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Uno shooting senza ritorno

Da Soniab

Un filo di rossetto sulle labbra, occhi decorati dall’eyeliner e lo sguardo da furbetta. I piedi sulla sabbia di un tardo pomeriggio d’agosto, la pelle bianca latte nuda in attesa di essere coperta dall’abito più adatto e una scarpa nera tenuta in mano.

Lei, avrebbe scelto uno dei due vestiti scuri, ma è lui ad avere l’ultima parola e quindi iniziava ad immaginarsi con la longuette nera a vita alta e il body azzurro mentre sentiva il rumore delle onde lente nel loro aggrapparsi veloce alla riva.   Poco dopo, gli scatti si susseguivano uno dopo l’altro, la voce dell’uomo la incitava a muoversi, a sorridere e a lasciarsi andare. Si muoveva con delicatezza con la sua macchina fotografica, oggetto di “furto”, emblema di potenza, simbolo e arma del suo lavoro. Gemma era tranquilla, non aveva nulla da fare per quel pomeriggio ed essere stata ricontattata all’ultimo momento non le era pesato più di tanto.

Ogni shooting è un gioco, un modo meglio di altri per guadagnarsi qualcosa facendo ciò che le piace. Ma un senso deve esserci, sempre. Questa volta però si stava perdendo. Dopo i cambi d’abito, si ritrovava in acqua, il suo ambiente preferito.   Fare foto bagnata dall’acqua salata le permetteva di immedesimarsi in una specie di dea del mare, ma di quelle solitarie che preferivano restare negli abissi. Le toccava mostrarsi  ma lo sguardo era quello di chi avrebbe trascinato chi la guardava nelle profondità. Il fotografo sembrava soddisfatto, si stava creando un’empatia di quelle che permettono di andare avanti senza intoppi, Gemma odiava i contrattempi e sperava che tutto proseguisse ancora così.

fotografo 1
Ad un certo punto, mentre il sole si avviava al tramonto, Gemma stava notando che l’espressione dell’uomo stava cambiando, aveva un qualcosa di tenebroso, di nascosto e difficile da celare ancora. Le vene del collo tese ed evidenti, le mani cambiavano gli obiettivi quasi tremanti, in modo più nervoso. Gemma si rense conto che c’era un cambiamento in atto. Chi aveva di fronte?        Il silenzio del fotografo era disarmante, lo era ancor più confrontato con l’urlo che sembravano emanare i suoi occhi, il respiro energico senza pause. Iniziava ad avvicinarsi e poi a rincorrerla, la schiuma dell’acqua li avvolgeva e Gemma non si voltava indietro, finché non sentì lui che le gridava di continuare a fuggire, che era perfetta. Ed è così che non riescì a fermarsi, anzi chiuse un attimo gli occhi e sentì di non potersi sottrarre a quell’energia. L’empatia continuava, senza domande, senza dubbi, senza voci.

Alla fine era stremata. Lui l’avvicinò e le sussurrandole che pensava non avrebbe resistito, che non avrebbe accettato. Ma Gemma doveva ancora conoscere chi era a parlarle, anche se non sapeva se voleva scoprirlo. Il lavoro era terminato, preferì non dire nulla, si alzò e si avviò più in là per vestirsi. Mentre si sfilava il bikini, pensò che prima sarebbe andata via e meglio sarebbe stato. Nello stesso tempo, una parte di sé avrebbe voluto seguire quella scia di vita mista a morte che l’uomo le aveva trasmesso. Il cielo rossastro la invitava a sbrigarsi e chiusa la borsa Gemma s’incamminò.   La Cinquecento d’epoca l’attendeva con lo sportello aperto.

“Guida tu.”

Gemma non capì: “Perché dovrei?”

“Mi piace vederti alla guida.”

Gemma doveva dare un senso. Non poteva rifiutarsi, ricordò che sull’annuncio si parlava di disponibilità a guidare una macchina. Allora esclamò: “Mi fotografi. Se guido mi farai delle foto.”   L’uomo non sembrava affatto interessato a fare un altro scatto.

Gemma mise in moto e partì, sentiva gli occhi di lui addosso, sentì che forse non sarebbe mai più scesa da quella macchina. Gemma premeva sull’acceleratore senza fermarsi, pensando che neanche lui sarebbe sceso più. La velocità aumentava, si portava con sé i corpi di un’anima ormai imprigionata in foto che chissà dove sarebbero andate a finire e quella di chi viveva per farlo, per sottrarre al corpo la parte che lui preferiva, quella che solo lui era in grado di vedere. Quando anche la donna che veniva fotografata ne entrava a conoscenza e avrebbe desiderato viverla, essere solo e soltanto quella parte, non c’era più tempo.


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