Ammonta a 515 Euro l’anno il valore degli alimenti “secchi” scaduti che le famiglie italiane, mediamente, gettano nei rifiuti; 89 milioni le tonnellate di cibo scaduto che, secondo le stime, vengono buttate dai cittadini di tutta Europa. Uno spreco per l’Unione Europea, che ha inserito nell’ordine del giorno la problematica dello spreco di cibo, una questione etica che assume più importanza sia in relazione della crisi economica, sia in relazione al fatto che in alcune zone dell’Africa e dell’Asia i prodotti che noi releghiamo alle pattumiere sarebbero vere e proprie risorse. Per questo motivo l’UE vorrebbe eliminare le date di scadenza dalle confezioni dei cibi secchi, quali ad esempio pasta, riso e formaggi a pasta dura, dei quali il consumatore può facilmente controllare lo stato. Non sarebbero coinvolti nell’eventuale normativa i cibi “umidi” (yogurt, latticini e così via), per i quali l’assenza della data di scadenza sarebbe un elemento di pericolo da non trascurare. I ministri europei dell’Agricoltura che più premono in quel senso sono quelli di Olanda e Svezia, supportati da Austria, Danimarca, Germania e Lussemburgo, mentre i restanti dei 28 Paesi che compongono l’Unione Europea sono contrari o ancora devono prendere una decisione.
Coldiretti è contro l’eliminazione della dicitura “da consumarsi preferibilmente entro”, dato che questa indica “la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Cioè indica soltanto la finestra temporale entro la quale si conservano le caratteristiche organolettiche e gustative, o nutrizionali, di un alimento, senza con questo comportare rischi per la salute in caso di superamento seppur limitato della stessa. Si sottolinea però che tanto più ci si allontana dalla data di superamento del TMC, tanto più vengono a mancare i requisiti di qualità del prodotto, quale il sapore, odore, fragranza, ecc. Differisce quindi dalla data di scadenza vera e propria (quella con la dicitura “da consumarsi entro”, ndr) che è la data entro cui il prodotto deve essere consumato ed anche il termine oltre il quale un alimento non può più essere posto in commercio”. Coldiretti dunque intende preservare la qualità dell’alimentazione, mentre sostiene che i paesi del nord Europa, quelli interessati all’introduzione della norma in questione, stiano effettuando il solito tentativo di livellare al ribasso la qualità dei cibi, utilizzando l’etica per mascherare interessi particolari, con evidente tornaconto che visto che i prodotti agroalimentari italiani e in generale dei Paesi mediterranei sono qualitativamente migliori.
A mio avviso si dovrebbe arrivare ad una sintesi di entrambe le posizioni, dato che sicuramente una questione etica c’è, perché buttare via tonnellate di alimenti ancora edibili quando ci sono centinaia di migliaia di persone in serie difficoltà economica non è giusto. Esistono già delle associazioni che raccolgono questi alimenti e dopo averli controllati li distribuiscono ai bisognosi, ma sono davvero pochissimi i cittadini a conoscenza di ciò, come come sono pochi coloro che conoscono la differenza tra le diciture “Da consumarsi preferibilmente entro” e “Da consumare entro”. Intraprendere a livello europeo un programma di educazione alimentare, magari con degli spot pubblicitari come già accaduto in differenti occasioni, sarebbe opportuno per la formazione di un consumatore consapevole, che può a quel punto ridurre gli sprechi in modo cosciente e non grazie alla semplice assenza di una scritta. Alle Nazioni e agli addetti in campo alimentare, e non solo, sembra che convenga al contrario avere degli automi come cittadini e consumatori, piuttosto che persone in grado di scegliere.