Un lunghissimo e articolato articolo del Sole24Ore, il quotidiano di economia di proprietà della confindustria, ha ieri fatto il punto sulla debacle borsistica del titolo di Unicredit, la oggi seconda banca italiana per capitalizzazione, essendo stata superata da Intesa San Paolo, ma unica impresa italiana a far parte della lista delle 50 più importanti e influenti del mondo, oltre che essere stata indicata tra le 29 banche "troppo grandi per fallire" dal Financial Stability Board durante l'ultimo vertice del G 20 a Cannes.
L'articolo, riportato per intero dal sito "Dagospia", fa le pulci alle decisioni prese dall'attuale Amministratore delegato dell'istituto di credito Federico Ghizzoni, spiegando analiticamente il perché ha dovuto ricorrere all'aumento di capitale in corso (spiegazioni tecniche che al comune lettore diranno poco) e che hanno provocato le vendite dei giorni scorsi, con il dimezzamento del valore di capitalizzazione della banca, criticando pure l'atteggiamento del massimo dirigente perché in precedenza aveva negato la necessità di dover procedere a una simile operazione.
Un'analisi e dei calcoli tutti incentrati sul presente, come se i problemi della banca milanese, o ex milanese dal momento che dopo la fusione con la Banca di Roma l'istituto ha perso la sua fisionomia meneghina per assumere quella del player internazionale, con le acquisizioni di banche straniere, soprattutto in Germania e nell'est Euro-Asiatico, fossero nati oggi, sotto la guida del dottor Ghizzoni. Addirittura nell'articolo si afferma che Unicredit avrebbe anticipato gli altri istituti, tutti destinati a effettuare a loro volta delle ricapitalizzazioni, per ricostruire un patrimonio che li metta al riparo dalla crisi.
Per qualche oscura ragione l'articolista confindustriale dimentica che in realtà Unicredit ha si anticipato le altre banche nelle operazioni di ricapitalizzazione, ma non certo oggi, dal momento che il primo aumento di capitale, per 3 miliardi di euro,effettuato dall'istituto di Piazza Cordusio, fu deciso il 5 Ottobre del 2008, una Domenica e dopo che solo un paio di giorni prima l'allora A.D. Alessandro Profumo si fece intervistare dal telegiornale della Rai per negare il bisogno di operazioni straordinarie della sua banca, tanto per evidenziare un altro comportamento non propriamente lineare.
Ma quell'aumento non bastò, perché un secondo fu effettuato il 29 Settembre 2009, stavolta per 4 miliardi di euro.
Quello proposto da Ghizzoni è dunque il terzo della serie e probabilmente nemmeno l'ultimo, a giudicare di come stanno andando le cose.
Eppure il giornale economico più autorevole d'Europa, almeno così una volta si autodefiniva, è riuscito in tutto l'articolo a non nominare nemmeno una volta il nome del dottor Profumo, come se mai avesse avuto a che fare con l'istituto di credito dal quale fu costretto a dimettersi (ufficialmente per l'entrata dei soci libici nella compagine azionaria) e lasciare la banca con una buonuscita di 40 milioni di euro.
Nemmeno un accenno neanche a quelle che sono le cause dello stato patrimoniale dell'istituto, ovvero alle acquisizioni fatte a prezzi esorbitanti nei paesi dell'est europeo e dell'Asia centrale, che ha costretto in seguito la banca a ingenti svalutazioni delle proprio patrimonio.
Il risultato dell'espansione estera di "Alessandro il Grande" è stato quello di vedere un valore patrimoniale valutato dopo la fusione con la Banca di Roma di 100 miliardi di euro a circa 7 miliardi di capitalizzazione in borsa, ma evidentemente non si può dire, per qualche ragione oscura: non sarà che il futuro ci riserverà il ritorno del dottor Profumo in altre vesti, magari di ennesimo salvatore della Patria per conto terzi?