I mezzi di emergenza, di soccorso e delle forze dell’ordine viaggiano preceduti dal suono della sirena e seguiti dalla sua alterazione doppleriana anche di notte, quando sulle strade non ci sono code da saltare, incroci da oltrepassare a tutta birra, pedoni e automobilisti da avvisare del passaggio e del rischio che corrono. Dopo mezzanotte infatti non c’è nulla – o poco – di tutto questo, eppure le sirene sono altrettanto spiegate. E io non capisco lo stesso, già mi addormento a fatica, vivo nel terrore del telefono che irrompa dalla porzione di casa vuota, il cosiddetto living, che sta di là oltre la zona notte, il cosiddetto sleeping, perché non c’è nulla che mi spaventi di più del rumore che fa breccia nel buio. Quando qualcuno mi racconta di aver voluto installare un sistema di allarme in casa, io penso che sia matto. Perché se suonasse alle tre del mattino potrebbe essere letale per me, sono certo che mi verrebbe un coccolone.
Così se mi raggiungono le note ad alta definizione della ambulanze mi sveglio immediatamente con il cuore in gola, penso a che sta succedendo, se stanno venendo da questa parte. Ne passa una, poi una seconda, una terza, deve essere successo qualcosa di grave, forse stanno chiamando a raccolta il quartiere. Svegliatevi! Accorrete! Ma poi si incrociano e proseguono sulla provinciale verso l’ospedale, probabilmente hanno già raccolto i feriti e i contusi. E mi lasciano qui, per fortuna, solo che ormai la sessione di riposo me la sono giocata. Così mi metto a leggere e aspetto.
Aspetto che vada in onda il rumore che fa Milano la mattina presto. Si tratta di un graduale crescendo che arriva dalla città probabilmente con un effetto valanga. Un’automobile che si accende chissà dove, magari in centro, il rumore che si propaga e raccoglie un clangore, uno sferragliamento, una frenata o un clacson. La bolla cresce e si sposta, altri scalpiccii, il boato di un camion, poi la tangenziale Nord che si sveglia, avvolge il tutto e ne aumenta il diametro, fino a quando la massa è più pesante dell’aria e come un’onda (innocua, eh) si infrange su casa mia e allora game over. Diventa insostenibile quel qualcosa là fuori che, quando ho preso sonno, non c’era. Non è più notte.
Poi lentamente il mio udito si abitua, aiutato dal fatto che altri rumori più familiari si aggiungono al bordone di fondo: uno sciacquone dai piani alti, la tapparella elettrica del vicino, e quando mi butto già dal materasso già non ci faccio più caso. Ed è incredibile perché in ufficio, durante il giorno, cerco di cogliere il rumore del pomeriggio, per esempio, ma non esiste. Solo a tarda sera, quando mi corico, le orecchie mi si ripuliscono di tutte le sciocchezze sentite in giornata, le lascio colare fuori con gli orpelli sonori che ti restano addosso come la puzza di ogni altro tipo di inquinamento.