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Urban little fantasy, capitolo 3

Da Fishcanfly @marcodecave


 ULF s01e03, Sai da cosa fuggi…

Il barista doveva aver creduto che non avessi da pagare. Mentre sorseggiavo il cappuccino mi guardava con sospetto. Ma non gli avevo dato molto peso. Erano passate tre ore, e avevo tutta l’aria di un senzatetto stralunato che avesse appena visto un fantasma.

Il dilemma era come affrontare ciò che avevo appena visto. O avevo creduto di aver visto. O sentito. Sono certo che un altro al posto mio avrebbe ordinato del whisky, per schiarirsi le idee, come si dice in certi film di serie B. Ma io no. Avevo ordinato un cappuccino. Avevo visto un coniglio vestito di tutto punto e avevo ordinato un cappuccino. Forse era quella la cosa anomala. Il fatto che avessi ordinato un cappuccino in un bar dopo aver creduto di parlare con un coniglio, o insomma averlo ascoltato.

Avevo letto Alice nel paese delle meraviglie e lì c’era un coniglio, e avevo visto anche un film del quale non ricordavo il nome dove c’era questo coniglio gigante che annunciava la fine del mondo. Ma non erano le opere migliori che conoscessi e la mia cultura sui conigli si fermava più o meno lì. Non ne avevo mai desiderato un esemplare per addomesticarlo, né mai lo avevo tenuto in mano. Ora che ci pensavo era il primo coniglio che vedessi in vita mia, dal vivo intendo.

O da quasi vivo. Ammesso che fosse morto. Ammesso che fosse vero, oltretutto.

Pago il conto con i pochi spiccioli che mi erano rimasti in tasca. Ecco mi mancano le chiavi! Impreco, le dovrò chiedere al proprietario dell’appartamento che per fortuna abita al piano di sopra. E inventarmi anche una scusa valida per una figura del genere! Che situazione da schifo. Esco in strada, ha smesso di piovere ma comincia a far buio presto ormai, sono già le cinque e mezza, devo affrettare il passo prima che possa ricominciare a buttarla giù.

Dì che ti manda Zach il Nero. Dì che sei il Passante. – le parole del coniglio continuavano a tornarmi in mente, il suo sguardo, il suo sangue. Non avevo nemmeno capito da dove venisse quel sangue, forse ero troppo concentrato a guardare i suoi occhi neri, e la zampa, quella zampa.

E poi perché un coniglio bianco dovrebbe farsi chiamare il Nero? – forse stavo dando troppe cose per scontato. Era tutta una stupida allucinazione, uno scherzo della mente.

Devo prendermi una pausa dallo studio – pensai.

Attraversai la strada. Allungai il passo. Mi voltai. Qualcuno dietro di me mi stava seguendo. Un uomo leggermente più alto, con un soprabito scuro e un cappello, il volto in ombra. Chi porta un cappello a falda larga di notte?, mi chiesi. Imboccai alcuni vicoli. Mi voltai ancora, a tratti. Il tizio continuava a seguirmi.

Iniziai a correre. E anche il tizio iniziò a correre.

In fuga da cosa? Cavolo avrei dovuto segnarmi a quel corso di kung fu, forse adesso non starei scappando come un maledetto codardo. Non c’era nessuno in strada. Tranne qualche macchina. Quella parte della città era sempre deserta a quell’ora. I marciapiedi erano stati costruiti più per obbligo di legge che per conveniente utilizzo degli abitanti. Almeno questo era uno delle solite e ripetute critiche che continuavo a sentire al corso di ingegneria urbana.

Svoltai a destra, poi a sinistra, non c’era nemmeno un negozio aperto nel quale entrare e chiedere aiuto. E, come succede nelle situazioni più strampalate, finii per sentirmi in trappola. Avevo appena imboccato un vicolo chiuso.

 

URBAN LITTLE FANTASY, CAPITOLO 3

Attendo cinque minuti. Nessun rumore. Sembra che il tipo abbia rinunciato a inseguirmi, oppure sono riuscito a seminarlo, come si dice nei film. Io che associavo la parola seminare al settore agricolo. Io, un seminatore. O forse un malato di mente, sicuramente uno psicopatico ossessionato da manie di persecuzione: probabilmente non mi sta inseguendo nessuno.

Decido di attendere altri dieci minuti, per precauzione, nascosto dietro un cassonetto dell’immondizia. Alle mie spalle un muricciolo fa da confine tra due abitazioni. Guardo in alto, da qualche finestra fuoriesce la luce accesa, qualche ombra, gente che si prepara a cenare. Se dovessi trovarmi in pericolo ed urlassi qualcuno si affaccerebbe per certo.

Poi lo sento. Uno strisciare. Forse è solo una sensazione, forse è un gatto, un topo, qualcun altro. Finché non lo vedo sbucare all’angolo. E avanzare lentamente nel vicolo.

BENE, BENE, BENE!!! È PIù FACILE DI QUANTO PENSASSI! LO SO CHE SEI QUI, UMANO. NON SO COSA TI ABBIA RACCONTATO QUELLO SCHIFOSO DI ZACH IL NERO. MA NON DOVREBBE AVER AVUTO MOLTO TEMPO, ADORO SGOZZARE I CONIGLI, PECCATO CHE NON HO AVUTO TEMPO DI FINIRE IL LAVORO CON QUEL BASTARDO…E CON TE!”

Mi sporgo appena dal cassonetto. Tra me e lui c’è una risibile distanza di sette metri, pochi secondi e arriverà fin qui. Nella mano destra stringe qualcosa. Un coltello, una lama che dovrebbe avere trenta o quaranta centimetri. Vuole uccidermi.

Esco allo scoperto, a mani alzate.

“Ascolta, non so chi tu sia, e non so cosa vuoi da me. Se è questione di soldi posso darti quelli che ho.”

“Soldi? Stai cercando di corrompermi umano? Stai cercando di corrompere me, un’anima già corrotta?”

Finalmente posso vederlo in faccia. Sotto il cappello il volto sembra segnato da tutta una serie disordinata di graffi e cicatrici. Ha le orecchie a punta, proprio come Spock in Guerre Stellari. Oppure non è quello il personaggio, forse non è nemmeno la saga giusta. Ma non c’è tempo, adesso, per pensare alla fantascienza.

“Sto cercando di risolvere questa situazione pacificamente…Ti prego non farmi del male…” – mi inginocchio a mani alzate.

“Ecco, da bravo prostrati umano! Che razza schifosa che siete! Tu poi non vali nemmeno un centesimo della mezza tacca dell’originale!”

“Cosa stai dicendo…? Io davvero non capisco cosa sta succedendo!”

Avanza deciso. Ora posso vedere i suoi occhi. Rossi. Deve trattarsi del demonio. Lo sapevo che non avrei dovuto diventare ateo. Mi punta la lama alla gola.

“è un peccato, ucciderti…Anche se non sai per cosa muori, sappi che muori per una giusta causa, UMAAANOOOOO!”

Ora mi infilza. Mi porto le mani alla testa. La paura mi paralizza. Il cuore accelera le pulsazioni. Non riesco ad emettere il minimo suono malgrado la mia bocca sia spalancata e io voglia gridare. Non penso a nulla. Aspetto che tutto questo finisca. Ecco, ora mi infilza come un agnello. Porta leggermente indietro il gomito, come se servisse una rincorsa per penetrare nella pelle della mia gola. Lo guardo ancora, fisso nei suoi occhi rossi.

Poi la sua bocca si spalanca. Più della mia. È un attimo. Un rantolo e si accascia su di me. Cado sotto il suo peso morto. Il coltello è scivolato poco vicino dalla sua mano. Trovo il modo di sgusciare via tremando da sotto il suo corpo. Da ginocchioni mi rialzo. Incespico e mi rialzo ancora. Mi porto all’angolo e guardo finalmente la scena.

Sulla schiena dello sconosciuto sono conficcate tre frecce. Una pozzanghera di sangue inizia a ridipingere il grigio asfalto. A quell’ora sembra solo fanghiglia scura, brodaglia.

“Forse avrei dovuto mirare alla testa. In quel caso una freccia sarebbe stata più che sufficiente.”

Guardo davanti a me.

Un tipo mingherlino, basso mi sta venendo incontro. Ha la faccia di un gatto. No, è un gatto. Vestito di tutto punto di quella che sembra essere una uniforme.

“Miao, colonnello Henry Lime. Piacere di conoscerti figliuolo. Sono venuto a salvarti la vita. E dovrai venire con me. Con le buone o con le cattive.”

Nella zampa destra stringe una balestra.

“So già tutto – aggiunge – Zach il Nero è stato trovato nel tuo appartamento, morto. Ah, sì stai tranquillo io sono dei buoni, insomma sto dalla tua parte. Almeno finché mi pagano per starci. Brutti tempi nel vecchio Mondo, sai?”

“Che cosa devo fare?” – gli domando attonito.

“Seguimi, e ti sarà tutto più chiaro.”

“Dove andiamo?”

“In un posto dove nessuno ha intenzione di sgozzarti. È sufficiente per ora?”

Ragiono, se ragionare è il termine adatto, per qualche secondo. Guardo il cadavere dell’uomo dalle orecchie puntute, tre frecce nella schiena e una lama accanto.

“Sì, è sufficiente, per ora. Ma dovrai spiegarmi tutto.”

Il gatto in uniforme, una bella uniforme mimetica color grigio, alza le pupille al cielo.

“Sì, sì, poi ti spiego tutto. Per ora sappi che mi devi una freccia. Le altre due le offre la ditta.”

“Quale ditta?” – chiedo.

“Mercenari Express. Al vostro servizio.”

Mi porge un biglietto. Lo prendo. C’è scritto:

MERCENARI EXPRESS.

URBAN LITTLE FANTASY, CAPITOLO 3

Sotto la scritta c’è un’impronta di zampa di gatto, riprodotta in scala. Decisamente in scala per questo gatto.

“Ora basta con le domande. Andiamo. Miao.”

Lo seguo.

URBAN LITTLE FANTASY, CAPITOLO 3



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