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Unione fallimentare?

Creato il 26 marzo 2014 da Lundici @lundici_it
european flag

lavrov-interview-eu-bureaucratsFra pochi mesi, il 25 maggio 2014, si terranno le elezioni europee più difficili e interessanti degli ultimi anni. Rispetto alle elezioni passate, che venivano soprattutto viste come un test per i partiti nazionali, vi sarà un confronto acceso fra le forze che vogliono proseguire sulla strada dell’unificazione e la variegata fauna degli euroscettici, compresi quelli che vogliono smantellare definitivamente l’Unione Europea e/o l’Euro.

I fatti drammatici avvenuti in seguito alla crisi economica scoppiata nel 2008, hanno infiammato il dibattito all’interno del continente, come mai nella storia europea. Prima del collasso finanziario, le critiche alla UE erano confinate all’interno di pochi ambienti accademici o singoli contestatori;  infatti durante gli anni 2000 la stragrande maggioranza degli europei nutriva un sentimento positivo nei confronti delle istituzioni comunitarie. Un sentimento che è stato incrinato pesantemente a partire dalla recessione economica che ha investito i paesi del sud-europa e l’atteggiamento di austerità imposto dai paesi nordici, Germania in testa, alle nazioni con i conti economici fuori posto.

Ma al di là delle polemiche odierne, la stessa architettura dell’Unione Europea ha sempre suscitato pesanti dubbi e polemiche sulla sua costruzione e su i suoi obiettivi di fondo, tanto da far prevedere, in tempi non sospetti, scenari assai pessimisti sul suo futuro…

euro
Dal sogno al possibile incubo. Il sogno di un’Europa unita e pacifica nasce alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dove diversi intellettuali e uomini politici come Schuman, Monnet, Spinelli, Adenauer, De Gasperi, sconvolti dalla auto-distruzione del continente, posero le basi per un nuova entità federale, sotto cui annullare le pulsioni nazionaliste e le eterne guerre fra le nazioni europee. Il perno di questo nuovo blocco fu incentrato sul motore franco-tedesco, in modo da sedare definitivamente le rivalità fra le due maggiori potenze continentali. Nonostante alcuni fossero convinti che l’unione sarebbe dovuta procedere su entrambi i binari, politico ed economico, si preferì seguire la strada indicata da Schumann e ci si concentrò sulla progressiva interconnessione delle varie economie. Questa soluzione era dettata anche dalla particolare situazione in cui versavano i paesi europei nel dopoguerra, dove a causa della guerra fredda, la sovranità era limitata dallo scontro fra i due blocchi e dalle ingerenze dell’eterno convitato di pietra, gli Stati Uniti d’America. Infatti i pochi tentativi di accelerare l’unione politica, soprattutto sul lato militare e sulla politica estera, vennero sempre stoppati, sia per gli interessi americani, sia per le faide fra i governi degli alleati.

In un certo senso, questo è il peccato originale o il primo grande errore fatto dai governanti europei. Un errore che si protrae fino ai giorni nostri, dove la UE è considerata una babele con scarso peso politico, spesso con pesanti divisioni al suo interno. Lampante in questo caso è stata la profonda spaccatura fra i paesi favorevoli all’invasione americana dell’Iraq (come Inghilterra e Spagna) e quelli contrari (Francia e Germania). Ma sono innumerevoli gli esempi nel corso della storia, per non parlare delle vicende ucraine dei giorni nostri. Il tutto si potrebbe sintetizzare con la famosa battuta presunta di Kissinger: “Chi devo chiamare, se devo parlare con l’Europa?”

Anche nella costruzione dell’unione economica, culminata nella moneta unica, sono stati commessi innumerevoli errori. Errori dettati dagli interessi/gelosie dei vari stati membri e da un’eccessiva fretta a partire dal Trattato di Masstricht nel 1992.

Il debutto della moneta unica nel 1999  è segnato, fin dall’inizio, dalla defezione di diversi paesi, fra cui l’Inghilterra e la Danimarca. E numerose critiche investono la nuova moneta europea e la sua architettura di fondo, giudicata incompleta e insoddisfacente, specialmente in caso di shock sistemici asimmetrici. Senza contare la presenza al suo interno di economie diverse e molto spesso avversarie, come nel caso di Italia e Germania. Ma nonostante gli allarmi lanciati da diversi economisti, negli anni successivi non verrà intrapresa nessuna correzione strutturale da parte degli stati membri e dai tecnocrati.

Nel 2009 la crisi partita dagli Usa, investe a piena potenza l’Unione Europea, concentrandosi nei paesi del sud Europa, fino ad

economist
arrivare quasi all’implosione della moneta unica negli anni 2011 e 2012. Il salvataggio del mercato comune viene fatto pagare alla classe media a carissimo prezzo, mentre lentamente vengono avviate e imposte riforme fondamentali, molto spesso all’oscuro dell’opinione pubblica. Nel giro di tre anni il consenso e la stima nei confronti delle istituzioni comunitarie vengono bruciate, sia per l’andamento negativo dell’economia, ma soprattutto per l’evidente pessima gestione della crisi.
Come risvegliati da un lungo torpore, molti cittadini europei in questi anni hanno scoperto che la UE “realizzata” diverge assai da quella “idealizzata” dai padri fondatori. Hanno iniziato a porsi domande su chi realmente comanda nel continente e se questa unione favorisce poche elites o i tanto decantati popoli.

Burocrazia, Tecnocrazia ed Elites. L’immensa struttura istituzionale dell’Unione Europea ha dato nel corso degli anni un potere sempre più vasto ai burocrati e tecnocrati, nominati dai singoli stati attraverso una serie di complessi meccanismi spartitori, i quali hanno conferito alla comunità europea un’aurea elitaria e sempre più distante dalle masse popolari. Molti si domandano attraverso quale sorta di legittimazione democratica un Van Rompuy, un Barroso o un Olli Rehn possono dettare ordini a popoli che non li hanno mai votati per il ruolo che ricoprono.

Se la democrazia rappresentativa presenta dei limiti evidenti nella sua applicazione reale (come dimostrato da innumerevoli autori e dalla famosa Scuola Elitista), nel caso delle istituzioni comunitarie la questione assume un aspetto ancora più estremo e inquietante. L’unico organo eletto è il Parlamento Europeo, che però a livello di potere effettivo conta molto poco rispetto alla Commissione e agli altri potentissimi organi come la Banca Centrale Europea. Organi elitari che legiferano su questioni fondamentali, spesso attraverso complicatissimi codici burocratici che rendono incomprensibile per il cittadino la conduzione del potere. Un esempio evidente è costituito dal famoso e famigerato Fiscal Compact , che pochissimi hanno compreso, tanto che su i media mainstream arrivano spesso spiegazioni errate o demagogiche.

Oltre alla presenza della tecnocrazia vi sono altri poteri decisivi e condizionanti che ridimensionano nettamente la volontà dei cittadini. Molti non sanno che l’azione dei parlamentari europei e dei burocrati è costantemente condizionata da un esercito di lobbisti, presenti in maniera permanente a Strasburgo e a Bruxelles, i quali fungono da garanti degli interessi delle multinazionali e delle elites finanziarie.

Ad un livello superiore possiamo trovare le varie cancellerie nazionali, che nonostante la retorica sulla cessione di sovranità (che vale per i paesi deboli), continuano a tutelare i loro specifici interessi a discapito dell’interesse comunitario. La cosa è diventata alquanto palese negli ultimi anni, dove il potere della Germania ha sovrastato quello degli altri paesi membri. Ed infine vi è anche l’ingerenza degli Stati Uniti d’America e dei vari potentati transnazionali (Fmi, Wto, Banca Mondiale, ecc), che da sempre esercitano una notevole influenza su i paesi europei.

I miti europei. Il dibattito sull’Unione Europea è sempre stato costellato da alcuni intoccabili “ipse dixit”, perpetrati dalle classi dirigenti e dagli europeisti convinti. Ma con un’analisi razionale e senza preconcetti, è possibile mettere in dubbio alcuni assunti di fondo:
1) Il primo grande motivo per cui viene giustificata la necessità di una unione federale, è il fatto che gli stati nazionali europei sono troppo antiquati e inadatti per sopravvivere in mezzo alle varie potenze in un mondo globalizzato (Usa, Russia, Cina, ecc). Questa tesi però si scontra con gli innumerevoli esempi di paesi al di fuori di unioni sovranazionali, che sopravvivono benissimo all’interno del mercato globale, con un’economia prospera, senza necessariamente essere una potenza globale. Basta citare paesi come la Corea del Sud, Taiwan, il Giappone, Israele, Singapore e via dicendo. Alcuni ribattono che la realtà europea è assai diversa dal resto del mondo, per via dei profondi legami culturali, politici e commerciali esistenti da millenni. Ma anche in questo caso la tesi non tiene conto di paesi come la Norvegia o la Svizzera, che senza far parte della UE, sono considerate nazioni ricche, privilegiate e dal tenore di vita abbiente.

2) Il secondo motivo usato per esaltare la futura “Europa Federale”, è l’auspicio che la fusione dei vari stati porterà un più alto tasso di democrazia e un miglioramento dei gravi problemi presenti negli stati più deboli e/o più poveri dell’Unione. Ma come abbiamo analizzato nel capitolo precedente, la realtà dei fatti sembra dimostrare il contrario. Non si tiene conto di un particolare grave e pericoloso legato alle strutture sovranazionali o alle grosse nazioni/imperi: la distanza siderale fra i governanti e i governati. Fra il centro del potere decisionale europeo e il semplice cittadino, vi sono innumerevoli livelli di separazione che finiscono per rendere scarsamente comprensibile al burocrate/leader centrale i particolari problemi di una determinata area locale, specialmente se questa è culturalmente, linguisticamente e territorialmente lontana da lui.

3) Un terzo “ipse dixit” di cui si parla è la famosa identità europea. Nonostante innumerevoli dibattiti accademici e scontri in tutte le salse, l’esaltata identità rimane un mistero. E parecchi dubbi sorgono, specialmente quando si assiste al tentativo di unire quattro grandi aree identitarie come l’europa slava, latina, anglosassone e quella mittel-europea/nordica (tralasciando le ulteriori culture minoritarie). Senza contare poi le polemiche sulle radici cristiano-giudaiche e quelle greco-romane.


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