Con queste poche righe vorrei esprimere rammarico e sollecitare, mi auguro, una riflessione sinora del tutto assente sulle pagine di questa rubrica. Il rammarico deriva dall’amara constatazione di un’oggettiva difficoltà per ciò che attiene all’avvio (non alla prosecuzione: al semplice avvio) di un pubblico dibattito con quante e quanti, professandosi cattolici, rifuggono ogni occasione di discussione critica e fondata che riguardi il loro credo e la loro organizzazione ecclesiastica. La posizione che emerge, stando a ciò che posso constatare, è sostanzialmente unanime: non si discute, specie all’esterno, specie con chi, mi auguro garbatamente, muove dei rilievi a qualche aspetto puntuale della religiosità cattolica, peraltro, va da sé, motivandoli. È fuor di dubbio che tutte le argomentazioni, per loro stessa natura, sono passibili di replica: il problema è che tali repliche non affiorano ma predomina su tutto un silenzio totale e sconfortante. Spero di sbagliarmi, ma l’impressione che ne ricavo è quella della costante messa in atto di una «strategia dell’insabbiamento»: di determinate tematiche non si parla, se non con la voce unanime e monocorde dell’ossequio all’autorità che, se non elargisce il suo placet, non va mai contrariata.
Così assisto attonito all’imbavagliamento del libero pensiero che, secondo i nemmeno troppo taciti e comunque assai efficaci diktat emanati dal magistero cattolico, non deve trovare espressione sulla pubblica piazza: l’ordine impartito è quello di un allineamento assoluto ed assolutista, dal quale deve trasparire l’unico autentico valore che gli assolutismi foraggiano, la piena ed indefettibile obbedienza alla linea dettata dall’alto, che non ammette replica.
Ora, io mi ostino ancora a credere (ma, in tutta onestà, non so più per quanto ne sarò capace) che il cattolicesimo, nelle sue molteplici espressioni, non sia riducibile a questo quadro avvilente: a dovermi confortare in questo convincimento che sempre più si fa flebile speranza, però, dovrebbe essere anzitutto chi nel cattolicesimo si riconosce, onorandomi, sia pure sporadicamente, del beneficio di una replica che possegga la dignità del nome anziché l’arroganza inescusabile dell’insulto gratuito: nemmeno di fronte a quest’ultimo ho sentito levarsi, in ambito cattolico, sia pure lievi accenni di indignazione o di ferma presa di distanza.
Ragion per cui attendo (forse, una volta ancora, invano) che il dialogo con quella parte del cattolicesimo a cui mi lega una stima sincera e profonda possa finalmente prendere avvio, contemplando quali presupposti irrinunciabili la libertà d’espressione, il diritto di replica ed il mutuo rispetto degli interlocutori.
Mi pare di non chiedere troppo. Ma forse mi illudo.
Alessandro Esposito – pastore valdese a Trapani & Marsala - 30 maggio 2013