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Uno studio in nero

Creato il 13 marzo 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

La letteratura poliziesca tra spiagge dorate e giungle d’asfalto.

Da Fralerighe Crime n. 4

L’area della letteratura poliziesca che definiamo noir (ammesso che abbia ancora un senso applicare etichette ai generi letterari e perdersi nel maelström dei sottogeneri) porta un nome francese ma vanta natali a stelle e strisce.

La genesi del noir è legata alle opere di Raymond Chandler e Dashiell Hammett, capiscuola indiscussi del genere – e già ricadiamo nel girone infernale delle classificazioni! – hard-boiled. Nel saggio La semplice arte del delitto (1944), Chandler getta le basi del romanzo poliziesco realistico e riconosce a Hammett “il merito di aver tolto il delitto dal vaso di cristallo del poliziesco all’inglese per buttarlo in mezzo alla strada, restituendolo così alla gente che lo commette per un motivo – e non semplicemente per fornire un cadavere a lettori oziosi, e con mezzi accessibili – non con pistole da duello intarsiate, curaro e pesci tropicali”. Un lungo e ponderato addio al giallo tradizionale, insomma, per intingere la penna in qualcosa di più nero dell’inchiostro: il cuore violento di una società profondamente ingiusta. Il delitto, da Chandler in avanti, cesserà di costituire un mero problema di logica, un innocuo puzzle da ricomporre per ristabilire un ordine ad esso preesistente.

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Raymond Chandler

A partire dal filone hard-boiled la letteratura nordamericana sfornerà alcuni fra i più grandi capolavori del genere: romanzi neri accomunati dalla presa di coscienza di una realtà nella quale il confine tra legalità e illegalità è sfumato e la rabbia degli ultimi si scontra con la glaciale indifferenza degli “arrivati”. Sandro Ferri (editore e/o) osserva giustamente che in questo tipo di narrazioni non vi è nulla di consolatorio: “il caos regna prima e dopo, indipendentemente dall’esito dell’inchiesta” perché vi è la consapevolezza che la regola – e non già l’eccezione – del mondo è la violenza.

Uno studio in nero
Terreno narrativo comune è la metropoli (tanto che si arriva a coniare la suggestiva locuzione “noir metropolitano”), vero e proprio character delle opere in esame; nella letteratura poliziesca d’oltreoceano, degrado urbano e degrado morale vanno di pari passo, e il ritmo della narrazione è il ritmo – irrimediabilmente frenetico – della città. Basti pensare alla Los Angeles cinica e corrotta di James Ellroy, protagonista assoluta della tetralogia L.A. Quartet (Dalia nera, Il grande nulla, L.A. Confidential, White Jazz); i quattro romanzi, ambientati a Hollywood fra gli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, restituiscono l’immagine impietosa di un luogo dalla superficie dorata e l’anima in necrosi.

Un rapido coast-to-coast ed ecco profilarsi la New York violenta di Ed McBain. Il romanzo Il seme della violenza (firmato con il suo vero nome: Evan Hunter) e 87° distretto (serie di police procedural che ha ispirato alcuni famosi film TV come “NYPD Blue” e ha contribuito non poco a condizionare il nostro sguardo – e forse anche i nostri giudizi – sulla Grande Mela) sono addirittura considerati, da taluni, i titoli/manifesto del noir metropolitano.

Al di qua dell’Oceano, la letteratura poliziesca si evolve in maniera analoga, affrancandosi progressivamente dal giallo inteso come lettura di puro intrattenimento e spostando il fuoco dell’attenzione dal chi e dal come al perché del delitto, analizzando le ripercussioni che l’attività criminale ha sul tessuto sociale. Gli ingredienti di base, tuttavia, sono diversi, e sebbene il poliziesco europeo finisca col diventare anch’esso “metropolitano” – nel senso che il territorio assume un ruolo centrale all’interno della narrazione – è altrettanto vero che lo diventerà in maniera peculiare. L’occhio del noir si posa infatti su una realtà difficilmente comparabile con quella nordamericana: in primo luogo in virtù delle diverse condizioni socio- ambientali; in secondo luogo, e soprattutto, in quanto i popoli del mediterraneo condividono un retroterra culturale con caratteristiche ben precise e uniche al mondo.

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“In principio è il Libro”, spiega il noirista Jean-Claude Izzo nella raccolta di saggi Aglio, menta e basilico – Marsiglia, il noir e il Mediterraneo (titolo originale: Marseille, pubblicato in Italia nel 2006 dalle Edizioni e/o), “(e) il momento in cui Caino uccide suo fratello Abele. Con il sangue di questo fratricidio, il Mediterraneo ci regala da leggere il primo dei romanzi noir”.

Considerato all’unanimità il padre del “noir mediterraneo”, Izzo ha ambientato i suoi romanzi nel quartiere più povero di una Marsiglia cupa e dolente ma che conserva intatto il suo fascino di luogo di confine. Egli definisce il noir mediterraneo come “l’accettazione fatalista del dramma che grava su di noi da quando l’uomo ha ucciso suo fratello su una delle rive di questo mare”. Tutti i grandi classici della nostra letteratura, a ben vedere, raffigurano il crimine come la forza che governa il mondo e i rapporti fra gli uomini; “in principio, infatti, vi erano tutte le ragioni di uccidere. L’invidia, la gelosia. Il desiderio, la paura. Il denaro. Il potere. L’odio. (…) la tragedia greca mette in scena questo”, ci ricorda Izzo. In quest’ottica, se i poemi omerici possono considerarsi meravigliose antologie noir ante litteram, alla vicenda di Edipo calza a pennello il ruolo di prima sceneggiatura noir della storia.

Ne era ben consapevole Patrick Raynal, direttore della Série Noire di Gallimard, al punto che decise di inserire nella celebre collana una riscrittura in chiave noir dell’Edipo re. “Se definiamo (…) la scrittura noir, l’ispirazione noir come uno sguardo sul mondo”, ebbe a dichiarare Raynal in un’intervista rilasciata alla rivista Les Temps Modernes, “uno sguardo sul lato oscuro, opaco, criminale del mondo, pervaso dall’intensa percezione della fatalità che ci portiamo dentro e che nasce dal fatto che l’unica cosa che sappiamo veramente è che moriremo, allora sì, dico che l’Edipo re è il primo romanzo noir”. Il capolavoro sofocleo si apre, del resto, con un’indagine: Edipo si impegna a identificare e punire in maniera esemplare l’uccisore di Laio, suo predecessore sul trono di Tebe. Non sa ancora, non può immaginare, che la verità è già a portata di mano: pericolosamente, mortalmente vicina…

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Secondo Jean-Claude Izzo, “i rapporti fra tragedia greca e noir saltano agli occhi” e sono tanti gli autori moderni che s’iscrivono in un vero e proprio rapporto di filiazione con il tragico greco.

Primo fra tutti Albert Camus, uno dei più brillanti intellettuali del Novecento. A parere del noirista marsigliese il romanzo Lo straniero (titolo originale L’étranger) può considerarsi “il romanzo contemporaneo fondatore del giallo mediterraneo”. Protagonista è Meursault, un modesto impiegato algerino che uccide inspiegabilmente un arabo su una spiaggia assolata; egli si consegnerà alla giustizia senza cercare alcun tipo di giustificazione, nella più totale indifferenza al crimine commesso e alle sue conseguenze. Il romanzo in parola riporta in vita gli elementi caratteristici della tradizione mediterranea, svela il destino di tragedia che grava sull’umanità sin dagli albori.

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Albert Camus

Ci ricorda, insomma, che la storia del Mediterraneo è intrisa di sangue e scura come l’anima di Caino, e che la struggente bellezza da cui siamo circondati l’abbiamo avuta a caro prezzo. Se vi è una peculiarità del noir mediterraneo rispetto alle altre declinazioni della narrativa nera contemporanea, essa risiede proprio nel suo incessante dividersi tra la violenza fratricida e l’incanto dei paesaggi, tra la necessità di raccontare l’aberrazione (che non fa sconti e colpisce in egual misura i panorami da cartolina e il grigiume della città) e il sentimento di commossa ammirazione per quel che resta di un paradiso perduto.

Tra due colori, come ha sintetizzato Jean-Claude Izzo: “l’azzurro del cielo e del mare e il nero della morte e dell’odio”.

Simona Tassara

Puoi seguire l’autrice su: www.arcadiaedintorni.altervista.org e unostudioingiallo.blogspot.it



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