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Uno sguardo su Napoli di maggio

Creato il 27 maggio 2010 da Stampalternativa

Napoli, Palazzo dello Spagnolo cortile - Foto di Angelo  Casteltrione

Salendo, salendo, seguendo un sentiero, scelto forse a caso, fra i percorsi del viaggio nel Barocco Napoletano. Che a maggio con il sole dischiude porte e portoni, di palazzi e chiese, altrimenti chiusi al mondo. Maggio dei Monumenti. La tentazione e la nostalgia sono troppo forti. Salendo, salendo, dunque, lungo le strade del Rione Sanità. Dove da sempre le voci di ieri e di oggi si rincorrono fra i vicoli, rimbalzando dalla strada alle facciate dei palazzi. Celandosi e poi ricomparendo, fra la merce delle bancarelle, i colori delle gonne al vento. Fra i cespugli di verde e di fiori che come lingue di lava precipitano attraverso le inferriate dei balconi. Perché solo un soffio più in là, anzi è ancora già qui, il tempo della collina salubre di boschi e di ville e giardini. Le voci, vecchie e nuove, sono le voci del teatro di sempre. Ma oggi capita che, più forti, è possibile sentire le voci di ieri. Non c’è neanche bisogno di farci particolare attenzione…. T’inseguono loro…

Capita così che nello splendido cortile del palazzo dello Spagnuolo, qualcuno s’affacci a raccontare com’è che si fa un buon caffè… ma già! È Pasquale che tranquillamente seduto sul balcone sta chiacchierando con il dirimpettaio, raccontandogli come si può essere felici bevendo un caffè preparato con cura. Ricordate? “Sul becco ( della caffettiera napoletana] io ci metto questo “coppitello” di carta … il fumo denso del primo caffè che scorre, che è poi il più carico non si disperde. Come pur , prima di colare l’acqua, che bisogna farla bollire per tre quattro minuti, per lo meno, …nella parte interna della capsula bucherellata, bisogna cospargervi mezzo cucchiaino di polvere appena macinata, in modo che, nel momento della colata, l’acqua già si aromatizza per conto suo…”. Ah, Questi fantasmi… e il fantasma di Eduardo che su quel balcone ritorna…


E poi ancora salendo salendo, affacciandosi nell’atrio di Palazzo Sanfelice. Labirinto di scale e volute e giardini del tempo che fu. Non c’è nessuno, ma ci sono tutti, quelli che nel tempo lo abitarono. Ed è solo una malia, sicuro, quella che, annebbiandoci gli occhi, ci impedisce di vedere, oltre il grigio di mura senza intonaco e la ruggine di balaustre annerite… le sirene del portale, uscendo, le sentiamo ridere…

E poi salendo, salendo fino a Piazza della Sanità, ed entrando nell’immensa, incredibile sua chiesa. E far scendere lo sguardo e perderlo, nello spazio della catacomba su cui la chiesa fu costruita… Spazi e tempi giocano a sovrapporsi, annullarsi, e insieme esaltarsi… mentre oggi, qualcuno si sposa, e sussurra, piano, per sempre…

E salendo, salendo, ancora salendo. Per fermarsi quando il fiato è finito. Al Cimitero delle Fontanelle. E ancora non fiatare, per tutto il percorso attraverso questo immenso antico ossario. Dove, insieme ai resti di pochi noti, s’incontra un mare di teschi e ossa, di gente che un nome neppure ce l’ha. A cominciare dalle vittime delle grandi pestilenze. Finite tutte qui, messe con cura in ordine composto, un teschio sopra l’altro, ossa sopra altre ossa, a comporre, sembra, muri di bugnato. Ma non sembra ci sia tristezza, nei corridoi di questa enorme cava. Perché qualcuno, in qualche modo, ha pensato a ciascuna di queste “capuzzelle”, come le chiama la guida. Già, ci hanno pensato i vivi, ad adottare e dare un nome a molti di questi resti morti. .E in qualche modo davvero sentendo proprie e amando, queste “anime pezzentelle”, tanto povere che avevano lasciato il mondo senza che nessuno avesse potuto occuparsi di loro. Nemmeno per un fiore. Ci hanno pensato i vivi, quelli arrivati molto tempo dopo, a portare fiori e candele. A costruire intorno al caro teschio adottato, piccole urne trasparenti. Per grazia ricevuta, a volte. A volte solo per pietà, forse. O forse per avere qualcuno per cui piangere e pregare. Qualcuno, sospettano i maligni, al quale chiedere di intercedere per la propria anima, quando sarà il proprio turno. Insomma la speranza di un piccolo ponte gettato verso l’aldilà. E sembrano ancora stupirsene, le orbite spalancate di tutti questi teschi. Stupirsene e sorridere… Sinceramente, ricambiando l’affetto… ah, questi fantasmi…


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