltare davvero, discutere ed educare i propri assistiti, a scendere dal proprio piedistallo, a personalizzare e umanizzare il rapporto di cura invece che cedere alle seduzioni/soluzioni del “farmaco facile”?
Certo che non si tratta di appiattire il cittadino al ruolo di mero consumatore, manipolato e manipolabile dai mass media: il problema culturale del “cazzeggio tipo facebook” è frutto di decenni di lobotomia televisiva, non certo di Internet. Anzi, proprio in questo si differenzia la Rete: almeno dà alle persone una possibilità di interazione, un’opportunità di capire ed utilizzare in modo partecipativo, responsabile e costruttivo l’energia comunicativa e relazionale delle persone in rete.
La comunicazione via internet infatti non è necessariamente spersonalizzante ma dipende dalle persone, dalle loro conoscenze e capacità (digitali e non), dall’evoluzione dei loro ruoli e da come decidono di esercitarli.
Un esempio? Quando un medico ha una profonda conoscenza personale di un “suo” cittadino-assistito digitale (e su quel “quando” ci sarebbe molto da dire e ripensare) la mail – o ancor più il suo FSE – può essere un ottimo strumento per inviargli consigli e risposte personalizzate che Google, Medpedia o altre persone in rete non sono certo in grado di offrire. In tal modo si può avere il tempo per dare risposte più ponderate e documentate (sull’interazione tra farmaci, ad esempio), si ottimizza il tempo di entrambi concentrando l’attenzione e la presenza per le questioni di salute più serie e importanti, si potrebbe monitorare e migliorare l’aderenza alle prescrizioni, ecc.
In breve, se usata adeguatamente, la sanità digitale può rafforzare la fiducia e il rapporto personale medico-cittadino.

Per concludere dunque, mi sembra importante separare i piani: un conto è lo strumento tecnologico e la questione del suo utilizzo più o meno finalizzato e concretamente in grado di servire davvero il benessere in senso ampio della persona e della società. Un altro è il piano politico-burocratico e/o l’utilizzo in senso cinicamente utilitaristico/affaristico della salute.
Mentre sul primo si tratta di sperimentare e scegliere in modo condiviso gli strumenti per una migliore sanità – più efficace prima ancora che più efficiente – sul secondo si tratta di esercitare una sana azione di controllo, pressione e cittadinanza attiva. E su questo non posso che ringraziare della testimonianza e rilanciare l’accorato allarme che il medico ha lanciato in rete.

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