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Unknown Italian Pleasures: Guy Littell - Later.

Da Sonofmarketing @SonOfMarketing

Dopo Pleasures of Unknown, dedichiamo un nuovo spazio alla musica Italiana emergente. Ogni settimana vi proporremo un gruppo che ha suscitato particolarmente il nostro interesse. Questo spazio sarà quasi sempre autonomamente gestito da Mara d'andria, ottima intenditrice e conoscitrice della scena musicale italiana e che potete seguire sulla sua pagina TripIND(I)Eep, colma di buona musica e novità. Buona Lettura!

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Quando anche facebook ti ricorda che hai ''raggiunto il limite massimo di pagine fan''e il buon 90% di esse sono dedicate alla musica ''emergente'' italiana, diventi ancora più consapevole della smisurata quantità di band e singoli artisti presenti nel tuo Paese (sì, proprio quello che sembra una scarpa). Ed è così che riuscire ad acquisire una sufficiente conoscenza di ciascuno di essi risulta più che complicato; difficilmente si riesce a stare al passo con i tempi, soprattutto quando l'ascolto delle novità si riduce a limitate e insonni ore notturne. E' per questo motivo che ho deciso di appuntare i nomi su di un'agenda con la promessa di riuscire ad ascoltare tutto quanto prima .

Il prescelto di questa settimana è Guy Littell, cantautore napoletano che ho conosciuto qualche mese fa tramite il passaparola tra amici musicomani; già allora era viva l'idea di recensire il suo album. Ad ogni modo meglio tardi che mai. Dopo l'ep ''The Low Light And The Kitchen'' pubblicato nel 2009 ritorna con ''Later'' lavoro autoprodotto in collaborazione con Ferdinando Farro (chitarra e voce dei Maybe I'm).


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Con un nome d'arte che riprende quello del personaggio ''Ward Littell'' dello storico romanzo americano ''American Tabloid'' di James Ellroy, il giovane cantautore si destreggia egregiamente tra linee vocali che si distendono virtuosamente fino a sfiorare idealmente la West coast. Se lo si ascolta tutto d'un fiato, infatti,ci si può subito rendere conto di avere a che fare con uno stile cantautorale che guarda con simpatia alla tradizione d'oltremanica. Un continuum di dieci brani che si incastrano perfettamente l'un l'altro dando vita ad un puzzle che non deficia di intensità emotiva e compattezza testuale. Dolcezza e malinconia regnano indisturbate in una sfera sonora in cui riecheggia tremante e a tratti struggente la vocalità di un artista dall'animo sensibile; ed è così che tra riverberi elettrici e assoli estranianti ci si ritrova tutt'uno con poesie intrise di intenso realismo. Il disco si apre con l'incantevole ''Tired of tellin''.

Tired of Tellin' by Guy Littell

E' decisamente il pezzo che non ti aspetteresti all'inizio, immerso in un doom nostalgico al contempo venato da quella buona dose di romanticismo moderno. Una dichiarazione d'intenti, un'esplicita richiesta d'aiuto, la voglia di essere capiti anche se non si ha più voglia di dire nulla. L'amore come punto di riferimento senza il quale ci si sente persi. ''Please baby, don’t go away, ‘cause I’m lost within yesterday''. Un intro sorretto da voce e chitarra che si fondono in un binomio inscindibile per poi svanire d'incanto lasciando il posto a magnifici assoli e sintetizzatori liquidi come lacrime. Con ''Within'' il percorso continua indisturbato, come se fosse del tutto normale scrivere canzoni dotate di una così carica emotiva; un brano sedotto dalla fascinazione statunitense, esemplare soprattutto per l'ondulata ritmicità delle parole e delle armonie musicali. Una terzina che si completa con la successiva ''The Nightmare came''; una ballata che ti riempie la testa di sogni e chimere. I giri di chitarra ipnotici e ossessivi conuna batteria che accorpa e densifica il già spigliato sound.

La quarta traccia ''Needed that call' arriva come un treno in corsa dal quale è difficile scendere; un brano energico ed aggressivo, con una buona introduzione alla batteria a conferirle un certo ritmo. Segue spedita ''Kill the winter'', un brano easy pop dalle melodie ammiccanti. Un soffio caldo contro il gelo invernale, ''And so breathe the fire air I make,let's kill the winter''. Un brano dall'intro movimentato grazie alla velocità e secchezza dei riff e all'agilità della batteria. Superata la metà il tono si fa più disteso e c'è spazio per melodie trasportanti ed emozionali come ''Black Water''; un brano di grande impatto che si impone sin da subito, mosso dalla perfetta sinergia tra la voce calda e pastosa e i psichedelici effetti sospinti da soffi pop, una ballata che ti arriva dritta al cuore. Guy Littell non è l'ennesimo cantautore folk e la genialità di questo giovane artista si evince soprattutto nel piazzare miscele esplosive dopo brani dai quali ci si era fatti cullare dolcemente. ''Small American Town'' e '' A gifted summer'' subentrano a scuotere ogni forma di torpore grazie alle ritmiche nervose e accelerazioni fulminanti.

Black Water by Guy Littell

Ci si prepara al finale con ''What a war'', un brano che parla dell'impotenza del corpo di sostenere l'ardore dell'anima. Una diatriba avvincente tra le due parti che si conclude con una presa di coscienza da parte dell'autore. ''What a war for my soul again/When she said “I need more time again/And I saw her walking/ On her own/And I saw her from behind/in the sunset light''. Ed è così che tra viaggi amorosi, duelli metafisici e voglia di sentirsi liberi ci si prepara ad una chiusura in grande stile . L'album termina con ''Best Thing Ever''che conferma ancora una volta la classe e la versatilità di questo artista. Perché una cosa è certa, ''Later'' suona bene dall'inizio alla fine; un viaggio introspettivo nella mente di un autore che non ha paura di nascondere propri sentimenti. C'è sì tanta voglia di dire e di fare ma soprattutto c'è un infinito amore verso la musica e credo sia proprio questo il motore pulsante di un lavoro che brilla di luce propria e che può essere annoverato tra le più belle cose del panorama a strisce verdi, bianche e rosse.
 

Mara D'andria


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