Fra i tanti popoli che vivono lungo la cordigliera delle Ande, sia negli altipiani e sia nei bassipiani, mi hanno sempre affascinato i Cayapas, che vivono su un terriotrio vasto circa 10.000 km, nella selva ammazzonica, attorno al fiume omonimo e sino alla città di Esmeraldas, sulla costa dell’oceano Pacifico.
Di loro ammiro la proverbiale riservatezza, i loro silenzi, la loro grande abilità nello scavare tronchi d’albero per ricavarne canoe, colle quali viaggiano lungo i corsi d’acqua dell’Amazzonia, alla ricerca del loro cibo quotidiano: proteine da accompagnare con il platano, una banana saporita e farinosa, più grande della frutta che conosciamo noi, che costituisce la base della loro alimentazione.
I Cayapas parlano una lingua che si riferisce sempre a oggetti concreti, materiali. L’occhio, per esempio, è detto caduca, palla che vede; la testa nushpuca, palla che sa; la mano tyaapa, tavoletta lunga; il dito tya mishu, testa della mano; l’aeroplano jè mu cule, canoa che vola.
Certo non si può dire che vivano a lungo (la loro vita media è di 40 anni); e neanche che vivano bene: nel loro territorio piove per 300 giorni all’anno e nei loro sentieri c’è sempre un metro di fango in cui affonda la loro marcia; e forse per questo che preferiscono percorrere i sentieri dell’acqua, con le loro rudimentali ma efficienti canoe, in cui sono maestri anche nella conduzione.
Come tutti i popoli primitivi hanno una spiccata spiritualità, alla quale i missionari cristiani, con saggezza e discrezione, sono riusciti a saldare i fondamentali della religione fondata da Gesù duemila anni fa.
Essi chiamano il loro Padre fondatore, nella loro lingua “Apua”; così, dopo l’arrivo degli spagnoli, è nato “Diosapua” che è la sintesi del nome che i Cristiani danno al loro Dio, con quello che i Cayapas danno al loro.
Un Cayapa, quando si vuole sposare, deve rivolgersi a una sorta di Consiglio degli Anziani che sceglierà la moglie più adatta a lui; e senza possibilità di appello.
Inoltre un uomo può cambiare nome diverse volte, durante la sua breve vita. Il che equivale a dire, in un certo senso, che i Cayapas sono uomini senza nome, in un certo senso.
I reati come il furto, l’omicidio, lo stupro, la rapina, sono praticamente inesistenti, così come ogni idea di proprietà privata ovvero di predominio legato ai possedimenti.
Per il resto resta in piedi, almeno per me, l’antico dilemma: ma chi è più felice sulla terra? Noi, con il nostro progresso, oppure i popoli antichi con lel loro immutabili leggi di natura?
Ecco, quando rivado con la mente a questi popoli, che ancora resistono all’incalzante (per loro distruttivo) progresso, entro quasi in crisi e mi chiedo: ma dove andiamo noi occidentali? Andiamo verso Marte e verso la conquista dell’Universo? Oppure andiamo verso l’autodistruzione del pianeta terra?
Io vorrei soltanto andare verso Dio.
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