Rappresentazione artistica di una magnetar, con le linee di forza del suo campo magnetico (in rosso). Crediti: NASA
Pensate alla calamita più potente che riuscite a immaginare sul nostro pianeta. Ora moltiplicatela per qualche milione: avrete ottenuto la forza di una magnetar. Che è ancora un magnete, come quelli che troviamo sulla Terra; ma le lettere finali fanno molta differenza.
Prima di tutto, le magnetar si trovano nello spazio. E poi, cosa ancora più importante, hanno un campo magnetico che non conosce rivali.
Ma che cosa sono davvero le magnetar? Una prima definizione sarebbe “stelle di neutroni”. La cui emissione di raggi X e gamma è talmente forte da renderli tra gli oggetti più energetici della nostra galassia.
Un semplice cucchiaino da caffè riempito di questa materia super densa e super energetica avrebbe una massa di circa un miliardo di tonnellate. Colmatene un paio di tazze, e avrete superato il peso del Monte Everest.
Eppure se volessimo andare a fondo ad analizzare la loro storia, troveremmo molti punti interrogativi: negli ultimi 35 anni gli astronomi hanno cercato in tutti i modi di scoprire l’origine di queste stelle di neutroni supermagnetiche, senza successo.
Ora un gruppo di scienziati guidati dalla Open University britannica ha proposto un’interessante ipotesi sui processi di formazione delle magnetar. Lo ha annunciato un paio di settimane fa l’ESO, che ha supportato la ricerca, ora pubblicata sulla rivista Astronomy & Astrophysics.
I ricercatori, capitanati da Simon Clark, hanno analizzato una magnetar in particolare: 16.000 anni luce lontano da noi e un nome pieno di lettere e numeri, CXOU J164710.2-455216. Questa stella fa parte dell’ammasso aperto Westerlund 1, che appartiene alla nostra Via Lattea ed è il più massivo dell’intero Gruppo Locale di galassie.
“Se la magnetar J1647 fa parte dell’ammasso Westerlund 1, e si direbbe di sì, è molto probabilmente nata da una stella massiccia che si trovava in un sistema binario, poi distrutto dall’esplosione di supernova, che ha scagliato via la stella compagna” commenta Paolo Esposito dell’INAF-IASF Milano, astrofisico esperto di magnetar.
Quindi a quanto pare CXOU J164710.2-455216 un tempo non era sola: gli autori dello studio affermano infatti che la magnetar ha avuto origine dall’interazione di due stelle massicce, orbitanti l’una attorno all’altra. A un certo punto la più grande delle due deve aver iniziato a trasferire massa a quella più piccola. Aumentandone così anche la velocità di rotazione: un ingrediente fondamentale per la formazione dei campi magnetici nelle stelle di neutroni.
Quindi il trasferimento di massa da una stella all’altra sarebbe il passaggio cruciale per la nascita delle magnetar. Che avrebbe così due mamme: le due stelle del sistema binario iniziale.
L’ammasso Westerlund 1 (punto arancione al centro dell’immagine), nella costellazione dell’Altare. Crediti: ESO/Digitized Sky Survey 2
Tutto tornava in questa ricostruzione, tranne un piccolo dettaglio: non c’era traccia della seconda progenitrice di CXOU J164710.2-455216. Ecco che gli astronomi hanno iniziato a perlustrare altre parti dell’ammasso stellare, grazie ai potenti occhi del Very Large Telescope dell’ESO. L’identikit della ricercata era all’incirca questo: stella iperveloce schizzata via dall’esplosione di una supernova.
Sì, perché dopo il famoso trasferimento di massa l’ultimo passaggio per la formazione della magnetar sarebbe proprio l’esplosione della seconda stella – ora più massiva – in una supernova.
“Il gruppo di Clark, passando al setaccio Westerlund 1 con gli strumenti ESO/VLT, ha trovato una stella, Wd1-5, che ha tutte le carte in regola per essere la ‘sopravvissuta’” spiega Esposito. “Tra queste caratteristiche, ci sono una velocità elevata (acquisita quando la supernova l’ha lanciata via) e una composizione chimica inusuale (dovuta alle interazioni con la compagna e dall’esposizione ai suoi venti)”.
La caccia del VLT si è rivelata fruttuosa: Wd1-5 sta per Westerlund 1-5, una stella già conosciuta dagli astrofisici, e che a quanto pare corrisponde esattamente alla descrizione di ex compagna di J1647.
“È una ricerca bellissima ed è tutto plausibile” continua il ricercatore INAF. “Forse Clark e colleghi hanno davvero individuato il canale di formazione, se non di tutte le magnetar, per lo meno di quella in Westerlund 1”.
Ma secondo Esposito, ci sono ancora alcuni punti da chiarire. “Ad esempio, il meccanismo di formazione dei campi magnetici nelle magnetar (e nelle stelle di neutroni in generale) e i dettagli dell’evoluzione delle due stelle nel sistema binario” dice.
Anche l’età della magnetar resta ancora un punto di domanda: “Non ne abbiamo una stima precisa” conclude Esposito “E questo rende ancora più difficile dire con certezza se questi due oggetti, ognuno dei quali ha perso tempo fa una compagna, siano mai stati davvero una coppia”.
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo di J. S. Clark et al. “A VLT/FLAMES survey for massive binaries in Westerlund 1“, su Astronomy & Astrophysics
Fonte: Media INAF | Scritto da Giulia Bonelli