di Matteo De Simone
BUDAPEST – Dal nostro corrispondente. Molti lo hanno definito un “processo farsa”, accostandolo a quelli degli anni dello stalinismo o, con metafore più recenti, a quelli che hanno visto Mikhail Khodorkovsky condannato a 13 anni in Russia e Yulia Tymoshenko tuttora in arresto in Ucraina. Tuttavia, il processo che vede imputato l’ex primo ministro per abuso d’ufficio si tiene in un paese membro dell’Unione europea, l’Ungheria. Ferenc Gyurcsány, presidente del consiglio e leader del partito socialista dal 2004 al 2009, tuttora esponente di spicco dell’opposizione, è accusato di aver approfittato della propria influenza politica durante il suo mandato per favorire, a danni dello Stato, un investimento straniero che, però, non firmò mai e che nemmeno venne realizzato. Il 12 settembre la maggioranza di destra ha deciso di sollevare l’immunità e ora il leader socialista rischia il carcere.
Il caso risale al 2008, quando un gruppo di investitori americani, israeliani, tedeschi e ungheresi proposero un ingente investimento per la costruzione di un enorme complesso turistico dall’altisonante nome di “King City”, da realizzarsi a Sukoró presso il lago di Velence (a sud-ovest di Budapest) comprendente hotel, ristoranti, un grande casinò, un campo da golf e un parco acquatico. Il progetto, fortemente sostenuto dall’allora governo socialista di Gyurcsány, doveva realizzarsi su un terreno demaniale di 70 ettari, che fu concesso a uno degli investitori, l’israelo-ungherese Joán Blum, in cambio di un frutteto di 183 ettari nella provincia di Pest. Nell’agosto 2009 la compagnia KC Bidding (unica offerente) si aggiudicò la ventennale concessione per il casinò, qualcosa come 100 tavoli da gioco e 1,500 slot machines, ma nel frattempo molto era cambiato: Gyurcsány si era dimesso dalla carica di primo ministro ad aprile, mentre a luglio l’ufficio demaniale della provincia di Pest decise di rifiutare “per motivi tecnici” lo scambio di terreni su cui si basava la costruzione del complesso. Il progetto affondò, ma questo è solo l’inizio della vicenda politica che ne seguì.
András Schiffer, leader del partito verde-liberale “La politica può essere diversa” (LMP) e contrario al progetto, intraprese un’azione legale contro Gyurcsány per abuso d’autorità nell’ambito del progetto. L’accusa era quella di non aver rispettato gli obblighi informativi verso il pubblico, ma l’occasione era troppo ghiotta perché “Fidesz”, il partito neoconservatore di Viktor Orbán, non ne approfittasse. Orbán odia Gyurcsány, tanto da dire di preferirlo “piuttosto morto che ferito” e che l’avrebbe eliminato, non appena ne avrebbe avuto l’opportunità. Ora, stravinte le elezioni del 2010 con uno strabiliante consenso dei 2/3, riscritta la costituzione, la legge sui media e nominato pubblico ministero Péter Polt, un ex membro del proprio partito, l’opportunità è finalmente arrivata per Orbán.
Ferenc Gyurcsány è accusato di aver agito indebitamente a danno alle finanze pubbliche, in quanto lo scambio di terreni con l’investitore Blum sarebbe stato svantaggioso per lo Stato, provocando (secondo le stime della pubblica accusa) una perdita di 4,8 milioni di euro. Poco importa che l’oggetto del contendere non ci sia più, perché il progetto non è mai stato realizzato, e che stime indipendenti abbiano valutato lo scambio equo.
Come era prevedibile, il pm Polt, che secondo l’opposizione risponde agli ordini di Orbán, ha chiesto al parlamento di sollevare l’immunità parlamentare di Gyurcsány. Il risultato della votazione di lunedì, in un parlamento dominato dalla schiacciante maggioranza di Fidesz, era scontato: l’ex primo ministro dovrà affrontare le accuse in aula, per le quali, secondo il codice penale ungherese, rischia fino a tre anni di carcere. Con 306 voti a favore e con il solo voto contrario dei 52 deputati socialisti (Gyurcsány si è astenuto), il parlamento ungherese ha deciso, in maniera netta e compatta, di avvallare un procedimento largamente discutibile, che più che a punire per uno specifico illecito, pare volto a cercare un capro espiatorio da gettare in pasto all’opinione pubblica inquietata dall’allarmante situazione economica in cui si trova l’economia ungherese.
Durissime le accuse di Gyurcsány contro il governo nel suo discorso prima del voto: «Da accusato mi trasformerò in accusatore del regime autocratico che sta devastando la repubblica» ha detto con tono solenne, ergendosi a difensore della patria. «Non avete ricevuto una maggioranza temporanea per agire contro tutto ciò che la voglia di libertà ha conquistato negli ultimi vent’anni.»