La Parrocchia dei Beati Martiri.
Con l’ausilio delle gocce di sonnifero, Ninuccia riuscì a dormire una quantità imprecisata di ore, ma improvvisamente un rumore assordante di campane la fece trasalire, facendola svegliare nel peggior modo che ricordasse negli ultimi quarant’anni. A lei, parve di aver dormito almeno una settimana e non riusciva a realizzare che giorno e che ora era. Si alzò di scatto dal letto e quasi cascò in terra buttando la coperta all’indietro, che per poco non prese fuoco nel camino e cercò disperatamente il suo Patek Philippe per guardare l’ora. Si guardò attorno: quella stanza non era la sua camera da letto a Palazzo Ercolani, quel letto scomodo non era il suo letto a baldacchino e l’orologio? Ma dove si era cacciato il suo orologio? Stropicciandosi più volte gli occhi per svegliarsi da un brutto sogno, comprese a fatica che era a Castrolibero, nella Chiesa dei Beati Martiri con un Capo Chiesa, cioè il Parroco, che odiava le donne: Don Pasquale Alessi. Si ributtò giù, sul letto, tappandosi le orecchie per il frastuono terribile delle campane, che suonavano con insistenza alle otto di mattina, invitando i fedeli alla prima Messa. Guardando fuori dalla finestra constatò con tristezza, che il panorama era triste e vuoto.“Ma dove sono capitata? In un campo di concentramento? Mi sto già pentendo di quello che ho intrapreso, voglio tornare a casa mia, da Rosina e dalle ragazze. Beniamino perdonami, ma io qua non ci resisto un minuto di più, preferisco morire ma questo scenario non lo voglio più vedere davanti ai miei occhi! Questa è la morte civile, voglio vedere Piazza Cavour quando apro gli occhi al mattino” pensò Ninuccia, “Voglio sgridare la gemelle al telefono, ridere con Rosina e con Aristide, voglio.. voglio andare subito via da qua e ora telefono ad Aristide.”Mentre cercava il cellulare nelle tasche dei jeans, si ricordò che non lo aveva più, era stato calciato via da Gaudenzio, dopo quella brutta diatriba alla stazione. La finestra della stanza dove il Capo Chiesa l’aveva fatta riposare, era composta da un vetro semplice sbilenco, non certamente doppio né blindato. Aveva una sbeccatura profonda in un angolo, facendo spifferare un gelo atroce che le entrò subito nelle narici e nelle tempie, che battevano forte come avesse dentro un martello pneumatico. Si accorse che il martello stava iniziando a forare un varco e non le riuscì possibile, fermare il primo attacco di panico, che aveva già iniziato la sua ascesa inarrestabile.Con le mani che le tremavano ed il petto che si spaccava in due, cercò un ansiolitico che Rosina aveva nascosto nel doppiofondo della valigia, prese un altro maglione da infilarsi e si accucciò, come un gattino impaurito, vicina al caminetto. Aveva un bisogno tremendo di respirare a fondo quel calore naturale, mentre contava i minuti che le occorrevano per far passare la punta più alta dell’attacco. Dai primi sintomi, capiva che sarebbe stato di media entità e sarebbe durato non più di dieci minuti circa: tre erano passati, ne rimanevano solo sette, che sarebbero comunque stati per lei e per chiunque interminabili. “Ora sto calma, mi concentro, conto da uno a sessanta, respiro dentro alle mani, alzo il petto adagio e inarco la schiena, lo so che passa; non è il primo e non sarà purtroppo l’ultimo. Non è un infarto, è solo una rottura di scatole in più e di prima mattina avrei preferito un buon caffè: ma quanto mancherà prima che il cuore inizi a calmarsi? Oramai dovrei esserci..” Queste parole dette a voce alta da Ninuccia, ben scandite l’una dall’altra, erano una delle strategie che il Professor Ugoletti, le aveva insegnato per far fronte a questi disagi della mente. Lo aveva imparato a memoria negli anni, con molta volontà e disciplina, oltre a diversi milioni di lire spesi in sedute psico analitiche, che fortunatamente avevano dato i loro frutti. Molte delle medicine che Ninuccia prendeva sin da ragazzina, prescritte dal Dottor Baroni dopo lo stupro subito, non le doveva più inghiottire.Così come non aveva più incubi notturni, che la costringevano ad urlare, era sparito anche il sonnambulismo e i vecchi medicinali come il Limbial, il Dominans, il Lexotan, e gli altri “veleni micidiali” come li chiamava lei, erano spariti per sempre. Ora con le nuove medicine stava senz’altro meglio, con gli anni aveva imparato a convivere con questi dannati attacchi di panico e, a dominare lei stessa, quelli più feroci. Questo i suoi amici, come li chiamava lei, lo sapevano bene, perciò non avevano più vita facile con Ninuccia. Occorsero altri quattro minuti, per far passare definitivamente gli ultimi residui, questo rincuorò molto Ninuccia che si alzò di scatto. Sentì che era affamata, ma notò anche che aveva sbagliato la previsione di due minuti. L’errore le dava molto fastidio, non era da lei. ”Sto invecchiando, probabilmente, lo dovrei accettare ma di fare la nonnina che lavora a maglia, non sono ancora pronta.”Alla parola nonnina si fermò di scatto, pensando al mal di stomaco e alla nausea di sua figlia Greta, le sovvenne che poteva essere incinta, ma poi scacciò subito quell’ipotesi. Sapeva bene che Greta odiava i bambini piccoli, sapeva che faceva uso di contraccettivi e sapeva che se fosse rimasta incinta, non lo avrebbe sicuramente tenuto.“La odio quando dice e pensa queste cose, ma da chi ha preso quella benedetta figlia? Io per tutta una vita ho rimpianto il mio bambino, lei se rimanesse gravida e sarebbe anche ora data l’età! non lo vorrebbe. Ma cosa le ho insegnato io? Che cosa ha capito dai miei libri e dai miei insegnamenti? Mi rifiuta come mamma e come donna, come amica, come confidente, rispetta sicuramente di più un cagnolino che le passa davanti, che la sottoscritta. Mi ha sempre detto, che ciò che vado predicando sono eresie e che con i bambini ci vorrebbero solo schiaffi e punizioni, io non la penso certamente così e via a litigare di brutto”.
“Lo so con certezza: non sono una buona madre, te l’ho sempre detto Rosina, faccio schifo come mamma, mi meraviglio di coloro che leggono le mie estrosità.” Rosina con la solita pazienza e saggezza, anche se sbuffava, era solita ripeterle”Vuoi dei complimenti oggi mia cara? Che cosa è successo in ufficio, per farti andare il morale, sotto alla tomaia delle scarpe nuove? Certo che la tua menopausa è più violenta della mia, dati i sintomi di disistima che hai, perciò vai a farti una doccia e ascolta un buon disco e non pensare a Greta. Quello che afferma, non è quello che ha nel cuore, dovresti saperlo bene, invece devo sempre essere io a ricordartelo. Tu sei una mamma eccezionale, una donna forte e volitiva con le palle che non sono solo dentro ai tuoi slip, ma anche dentro al tuo cervello! Sei la signora Quattropalle, sono stata chiara Ninni? A queste parola Ninuccia rideva sempre, la faccenda delle palle chissà perché riusciva sempre a tranquillizzarla e d’impeto correva nel primo specchio che incontrava, per verificarne la grandezza. “Ma tu le vedi Rosina? Dove sono attaccati questi attributi? Alle tempie o proprio dentro la testa? Mentre rideva abbracciava Rosina e le faceva il solletico, cosa che l” amica, non sopportava per niente. Rosa cercava di divincolarsi, dicendole”Ho da fare, Ninni, basta ti prego, non sopporto il solletico, lasciami andare via” e ridevano tutte e due ancora di più. Era veramente forte il legame tra di loro, senza Rosina al fianco Ninuccia non avrebbe fatto un passo così grande come abbandonare il paese e venire su al nord. Senza Ninuccia, Rosina si sarebbe sentita un’anima persa e sola al mondo. Giudici Rosina era una povera trovatella, presa in un orfanotrofio comunale a Cosenza. Era stata affidata ai genitori di Ninuccia, all’età di sei anni, in cambio di un contributo giornaliero. La bambina, sveglia e molto intelligente aiutava nei lavori domestici, in cambio riceveva vitto e alloggio, anche se veniva trattata come una serva, soprattutto da Angelica. Come premio per il duro e pesante lavoro che svolgeva, aveva conosciuto la figlia, Ninuccia, una bimba molto dolce e buona che non la faceva sentire inferiore a lei. Così erano diventate amiche in tenera età affezionandosi l’una all’altra in maniera profonda. Rosina conosceva Ninuccia fin nella piega più intima del suo cuore, sapeva prevederne gli stati d’animo e le leggeva nel pensiero costantemente. Per Rosina la sua amica era un libro aperto, forse anche per quella specie di dono di natura che diceva di avere.
Leggeva nelle menti delle persone e diceva che comunicava con i defunti. Che leggesse nelle menti delle persone, Ninuccia lo poteva anche credere, forse perché Rosina abbandonata e rifiutata dai genitori, era dotata di una sensibilità fuori dal comune, che aveva sviluppato con le tecniche imparate da Ninuccia in tutti gli anni passati assieme, l’una sempre al fianco dell’altra. Che conferisse con i defunti invece, era una teoria che andava fuori dagli schemi rigidi di Ninuccia, ma per farla felice, ogni tanto le chiedeva di poter parlare con suo padre Biagio. Secondo la razionalità di Ninuccia, che possedeva una mente forgiata ed inquadrata scientificamente, nessuno sulla faccia della Terra aveva un simile dono, questo era fuori discussione. La valigia oramai era asciutta e con essa tutto quello che conteneva. Prese il maglione, controllò il doppio fondo e vide che era tutto a posto, ora doveva iniziare seriamente a lavorare e a guadagnarsi il ritrovamento di suo figlio. Per prima, cosa si lavò il viso con l’acqua gelata del catino di smalto, che era appoggiato nel bagno adiacente quella specie di camera da letto. Si pettinò i capelli cortissimi con le mani e cercò per tutta la Canonica una vestaglia da lavoro, o quantomeno un grembiule scuro. Inciampò per caso contro un attaccapanni, dove ve n’era appeso uno nero e logoro, sporco ma abbastanza lungo e largo per ripararla da tutta quella sporcizia, che spostava con i piedi mentre cercava di familiarizzare con l’ambiente.
Camminava scrutando con occhio attento il susseguirsi delle stanze della Parrocchia memorizzandolo alla perfezione come un perfetto calcolatore elettronico.
Apriva le porte una ad una e poteva così rendersi conto del lavoro da svolgere, per tentare di essere accettata da don Pasquale, il Capo Chiesa. Voleva avere ben chiaro fin da subito, il numero delle stanze, la propria collocazione, l’arredamento che le componeva, ma soprattutto voleva sapere dove era l’archivio storico della Parrocchia. Le troppe medicine ingurgitate, alle volte le facevano perdere un poco di memoria, si ripromise di farsi mandare in un qualche modo da Rosina quel vecchio medicinale con il fosforo che prendeva quando stava per laurearsi, chiamato Acutil.
Quella era comunque la sua vecchia Parrocchia, ora ne era certa, la Parrocchia di Santa Liberata in Campo. Dubbi non ne aveva più, anche se l’ordine e la disposizione delle stanze le era sconosciuto e non riusciva a capacitarsi del motivo. Di Don Pasquale nemmeno l’ombra: ma dove poteva essersi cacciato a quell’ora? Rumori non ne udiva, guardò in ogni stanza e anche in quella che doveva essere la sua camera da letto. “Sembra il giaciglio di un animale o meglio di un condannato a morte”, osservando il letto in condizioni pietose, con le lenzuola sporche e lacere. Ninuccia, emise un urlo di terrore, mentre un grosso topo le camminava sui piedi, mostrandole in segno di sfida una dentatura bianchissima. “Anche i ratti per la miseria! Ma come si fa a vivere in simili condizioni igieniche?
Mi aspetto di prendere una leptospirosi in brevissimo tempo, se non inizio subito con acido muriatico e candeggina a disinfettare dappertutto! Ci sarà parecchio lavoro da svolgere e diversi oggetti rotti da buttare, sempre ammesso che il Capo Chiesa, me lo conceda. Con tutto quello che vedo e gli olezzi che sento, mi occorreranno almeno un paio di mesi per risanare e pulire questa topaia.!”Ninuccia mise in funzione i centri nervosi del suo cervello, si auspicava che nei giorni futuri, qualcosa sul suo passato e di conseguenza su Beniamino potesse emergere, per poterla così aiutare nelle indagini. “Certo, che se qua ci fossero Rosina, Mimma, Nella, Anita, Margherita, Aristide e Laerte, faremmo molto, molto prima, anzi saremmo proprio una bella squadra di pulizie per case e Chiese! Premiata Ditta Ercolani & C.” diceva a voce alta Ninuccia. Sorrideva tra sé e sé, ma con la mente già pensava alle pulizie e all’esatta sequenza dello svolgimento lavori.
Per non dimenticare nemmeno un passaggio, si era riproposta di annotare tutto su di un registro, o almeno un brogliaccio, se solo ne avesse trovato uno. “Così il pretone non avrà nulla da eccepire e gli farò vedere io, di che pasta sono fatta! A proposito di pasta, ho molta fame e vorrei mettere qualcosa sotto ai denti ,non pretendo certo di mangiare le mie brioches con i frutti di bosco ma un pezzo di..che ne so, formaggio e pane?
Boh, ora mi dirigo in cucina e vedo se trovo qualcosa da mettere sotto i denti”.Non fece in tempo a fare un passo, che una figura nera paurosamente alta e con gli occhi a fessura le si piazzò davanti, sbarrandole il passo, con braccia conserte e clergyman sbottonato.
“Dove crede di andare lei, signora o signorina, anzi credo che noi due non ci siamo ancora presentati, dato il suo pseudo svenimento di ieri! Io sono Monsignor Pasquale Alessi, don Ale per i parrocchiani e lei?”disse squadrandola da capo a piedi dal suo metro e ottanta tre di altezza. Gli cadde l’occhio sul grembiule nero e lungo fino ai piedi che ricopriva quel metro e sessantacinque circa di persona.E aggiunse”Vedo che si è già servita da sola degli indumenti da lavoro, che peraltro io non le ho ancora assegnato, pertanto lei non è ancora alle mie dipendenze. Sono stato abbastanza chiaro?”. “Mi scusi Don Pasquale, io mi chiamo Scalzi, Dora Scalzi e mi vergogno anche per l’inconveniente occorsomi ieri, ma il viaggio che ho dovuto affrontare per arrivare fin quaggiù è stato, a dir poco tragico ed interminabile. Aggiungo che non sono per nulla intimorita, né dalla sua stazza e nemmeno dalla sua lunga veste nera, stropicciata e bisognosa di lavaggio, che solo lei indossa ancora al giorno d’oggi. Le preciso inoltre, che per il semplice fatto di essere una donna, lei non ha il diritto di trattarmi come un essere alieno, anzi le dirò di più: sono io che non accetto il posto di lavoro!” Cosi dicendo Ninuccia fece per slacciarsi il grembiule, ma una mano che sembrava un badile da muratore la fermò e abbassando di due toni la voce le chiese”Vorrei tanto sapere se anche lei che è donna, a quest’ora del mattino ha fame e fa colazione, di solito!”
Cercò di dirglielo in modo quasi umano, sperando che lei non se ne andasse e con la mano le indicò la strada per raggiungere la cucina. Mentre si riallacciava il grembiule e si metteva una mano nei capelli, in segno di lieve nervosismo, si avviarono tutti e due con passi decisi verso la cucina. Dovettero attraversare diversi antri bui e corridoi con i pavimenti rotti, cigolanti e fetore ovunque di scarpe putride, che erano accatastate in ogni centimetro quadrato di pavimento. Scarpe di ogni misura e colore usate naturalmente, scarpe rotte senza lacci, sempre e solo scarpe, anche in questo momento della sua vita le scarpe e Don Raffaele Quadri, stavano prendendo il sopravvento. Si fece coraggio e pensò a Rosina e a quel brutto infortunio causato dalla figlia e per un momento dimenticò le scarpe. Non era più una ragazza e non poteva permettersi il lusso che tutto ritornasse sempre a galla, lei era lì per uno scopo ben preciso, non voleva rovinare tutto con quei ricordi maledetti che non l’avevano mai abbandonata. “Ci vuole ben altro a spaventare Ercolani Ninuccia vedova Sangalli, divorziata Fornasetti, cioè volevo dire la vedova Scalzi Dora.” Questo era il pensiero base che d’ora in poi Ninuccia avrebbe tenuto a mente, nel cuore e e in ogni vena che le pulsava nel corpo, se solo un ricordo triste le fosse riaffiorato, questa sarebbe stata la sua parola d’ordine.”Ed il pensiero volò subito a Gaudenzio, alle sue mani, alla sua barba ed ai suoi capelli selvaggi. In questo momento avrebbe avuto voglia di accarezzarglieli con le labbra, fantasticava sulle mani di lui che la stringevano forte, invece si allacciò ben stretto il grembiule. “Avrei bisogno di togliere la polvere anche dal mio cuore e dal mio corpo, ma ora non c’è tempo per queste smancerie, Ninuccia d’ora in poi lavorerai e pregherai. Punto e chiuso.” Una volta entrata in quella, che un tempo doveva essere la cucina, Ninuccia vide il lavello colmo di piatti sporchi, bicchieri unti, posate incrostate e residui di cibo avariato,che diffondevano un odore acre per la stanza.
Si guardò attorno roteando gli occhi come trottole e per poco non vomitò sul tavolo. Don Alessi comprese subito la situazione e prontamente, le mise una sedia mezza rotta sotto al sedere.Poi, con il solito tono da generale le disse:”Che cosa mangia lei Dora, di solito, per colazione? Io penso che mi farò quattro uova al tegamino, con un paio di fette di pane al burro: dopo la prima Messa del mattino è quello che mi ci vuole! Sa, ogni mattina vedendo la Chiesa riempita solo da quelle dieci anime femminili in pena, mi rattristo a tal punto che mi viene molto appetito e mangerei il campanile intero!” Udendo queste parole simpatiche, Ninuccia ritornò in sé, le scomparve l’impeto della nausea e le si formò subito una voragine nello stomaco.“Le uova andranno bene anche per me e anche il pane con il burro è di mio gradimento, ora che ci penso è una colazione perfetta, don Pasquale.” “Senta” disse, fingendosi ancora burbero,”Le cucina lei queste uova e mi fa sentire come se la cava come cuoca, o deve essere il datore di lavoro a cucinare?” Così dicendo, le fece capire che il posto sarebbe stato suo e che nel bene o nel male, l’avrebbe sopportata per un bel po’ di tempo. Era sicuro che lei da parte sua, avrebbe fatto l’impossibile per farsi accettare,così come era sicuro che voleva quell’incarico per un motivo ben preciso, ancora a lui sconosciuto.
Durante la perlustrazione della Parrocchia, non era ancora riuscita ad intravedere una porta o una stanza, che potesse vagamente somigliare all’archivio, che il povero Don Gaudenzio teneva chiuso a chiave, in ordine perfetto quando lei era piccolina. Nei registri enormi e difficili da gestire, venivano annotate le nascite con orario e luogo, le morti, le nozze celebrate, le Prime Comunioni e le Sante Cresime.Se fosse stato necessario, avrebbe usato anche altre armi in suo possesso, armi alle quali Don Alessi, in quanto uomo, non sarebbe di certo stato insensibile. Questo pensiero però le faceva ribrezzo, quelle armi naturali così morbide e formose che sapeva di possedere ancora, le avrebbe tenute come ultima risorsa. Le uova furono prese dal ripiano superiore di un vecchio frigorifero Rex arrugginito che perdeva acqua. Ninuccia cercò di cucinarle nel modo migliore che Rosina le aveva insegnato. Furono divorate dal Capo Chiesa con avidità e foga strabilianti: sembrava un reduce di guerra a digiuno da diversi mesi, lei entusiasta per l’esito delle uova, decise di bere anche un bicchiere di vino rosso, nascosto sotto al lavandino.“Se vuole farmi compagnia, non faccia complimenti, l’inverno qua è ancora molto lungo, termosifoni non si aspetti di trovarne, quindi ci riscalderemo come meglio potremo; vuole favorire Dora Scalzi?”Al solo pensiero di bere quel vino, avviato da chissà quanti giorni, Ninuccia si risentì di nuovo male, ma poi ripensò a Beniamino e si fece forza.”Certo, lo berrò molto volentieri e brinderò con lei alla nostra nuova collaborazione”. Fecero un brindisi, con quel vino al sapore di aceto, terminarono con molta calma la colazione, ridendo del più e del meno sembrando quasi due vecchi amici.Sul tavolo comparve all’improvviso una nuova bottiglia di vino rosso, tenuta fuori dalla finestra. Don Pasquale, la stappò con galanteria, ringalluzzito dall’ottima e sostanziosa prima colazione. Egli stava dimostrandole una vena di conquistatore che credeva ancora di avere, benché l’aspetto fosse trasandato, l’età avesse il suo peso e la sua persona non emanasse un buon profumo di pulito.“Ho annotato tutto il mio ipotetico programma di lavoro, su questo foglietto che avevo in valigia, se lo desidera glielo trascrivo su di un registro o un’agenda, in modo dettagliato. Ho scritto con cura tutto ciò che a me pare indispensabile per risanare la Canonica e la Sagrestia, i tipi di lavoro che vorrei svolgere e le modalità di esecuzione. Ho stimato che per eseguire i lavori a regola d’arte, ci impiegherò circa dai quattro ai sei mesi, se per lei non è troppo, soprattutto se sarò sola nell’esecuzione dei lavori.” “E chi vuole che venga ad aiutarla, scusi Dora? Una squadra di operai? Si reputi molto fortunata se potrò permettermi di assumerla, previo un periodo di prova di almeno due settimane, dove lei dovrà, diciamo dare il massimo, in tutti i sensi”. E la guardò all’altezza dei seni perfettamente rotondi, che nemmeno il grembiule nero riusciva a nascondere. Ninuccia si sentì avvampare per gli occhi acquosi del Parroco, ma ancora ardenti di desiderio sessuale. Lanciando un’occhiata alla figura di quest’ uomo con la veste nera, credette di intravedere una specie di importante gonfiore all’altezza del pene. “Accidenti ma all’uomo non dovrebbe arrivare l’andropausa? Il loro pene non se ne va in pensione, almeno dopo gli ottanta?” Tolse immediatamente lo sguardo, per non destare in lui false aspettative, si diresse con rapidità verso il lavatoio in pietra grezza ed iniziò a lavare i piatti. Poi pensò che data l’età di don Pasquale era una possibilità abbastanza remota e si disse anche, che quell’erezione era frutto della sua immaginazione e di ciò che le aveva inculcato sua madre Angelica.“Mi sono spiegato?” disse il prete prendendola per un braccio e tentando di slacciarle il grembiule, le ribadì: ”Saremo soli cara Dora, non ci saranno subalterni ad aiutarla. Lei ed io, immersi in quest’angolo di campagna, lontano dal paese, dove la primavera è ben lungi dall’arrivare, perciò, temo che volenti o nolenti ci dovremo sopportare a vicenda. Se intende accettare l’incarico naturalmente. La donna sentiva un brivido correrle lungo il collo, che le arrivava fino in fondo alla schiena, un brivido di allerta che ben conosceva.Si chiedeva come mai un Parroco di campagna, giunto oltre gli ottanta, avesse ancora delle velleità sessuali e nel contempo si domandava da dove gli potesse arrivare quell’odio ancestrale e dichiarato per le donne.
La cosa che più la stupiva era come facesse a desiderarle, nonostante la rabbia inconcepibile che nutriva nei confronti del genere femminile. Senza dimenticare un particolare non trascurabile: egli, in giovine età aveva fatto promessa di castità a nostro Signore, per poter prendere i voti ecclesiastici.
“Le verbalizzerò anche il tempo stimato, che mi occorrerà per ridare dignità alla Casa del Signore, le scriverò gli attrezzi che mi servono e quant’altro necessiti per il risanamento totale della Parrocchia”.
Ninuccia pronunciò queste parole come fosse in Consiglio d’Amministrazione o all’interno di una delle sue banche e avesse di fronte i suoi più agguerriti nemici, quelli che le davano sempre e comunque filo da torcere. Filo di una matassa che la dottoressa Ercolani sapeva sempre come dipanare, riavvolgendolo poi ordinatamente in forma di gomitolo. Pronunciò il suo discorso in piedi, diritta come un fuso, con spalle tese e mascella serrata, le mani e le braccia erano intrecciate, gli occhi lanciavano saette a tutta quella polvere maleodorante. Sembrava un soldato sull’attenti, ed i capelli cortissimi le conferivano un’aria ancora più mascolina e severa, facendo sparire del tutto le sue appetitose rotondità.
Non aveva paura di Don Alessi, ora non più, il brivido era scomparso e al suo posto fece il suo ingresso, quella grinta che le era consona, per raggiungere i suoi obiettivi. Per sua fortuna la determinazione che aveva in corpo, era accompagnata dalla voce rauca del corvo, spuntata in quel momento, forse a causa di tutto quel gelo che aveva dovuto inghiottire. Di questo cambiamento nel tono di voce e della fermezza che Ninuccia dimostrava di avere, se n’era accorto anche Don Pasquale, che di colpo, cambiò atteggiamento. Ritornò burbero ed antipatico, posò il bicchiere del vino ancora a metà e guardò Dora in modo attento, spalancando gli occhi ad ogni sua richiesta.“Non vuol sapere perché mi trovo qua a Castrolibero, in questa giornata gelida di gennaio,dentro ad una Parrocchia devastata dai topi e dalla puzza di muffa? Non vuole conoscere che cosa vorrei in cambio, a parte vitto ed alloggio?”. Don Alessio la risquadrò da capo a piedi e lei si sentiva nuda di fronte a quell’uomo all’apparenza burbero e maleducato, ma con occhi alquanto intelligenti e indagatori.
“Già, perché c’è sempre qualcosa da dare in cambio in questa vita terrena, non è vero?” Disse con aria serafica Don Alessi.