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Una settimana di “Vergognamoci per lui” (162)

Creato il 25 gennaio 2014 da Zamax

Un giorno di gogna non fa male a nessuno. Come dicono i filosofi più in gamba, è tutta esperienza. Su GIORNALETTISMO.COM

STEFANO FASSINA 20/01/2014 Era facile prevedere che lo status di pregiudicato e l’espulsione dal parlamento non avrebbero affatto pregiudicato la leadership politica di Berlusconi a destra. Solo nel caso Silvio avesse perso la testa, ossia fosse stato il Caimano, ciò sarebbe avvenuto. La pancia della sinistra sperava in tutte e due le cose, la condanna e il palesarsi del Caimano, perché è abituata a vivere nel mito e a piegare, coi suoi potenti mezzi, la realtà al mito. Berlusconi è invece un fenomeno politico che ha una sua razionalità di fondo, sennò non avrebbe mai potuto resistere a vent’anni di bombardamenti. Provate a pensare alla destra orba del berlusconismo senza rifugiarvi nell’iperspazio dei vostri sogni, e la troverete divisa tra identitari confusi ed arrabbiati, e centristi buoni solamente per andare a rimorchio: non ne troverete una di migliore, in Italia. Di tutto questo colpevole e ormai insopportabile infantilismo avrebbe dovuto vergognarsi (un poco) Fassina, non dell’incontro di Renzi con Berlusconi, il leader politico che ha saputo trovare un baricentro alla destra italiana, cioè quello che manca disperatamente alla sinistra italiana.

NICOLA ZINGARETTI 21/01/2014 Hanno trovato una cimice in una sala riunioni della regione Lazio, nascosta nel bracciolo di una poltrona. L’apparecchio sarebbe di fattura dozzinale e non sarebbe stato in funzione. Questo farebbe pensare che non sia stato collocato lì su mandato dell’autorità giudiziaria; ma neanche che i mandanti occulti si siano affidati a degli spioni professionisti. Magari è un avvertimento. Magari è un depistaggio. Magari un depistaggio di un depistaggio. Comunque sia, è soltanto una cimice, al giorno d’oggi neanche tanto più molesta dell’insetto temuto per le formidabili emissioni puzzolenti. Capitò anche alla Polverini, e anche allora era tempo di inchieste su rifiuti e discariche. Non so più come sia andata a finire, e neanche m’interessa. Sono annoiato a morte. E’ il solito casotto italiano. Io ci dormirei su tranquillissimo, con una bella cimice sotto il letto. Ma Zingaretti trova il fatto assai inquietante. E numerose gli giungono le attestazioni di solidarietà. A dimostrazione che è la più perfetta delle routine.

FURIO COLOMBO 22/01/2014 Non fu tanto Napolitano a sbagliare nel nominarlo senatore a vita; fu Abbado a sbagliare clamorosamente accettando la nomina. Ed adesso se ne vedono le conseguenze: al grande direttore d’orchestra è toccato essere accompagnato nell’aldilà da un meschino ed invadente compagno di viaggio chiamato “senatore a vita”. L’effetto è lo stesso di certe mortificanti epigrafi di “dottori”, “ragionieri” o “commendatori” appena passati a miglior vita, cari estinti insofferenti della sola dignità di uomini che anche di fronte all’eterno sembrano rivendicare orgogliosamente il loro status di tirapiedi di quarta categoria. Per Abbado sarebbe stato molto meglio morire nell’immacolata purezza di direttore d’orchestra. E tuttavia a Furio Colombo questo sfregio non basta. Abbado, lo vuole anche “rivoluzionario”: “rivoluzionario della grande Musica”, così scrive con espressione pettoruta nel suo blog de “Il Fatto quotidiano”. Furio Colombo ha una fissazione per questa aria fritta rivoluzionario-avanguardistico-politica, ossia piccolissimo-borghese, quando si parla di musica. Quando morì Luciano Berio scrisse che il compositore italiano aveva «cambiato la musica, il rapporto della musica con tutte le forme dell’arte, con l’insegnamento e con il pubblico di tutto il mondo». A dire il vero dall’articolo non si capisce quale sia stata la rivoluzione fatta da Abbado, se non quella di rappresentare – agli occhi di tutti i Furio Colombo d’Italia – l’alta cultura italiana bistrattata nel proprio ingrato paese. «Chi ha visto il Maestro Claudio Abbado entrare nella vasta sala da concerto del Lincoln Center, a New York,» scrive Furio, «e lo ha visto salire sul podio mentre migliaia di persone si alzavano in piedi per un lunghissimo applauso, ha capito, ha saputo che ci sono due Italie.» E anche voi avete capito a questo punto, spero, che quella di Furio è l’ennesima manifestazione della solita malattia, la kulturkampf dell’Italia migliore, alla quale di Abbado e della musica non importa naturalmente un fico secco.

UMBERTO VERONESI 23/01/2014 «Non si sa perché, ma da noi a quasi tutti gli artisti, scrittori o intellettuali capita di essere ricordati, al momento della loro dipartita da questo mondo, soprattutto per loro “straordinaria passione civile”.» Così scriveva lo straordinario Zamarion appena una settimana fa, dicendo perfidamente la sua sugli omaggi resi in fotocopia sui giornali alla figura del defunto Arnoldo Foà. Paventava, il tanghero, che certe formulette potessero essere intese come compensative di un valore artistico non proprio a prova di cannone. E’ forse per dissipare questo timore che il famoso oncologo ha voluto aprire il suo saluto particolare all’amico e direttore d’orchestra Claudio con queste parole: «L’arte, la musica e la letteratura, così come la scienza e tutte le altre più elevate espressioni del pensiero umano, hanno una vocazione intrinseca all’impegno civile e Claudio Abbado è un esempio straordinario di questa verità.» Risulta allora però arduo individuare con precisione in cosa si esprimesse l’impegno civile di Bach o di Mozart, di Tchaikovsky o Stravinsky, di Ravel o Debussy, o di molte celebri bacchette, che certo ai destini della loro patria e del mondo, più o meno intrinsecamente, non furono indifferenti. Il guaio è che la natura vera del cosiddetto “impegno civile”, massimamente in Italia, non ha niente di intrinseco: è piatta ostentazione di bigottismo progressista, che di elevato ha solo il favore di cui gode da parte della nomenklatura.

BRUNO TABACCI 24/01/2014 To’, guarda guarda chi è l’ex compagno dell’immobiliarista Angiola Armellini, proprietaria di 1243 immobili a quanto pare sconosciuti al fisco: il presidente del Centro Democratico, di cui non rammentavamo più l’esistenza. “Guarda guarda” cosa voglio dire? Niente, è una scemenza. Ma penso che quel “guarda guarda” esprima bene l’impulso che ha spinto un ficcanaso de “La Stampa” ad importunare nell’Oltretomba politico il leader del Cd con le sue petulanti domande. A mio giudizio Tabacci, che a sua detta non sente la signora da sei anni, ha saputo rispondere con brio e con garbo alle insinuazioni del rompiballe. Ma si è reso protagonista di un’imperdonabile caduta di gusto quando ha detto questo: «Senta, la Armellini è una bella signora. Lo sa che ai suoi incontri partecipava tutta la bella Roma che conta? Non era una che aveva la nomea di essere una frodatrice fiscale. Non è mica la signora Ruby…». Il nesso con Ruby risulta piuttosto misterioso e si può solo spiegarlo, forse, se riferito alla «nomea» in generale e non all’evasione fiscale. La Perla del Marocco ed ex nipote di Mubarak, infatti, continua ad essere vittima di una campagna di femminicidio morale senza precedenti da parte dei filistei della società civile, e senza che nessuno abbia il coraggio di esprimerle, come sarebbe doveroso, la propria solidarietà. E’ giunto quindi il momento di gridarlo alto e forte: fermiamo la Rubyfobia! Boldrini, fatti sentire!


Filed under: Rubrica Giornalettismo Tagged: Bruno Tabacci, Furio Colombo, Nicola Zingaretti, Stefano Fassina, Umberto Veronesi

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