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Uno degli errori dell’esordiente

Da Marcofre

Uno dei tanti, esatto.
Credo sia abbastanza “sottile” da non essere considerato nemmeno un errore, anzi non è proprio considerato. Nasce dall’idea che una storia, sia una storia che quando viene al mondo è già pronta. C’è da sedersi alla scrivania, e pestare con diligenza i tasti della tastiera per: un’ora? Due ore al giorno?

E basta.

Non mi risulta che funzioni così, o che abbia mai funzionato. Nessuna storia (grande o piccola che sia), è già pronta. Non è nemmeno una storia ma solo un’immagine, qualcosa che se ne sta lì, ai bordi della nostra attenzione. Se decidiamo di prestarle attenzione non lo potremo mai fare perché è pronta; ma perché rappresenta un viaggio. C’è questo essere (il personaggio) che combina qualcosa o gli capita un evento. Vediamo un po’ come va.

Non è che il raggio di azione di chi scrive sia poi così ampio come si crede. Come ho già scritto in passato, uno scrittore è uno scrittore, non un dittatore. Quindi non può schiacciare, stritolare o imporre al personaggio il proprio punto di vista.

Semmai è indispensabile mettersi all’opera con fiuto e determinazione perché dispieghi il suo valore, la sua efficacia. Sembra facile?
Anche qui è solo un’illusione. Se non esiste una storia già pronta, nemmeno c’è  (che io sappia), una storia semplice da scrivere.

Qualcuno a questo punto, potrebbe domandare se esiste un libero arbitrio del personaggio, oppure l’autore non sia un “dittatore illuminato”. In fondo “Anna Karenina” parte e finisce in un certo modo, come si sa. Ma quanta parte ha l’autore nel destino della protagonista? Domanda che pretende una risposta complessa che io non so dare, mi spiace.

Però l’idea che il personaggio abbia già scritto il proprio destino e che l’autore debba “solo” renderlo chiaro ed efficace, esiste eccome. Eppure non è una spiegazione sufficiente. Deve essere evidente lo svelamento della realtà, vale a dire la dimostrazione che quella che noi chiamiamo per pigrizia “realtà”, è solo una crosta. Quando la si gratta via emerge il caso, la follia o la libertà degli esseri umani che invece di essere ragionevoli, agiscono in maniera bizzarra.

La difficoltà nello scrivere storie è (anche) quella di rendere tangibile quello che il buonsenso comune nega o nasconde. O verso il quale ha delle “spiegazioni razionali”.

Se c’è un guaio c’è una soluzione. Se qualcosa non va, niente paura, abbiamo l’esperto. Se non siamo all’altezza di un compito esiste di certo una guida. Tutto deve essere ricondotto a delle categorie molto comprensibili, rassicuranti. Naturalmente, non riesce mai questa puntuale opera di “copertura”: non può riuscire. Ma una volta che si è inoculato il germe del buonsenso, anche se soccomberà prima o poi, avrà svolto la sua funzione.

Basta camminare in centro, per esempio di sabato pomeriggio, per capire come agisca, il buonsenso. È superfluo che mi metta a descrivere quello che c’è: se chi legge ha gli occhi lo vede, lo ha visto, lo vedrà.
Se invece resterà appeso a queste frasi chiedendosi “Di che parla costui?” ci sono ottime possibilità che non sarà mai altro che uno scribacchino.


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